La sfiga in Formula 1: rituali e manie dei grandi campioni

La sfiga in Formula 1: rituali e manie dei grandi campioni
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Paolo Ciccarone
«Fra un pilota bravo e uno fortunato, preferisco quest’ultimo». La frase è di Enzo Ferrari ed è emblematica: in F1 la superstizione impera! Ecco tutti i rituali anti-sfiga dei più grandi campioni del Circus | <i> P. Ciccarone</i>
16 giugno 2014

L’ultimo esempio? Mark Webber alla 24 ore di Le Mans. In testa fino a poco dalla fine, per un problema tecnico si è dovuto ritirare. E quando Enzo Ferrari diceva che fra un pilota bravo e uno fortunato, preferiva quest’ultimo, capisci come nel mondo della F.1 si fa ma non si dice: la superstizione impera! Si fa presto a dire non ci credo. Ma quando ti giochi la vita a oltre 300 all’ora, a quel punto ogni particolare può fare la differenza. E’ per questo che nel mondo della F.1, fra computer e telemetria, progettazioni da fantascienza e programmazioni spaziali, fa capolino l’antico rituale della scaramanzia. Ufficialmente ne sono tutti immuni, poi basta guardarli da vicino e si scopre che, sotto questo aspetto, gli eroi della F.1 sono forse più deboli della gente normale. 

Schumacher e i colori del casco

Anche se a prima vista sembrava uno freddo, distaccato e per niente coinvolto in queste cose, Michael Schumacher aveva la sua bella serie di rituali anti-jella. E visto quello che gli è accaduto sugli sci lo scorso 29 dicembre, è facile parlare di sfortuna al 100 per 100. Tanto per cominciare Michael entrava in macchina sempre dallo stesso lato, quasi fosse casuale. Ma il vero colpo di anti-jella Schumacher lo fece nel 2000. Fino a quel momento il casco del pilota tedesco ricalcava i colori della bandiera tedesca, con una sfumatura che virava al nero. La calotta era blu con la fascia bianca, che dalla visiera finiva alla calotta posteriore. Con la Ferrari, fino a quel momento, Michael aveva visto sfumare il titolo nel 97 e nel 98, mentre nel 99 trascorse buona parte del suo tempo in ospedale per curare la frattura alla gamba per l’uscita di pista a Silverstone. Ebbene, non si sa chi lo consigliò, ma a partire dal 2000 Schumacher ha cambiato la colorazione del casco passando alla calotta rossa prima e facendo sparire il bianco e buona parte della bandiera tedesca stilizzata. Nelle corse, il colore rosso, infatti, è sinonimo di successo e di vittoria. C’è da dire che l’operazione ha funzionato benissimo.

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In Ferrari Schumcher iniziò a vincere con il nuovo casco, verniciato prevalentemente di rosso

Trulli: il potere dell'aglio

Un altro pilota che ha cambiato i colori del casco è stato Jarno Trulli. Appena indossato quello con la calotta argento e striscia blu, si è subito imposto nelle prove del venerdì. Poi ha usato in gara il casco ed è andato a punti. All’inizio doveva essere solo il regalo per il suo compleanno, 13 luglio, poi la colorazione del casco è diventata definitiva. Ma oltre al casco Jarno ha abbinato anche il colpo segreto… L’ultimo caso, in ordine di tempo, risale al Gran Premio di Germania del 2003. Il pilota abruzzese è sempre stato conosciuto come uno che non aveva paura di niente. Ma nel corso degli anni gliene sono capitate talmente tante, che il povero Jarno non ha saputo più a che santo votarsi per venirne fuori. Complice Jean Alesi, suo ex compagno di squadra, durante un pranzo in un noto ristorante sulla costa amalfitana, Trulli ha scoperto il potere terapeutico dell’aglio. “Una volta ne ho comprata una treccia e sono salito sul podio” disse Alesi a Trulli mentre stavano mangiando.

