Sauber: «Se ripenso che in meno di 24 ore ho rifatto il team...»

Sauber: «Se ripenso che in meno di 24 ore ho rifatto il team...»
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  • di Maurizio Tanca
Peter Sauber ci ha parlato della sua avventura in Formula 1, dagli inizi ad oggi passando per le difficoltà incontrate e le soddisfazioni recenti|<i> P. Ciccarone</i>
  • di Maurizio Tanca
13 settembre 2012

Era il 1967 e in una gara sport sul circuito di Monza c’era anche un pilota svizzero di medio livello. Si chiamava Peter Sauber e la sua ambizione di salire sul podio ha dovuto attendere una quarantina d’anni. Il tempo necessario a un pilota del team Sauber di arrivare secondo nell’ultima edizione e permettere al costruttore svizzero di tirare fuori il suo sigaro e godersi la festa.

Monza: una gara di casa

Per Peter Sauber (il nome si pronuncia come si scrive ma nel team lo chiamano tutti Piter, ndr) la corsa di Monza al pari di quella di Hockenheim è una sorta di gara casalinga: «In Svizzera non abbiamo piste e per me sono questi due autodromi quelli che ritengo la gara di casa. Più Monza che in Germania, a dire il vero, anche se lì mi legano la lingua, le tradizioni e tanti ricordi. Certo, per me vedere quel podio è stato fantastico, ma penso che quest’anno siano più le occasioni che abbiamo perso rispetto a quelle che abbiamo conquistato. Come ad esempio la domenica prima in Belgio, avevamo due macchine nelle prime due file e dopo cento metri avevamo solo un pacco di rottami da riparare!»

Lo stile di Peter Sauber è unico in F.1, un po’ perché rappresenta uno degli ultimi patron di una squadra, una specie di Frank Williams per intenderci, dopo che Giancarlo Minardi ha lasciato, il testimonial di team a misura d’uomo è proprio quello di Sauber: «Se penso che in meno di 24 ore ho dovuto inventarmi qualcosa per salvare il tutto, non mi sembra vero.»

In meno di 24 ore ho dovuto inventarmi qualcosa per salvare tutto, non mi sembra vero

Il ritiro di BMW

«Quando la BMW decise di ritirarsi, avevamo appena assunto un centinaio di persone. Questi dalla sera alla mattina avevano deciso di smettere e rimettevano tutto in gioco. Mi sono guardato attorno, ho parlato con la gente che lavorava con me e telefonai a Mario Theyssen, gli chiesi che possibilità c’erano di rilevare il tutto a un prezzo congruo.»

«Mi disse che il consiglio d’amministrazione era d’accordo, ma bisognava firmare la mattina dopo altrimenti non se ne faceva nulla. Firmai, la notte non dormii affatto, ma oggi siamo ancora qua. Credo sia stata la decisione giusta, salvare la storia, il lavoro della gente che mi era stata vicina, non potevo mollarla in mezzo a una strada, ma se devo essere sincero, dopo la firma non avevo alcuna idea di come trovare i soldi e come mantenere fede al tutto.»

Strano per uno assennato e poco propenso ai rischi o ai salti nel vuoto: «Non avevo scelta, non si rischia solo guidando una macchina da corsa» dice oggi col sigaro spento in bocca. Ma che bilancio fa della stagione? «Diciamo che abbiamo capito subito di avere una buona macchina, veloce, competitiva e gentile con le gomme, noi le consumiamo meno, ma abbiamo anche fatto degli errori, abbiamo sbagliato gli assetti o altro ancora. E anche i nostri piloti non sono stati immuni da errori, per cui mettendo insieme i nostri sbagli e quelli dei piloti, il bilancio non è del tutto rose e fiori. Abbiamo raccolto molto, ma si poteva fare di meglio perché stavolta avevamo una buona base di lavoro.»

Perez e Kobayashi: un grintoso ed un combattente

Abbiamo capito subito di avere una buona macchina, veloce, competitiva e gentile con le gomme

Tutto qua, senza proclami e senza accusare nessuno. E sui suoi piloti, che commenti fa?

«Uno è giovane e grintoso, Perez, con molta determinazione e molta autostima, l’altro, Kobayashi, è un combattente nato, va sempre all’attacco, anche se deve ancora capire che certi risultati si possono ottenere anche correndo in difesa.»

«Mi sembrano un buon mix, forse con altri piloti, più esperti, avremmo fatto di meglio, ma questa è la squadra e sono contento così, cercheremo di migliorare il prossimo anno.» E via una tirata dal sigaro che nel frattempo è stato acceso e una bevuta di tequila dello sponsor messicano che oltre ai soldi, provvede anche al benessere mentale del team. Tutto preciso, tutto regolare, d’altronde sono svizzeri!

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