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Il portafortuna di Trulli era costituito da una treccia d'aglio

 

Il ristoratore, il mitico Don Alfonso, è uno che le trecce d’aglio (con 13 teste, ovviamente…) le prepara ancora come si faceva una volta. Più che la bontà del prodotto, pare che sia l’azione collaterale ad aver avuto successo nel corso degli anni. Un po’ incerto, un po’ perché tanto provare non costa nulla, il buon Jarno Trulli ha acquistato la treccia d’aglio e se ne è andato a Hockenheim a correre il Gran Premio di Germania. Le prestazioni in pista non sono state malvagie: più veloce il venerdì, rapidissimo il sabato, gran gara alla domenica, ma durante la corsa l’effetto terapeutico della treccia sembrava annullato dalla sfiga perennemente in agguato. Invece Jarno salì sul podio, il primo della stagione, dopo lungo tempo di attesa: non accadeva dal GP d’Europa al Nurburgring del 1997. Una corsa splendida culminata in un risultato eccellente. E la storia dell’aglio è saltata fuori. I produttori di aglio abruzzesi hanno voluto Trulli come testimonial del loro prodotto: l’effetto positivo, almeno sul portafoglio, ha funzionato perfettamente.

E quando Enzo Ferrari diceva che fra un pilota bravo e uno fortunato, preferiva quest’ultimo, capisci come nel mondo della F.1 si fa ma non si dice: la superstizione impera!

Alex Wurz: una scarpa rossa, una blu. E quando le tolse...

Questa dell’aglio non è la sola mania presente nel mondo delle corse. Tanto per restare ai tempi nostri anche Alex Wurz, attuale pilota Toyota prototipi nelle gare endurance, aveva la sua bella mania. Quando è approdato in F.1 ha stupito il paddock perché indossava una scarpa rossa e una blu. Una volta, quando correva in F.3, si fece prestare delle scarpe da un collega perché, con un piede infortunato, non riusciva a calzare la sua misura. Il collega gli diede una scarpa di misura maggiore ma di colore diverso. Alex vinse la corsa e da quel momento non ha più cambiato la colorazione delle scarpe.

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Alex Wurz ha utilizzato per diverso tempo una scarpa blu ed una rossa

 

Fino a quando non è stato assunto alla McLaren, dove Ron Dennis lo ha obbligato a indossare le scarpe nere coi colori ufficiali della squadra. Sarà un caso, ma da quel momento a Wurz ne sono capitate di tutti i colori: non ha più corso un Gran Premio, gli hanno svaligiato l’appartamento a Montecarlo mentre dormiva con la moglie e la bambina dopo essere stato narcotizzato dai ladri che, per inciso, hanno svaligiato solo quell’appartamento! Con la nuova McLaren, l’abortita MP4/18, ha collezionato uscite di pista e incidenti paurosi ma, e qui arriva il bello, subito dopo il Gran Premio di Malesia e prima di arrivare in Brasile, Alex Wurz è stato trattenuto in ospedale perché c’era il sospetto che avesse contratto la SARS nella trasferta orientale!

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All'interno del casco Alesi nascondeva un'immaginetta sacra

Alesi, Ghinzani e le immagini sacre

Un altro che aveva un buon rapporto con i rituali anti-sfiga era Jean Alesi. In macchina entrava sempre dallo stesso lato e prima di allacciarsi le cinture eseguiva un rituale ben preciso. Jean non è mai salito in macchina senza indossare prima il casco mentre altri piloti, come Berger, hanno sempre preferito prima entrare nell’abitacolo e poi indossare il casco. Sempre a proposito di casco, il fratello di Jean Alesi, Josè, aveva confidato una volta che all’interno della fodera c’era una immaginetta sacra che accompagnava  Jean fin dai tempi della F.3. Non si può dire, alla luce della carriera di Alesi, che l’immagine sacra non abbia funzionato, ma è anche vero che per resistere alla cura del pilota italofrancese, lassù qualcuno si sia impegnato moltissimo. Anche un altro pilota del passato aveva un debole per le immagini sacre. Piercarlo Ghinzani, prima di approdare alla Osella e alla Ligier, aveva sperimentato sulla F.3 l’importanza di un santino. Sul cruscotto della sua March aveva quella di Papa Giovanni XXIII, conterraneo di Ghinzani. Tutte le volte che arrivava un po’ troppo forte in curva, Ghinzani aveva la sua preghierina: “Giuanin, pensaci tu che qui andiamo a farci friggere tutti e due…”.

Patrese passò alla storia per aver vinto un GP del Portogallo grazie al mago televisivo Giucas Casella

Mansell e la mano lunga

Un pilota che aveva scoperto i rituali anti-jella fu Nigel Mansell. Quasi per caso, prima di una gara, toccò il seno prosperoso di una giornalista italiana dal nome tedesco. Nigel vinse la corsa e alla gara seguente, inseguì la bionda e prosperosa per tutto il paddock, fino a quando non la bloccò in un angolo e riprese l’operazione precedente, tra l’altro stavolta sotto gli occhi divertiti della moglie Roxane. Vinse ancora il Gran Premio. Facile immaginare cosa accadde dopo quella volta. Di arrapante non c’era niente, ma la povera giornalista, saputo nel paddock della sua dote portafortuna, fu presto inseguita da diversi piloti che prima della corsa volevano un po’ di buona sorte…

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Riccardo Patrese trovò la vittoria dopo un incontro con il mago Giucas Casella

Coulthard: problemi con le mutande. Patrese ricevuto da Giucas Casella

Diverso, invece, il rituale di David Coulthard. Quando correva in F.Ford ebbe un brutto incidente e fu trasportato in ospedale. Tolta la tuta da pilota, i medici scoprirono che l’intimo di David non era proprio in condizioni ottimali. Coulthard divenne rosso per la vergogna e da quel momento, ad ogni sessione di gara o di prove, indossa sempre un paio di mutande nuove di zecca. Un altro che aveva problemi con l’intimo era Riccardo Patrese. Quando correva con la Williams la moglie rivelò, senza volerlo, che spesso le tute usate da Riccardo erano improponibili per via di un effetto collaterale della paura. In questo caso dire che uno se la fa sotto non era solo una metafora… Eppure Patrese passò alla storia per aver vinto un GP del Portogallo grazie al mago televisivo Giucas Casella. Ospite di una trasmissione televisiva col mago, Patrese si fece scappare che non riusciva a capire da dove venisse tanta sfortuna, che gli aveva fatto perdere delle corse già vinte. Casella lo guardò e gli disse, dietro le quinte della trasmissione, “tu vincerai la prossima corsa, perché te lo dico io, hai capito: tu vincerai perché te lo dico io. Dovrai solo seguire questo rituale”. Un po’ controvoglia, un po’ perché la moglie di Riccardo gli disse di provare, che tanto non avrebbe perso nulla, a Estoril Patrese eseguì il rituale e vinse il Gran Premio. La sera, in aeroporto, mentre commentava la cosa Riccardo si chiedeva: “E io che ho perso anni di vita per mettere a posto le macchine e a discutere coi tecnici, chiamavo Giucas e facevo prima…”.

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Gherard Berger e la sua "mania" stavano per scatenare un caso diplomatico

Berger la stava facendo grossa

Tutto particolare il rituale di Fisichella, che per ogni vigilia di gara avrebbe bisogno di praticare un po’ di sesso come si deve, ma non sempre c’è la moglie per cui questo può giustificare alcune prestazioni non esaltanti nella sua carriera. Barrichello è uno che prima di una gara prega molto e ascolta musica tipica brasiliana. Una volta, quando era alla Stewart, la camera car lo inquadrò mentre prima del giro di lancio in qualifica, si faceva il segno della croce. I giornalisti cominciarono a fare domande e da quel momento il gesto fu nascosto agli occhi del grande pubblico. Altri gesti, invece, faceva Gerhard Berger. Appena salito in macchina si dava una strizzatina agli attributi e poi faceva le corna, seguendo uno schema ben preciso, sul volante della sua macchina. Come ulteriore prova di buona sorte Gerhard aveva anche il vizio di toccare il sedere a una donna prima di partire per la gara. Sugli schieramenti di partenza ce ne sono sempre alcune, solo che a Donington, GP d’Europa del 1993, Berger stava per farla grossa. Qualcuno della Ferrari gli bloccò la mano mentre dall’abitacolo stava per metterla sul sedere di una splendida donna che stava salutando tutti i piloti sulla griglia di partenza: era Lady Diana Specer, consorte del principe Carlo d’Inghilterra. 

Il caso di sistema anti jella più incredibile riguarda però Heinz Harald Frentzen. Il pilota tedesco è figlio di uno dei più grossi imprenditori di pompe funebri della Germania

Senna: sempre gli stessi guanti

Un altro che aveva un rituale tutto suo era Ayrton Senna. Il brasiliano non voleva mai cambiare i suoi guanti. Spesso, sulla griglia di partenza, lo si vedeva con i guanti talmente sdruciti e rovinati che le dita spuntavano fuori. Il paio di guanti rossi usati alla McLaren lo hanno accompagnato per anni. Sarà stato forse il caso, ma a Imola Senna aveva i guanti blu coi colori Williams. Con quei guanti non riuscì mai a finire una corsa a inizio 94 e a Imola sappiamo tutti come è finita.

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Frentzen voleva correre in Formula 3 sponsorizzato dalla ditta di pompe funebri del padre ma non c'è stato niente da fare

Frentzen: "Sponsor? La mia impresa di pompe funebri!"

Il caso di sistema anti jella più incredibile riguarda però Heinz Harald Frentzen. Il pilota tedesco è figlio di uno dei più grossi imprenditori di pompe funebri della Germania. Quando era ancora uno sconosciuto ragazzo che si districava in F.Ford, conobbe un manager italiano, Guido Forti, che in F.3 era il punto di riferimento per tutti. Avvicinato Forti all’aeroporto di Houston in una trasferta verso il Messico, Frentzen aprì le trattative per approdare alla Forti in F.3 e puntare al titolo europeo. “Sai ci vogliono molti soldi – disse Guido Forti – hai degli sponsor che possono coprire le spese?”. Frentzen rispose di sì e disse anzi di avere una attività di famiglia molto avviata che faceva guadagnare bene. Forti rispose che la cosa si poteva fare. Ne avrebbe parlato al ritorno. Finita la corsa in Messico, il manager italiano cominciò la trattativa con Frentzen, si cominciò a parlare di F.3, di F.3000, della possibilità di fare qualcosa in F.1. Ad ogni cifra chiesta da Forti, Frentzen rispondeva che non c’erano problemi.

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Jean Todt non si è mai riuscito a separare del suo cronometro

 

Allettato dalla possibilità di impostare un programma a lunga scadenza, nella saletta transiti dell’aeroporto di Houston, di ritorno dal Messico destinazione Parigi, Guido Forti si era convinto a far firmare il contratto a Frentzen sul posto. Heinz disse che non c’erano problemi, solo che sulle macchine della squadra doveva comparire il marchio della società che avrebbe sponsorizzato la carriera. Forti disse che non c’era nessun problema e gli chiese quale fosse la ditta: “La mia impresa di pompe funebri” rispose Frentzen. A quella risposta Guido Forti ebbe un attimo di mancamento, si portò la mano destra al basso inguine e disse che doveva fare una telefonata in Italia per verificare a che punto fossero alcuni contratti. Chiamò il socio e amico Paolo Guerci e gli disse: “Chiama quel Vandone, digli che va bene così e che lo prendiamo subito anche se non ha tutti i soldi, digli che lo facciamo correre come terzo pilota con Morbidelli e Zoboli, ma rapido, mi raccomando”. Riattaccata la cornetta, Forti tornò da Frentzen e gli disse: “Che peccato, mi hanno appena avvisato che hanno firmato il contratto con un pilota che avevo in attesa. Mi spiace, sarà per la prossima volta”. Frentzen chiese se c’erano possibilità, e Forti disse: “No, non se ne parla proprio!”. Era il 1989 e Frentzen non aveva un volante a disposizione. Durante la stagione, fra un viaggio e l’altro dalla Germania alla Spagna, col carro funebre di famiglia, riuscì a convincere la Mercedes a farlo correre nei prototipi insieme ad altri due tedeschi, anzi un tedesco e un austriaco, con le vetture gestite da Peter Sauber. Uno era Michael Schumacher, l’altro Karl Wendlinger, campione tedesco di F.3 a fine stagione 89.

Giancarlo Minardi non tollera la vista del colore viola. Quando arrivò in squadra Pedro Lamy, il portoghese aveva una bella fascia viola sul casco. Dapprima Minardi faceva gli scongiuri, poi si convinse che non era viola

Jean Todt: non toglieteli il cronometro

Il caso di Guido Forti non è l’unico di un manager superstizioso. In F.1 ce ne sono altri. Giancarlo Minardi, per esempio, non tollera la vista del colore viola. Quando arrivò in squadra Pedro Lamy, il portoghese aveva una bella fascia viola sul casco. Dapprima Minardi faceva gli scongiuri, poi si convinse che non era viola: “E’ pervinca, accidenti a voi giornalisti: vi ho detto che il viola non esiste, il casco di Lamy è pervinca, chiaro?”. Anche il grande Jean Todt ha le sue manie e superstizioni: nei box circolava sempre col cronometro in mano, anche se con i sistemi elettronici non serve avere un vecchio orologio. Il fatto è che senza quella patacca in mano, Todt non sale sul muretto dei box. Un altro vezzo era quello di succhiare uno stuzzicadenti e mangiarsi le unghie. Dopo un po’ di tempo Jean Todt non ha usato più gli stuzzicadenti in mondovisione dal muretto dei box, ha messo i cerotti sulle unghie per non mangiarsi più le dita, ma al cronometro al collo non rinuncia per niente al mondo. E che dire del rituale del the? Stessa ora tutti i giorni, la bustina che deve essere intinta un certo numero di volte altrimenti non va bene e temperatura rigorosamente fissa.

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Il tatuaggio del samurai sulla schiena di Alonzo

 

Questa la F.1 del passato, ma quella di oggi? Alonso, quando va bene una gara, ripete il rituale l’anno successivo. Ovvero stesso albergo, stessa camera, stesso menù. Se qualcuno del suo staff ha la barba non la fa tagliare, se invece se l’era tagliata, lo obbliga a farlo. E poi i rituali da Samurai, il lungo e ampio tatuaggio sulla schiena, la filosofia orientale. Alla vigilia dell’ultima corsa del mondiale, in testa alla classifica, uno del suo staff si era tagliato la barba. Il giovedì pomeriggio Fernando commentò secco: il mondiale non lo vinciamo più. E così è stato. E del presidente Montezemolo che viaggiava con un cornetto rosso di corallo in tasca? Anche lui non scherza affatto quando si dicono certe cose, basti vedere dove porta la mano di fronte a certe domande… Insomma, questa è la F.1 dell’era tecnologica, dei computer e delle strategie. Vanificate magari da un gatto nero che passa per strada: “Mi è andata talmente male tante volte – disse Jean Alesi – che se un gatto nero mi taglia la strada, si tocca lui i maroni…”.

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