Sebastian Vettel: è una questione di cuore

Sebastian Vettel: è una questione di cuore
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Paolo Ciccarone
Sebastian Vettel. Dagli esordi nelle esibizioni con le vecchie F1 ai titoli mondiali. Storia di un campione che si è fatto cambiare del successo
4 febbraio 2015

L’ordine arrivò perentorio e senza repliche: «Se volete entrare in casa vi togliete le scarpe e mettete le pattine, e se volete fumare andate fuori, qui dentro non se ne parla e non fate casino che vi caccio fuori».

 

La prima cena coi meccanici Toro Rosso a casa di Sebastian Vettel, in quel di Faenza, se la ricordano ancora oggi. Il ragazzino, quasi brufoloso, che avrebbe disputato la prima stagione col team romagnolo, aveva invitato a casa sua a cena la sua squadra di meccanici che però non si aspettavano un'accoglienza di questo genere.

 

Vettel, per quanto giovane, era in grado di gestirsi da solo: cucinava (abbastanza bene secondo i commensali), lavava e stirava e teneva pulita la casa che manco una massaia emiliano-romagnola di quelle giuste sapeva fare. Insomma, l’approccio stupì tutti, ma dopo quella sera gli inviti a cena si diradarono.

 

Non per colpa di Vettel, quanto per il fatto che la natura casinista di alcuni meccanici e la voglia di fumare, portarono Sebastian alla drastica decisione di ridurre gli incontri. Poi cominciò la stagione e non se ne fece più nulla. Poi il passaggio alla Red Bull, l’appartamento a Banbury, vicino di casa di Mark Webber, l’altro pilota della squadra di Milton Keynes, e tutta la trafila made in Italy finì nel dimenticatoio.

 

Tanto che quando nel 2010 vinse il primo titolo mondiale, Sebastian parlava ancora un poco di italiano, dimenticato però strada facendo col passare degli anni.

Gli inizi  su un motore da moto...

Gli inizi di questo ragazzino terribile si devono alla F.BMW (monoposto con motore motociclistico) in cui un gruppo di scatenati pazzi al volante delle loro monoposto se le davano di santa ragione. Non c’era gara in cui non finivano in fuori in dieci o dodici. Tutti tranne lui, che dal caos emergeva con freddezza e portava a casa la vittoria o il podio.

 

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Zero relazioni sociali. Zero contatti con la stampa. Solo gare... quasi una noia mortale d'uomo

Insomma, stupì subito Mario Theyssen, direttore tecnico della BMW che volle metterlo sotto contratto in collaborazione con la Red Bull, che ad ogni stagione firma una caterva di contratti coi piloti che poi molla per strada. Gli inizi alla BMW furono pesanti. Infatti, la vigilia delle gare, Sebastian andava in giro a fare esibizioni con le vecchie F.1 nel parco divertimenti allestito nei centri cittadini.

Quando veniva in Italia, andava a Milano e qui toccava a Maria Conti, all’epoca PR Mini BMW, portarlo a spasso, a cena e fargli da balia. Ora Maria lavora in Fiat e Sebastian è pilota Ferrari, quando si dice il destino...

 

All’epoca Vettel si vestiva da pilota, si sedeva nell’abitacolo e sgommava avanti e indietro, faceva testa coda e fumo. Applausi, qualche autografo e qualche foto ricordo. In poco avrebbero pensato che sarebbe stato 4 volte campione del mondo e pilota della Ferrari.

 

Quando poi Theyssen si decise a farlo debuttare ogni venerdì mattina in F.1, il ragazzino dava sempre delle paghe incredibili a tutti. Lui saliva in macchina, non faceva numeri come al parco giochi e finiva davanti a tutti. Poi tornava nell’anonimato.

 

Relazioni sociali? Meno di zero. Contatti con la stampa? Qualche tedesco ogni tanto e manco spesso. Fine delle trasmissioni. Fino al debutto in corsa per sostituire Kubica infortunato in Canada con un volo da paura. A Indianapolis primo GP e primi punti. Mica male, il ragazzino ha dimostrato che il venerdì non era fuffa, era tutto vero.

 

Agli inizi veniva pagato per fare i testa coda nei parchi divertimenti dei centri cittadino

Da qui l’arrivo alla Toro Rosso con un clamoroso risultato a Monza: pole e vittoria. Giorgio Ascanelli, all’epoca DT della squadra, se la godeva con gli occhi. Aveva lavorato con Senna e sapeva riconoscere un talento.

 

Vincere a Monza sul bagnato intenso, davanti a gente che aveva più esperienza, significava che i numeri c’erano, da qui la promozione l’anno dopo alla Red Bull insieme a Mark Webber. Mark è sempre stato un tipo tranquillo, uno che non si scompone e se può dà una mano ai giovani, tanto che il team MW Arden di GP3 e GP2 aveva piloti che lui ospitava nelle sue case a Banbury e li aiutava in palestra, in pista e come poteva.

 

vettel musica
La simpatia non sembra essere nelle sue qualità. A chi gli chiede che musica ascolti, lui risponde no comment

Eppure con Seb non legò. Lo si capì al Fuji nel 2008. Vettel, reduce dalla vittoria a Monza, dimostrò che sul bagnato era uno che andava forte. Con una safety car in pista fatta entrare  per rimuovere delle vetture incidentate, con un passo da primato, abboccò all’amo di Webber che era davanti. L’andamento a scatti lo colse di sorpresa e Vettel tamponò Webber che perse gara e podio.

 

Il dopo corsa fu vivace, con Mark che andò nel box della Toro Rosso e gli urlò in faccia. «Dove ca...credevi di andare stronzetto?» e Vettel a dirgli che se lui frenava di colpo il minimo era tamponarlo.

 

Insomma, per due che avrebbero corso insieme l’anno dopo non era un bel modo di fare conoscenza. «Seb aveva dalla sua una convinzione fortissima di sé» dice oggi l’ingegner Gianvito Amico, che dalla Minardi alla Toro Rosso ha lavorato e svezzato prima Alonso e poi Vettel.

 

«Al contrario dello spagnolo, che è cresciuto col tempo e ha maturato la sua forza d’animo con gli anni, Vettel era già così, molto convinto, certo e sicuro di sé, molto più determinato. Oggi dire chi dei due sia più veloce è difficile, di certo hanno pregi e difetti che si compensano, ma quello che mi ha sempre stupito è che Fernando era un ragazzo sereno, calmo, quasi timido. Sebastian era il simbolo dell’educazione, del perfettino che veste bene, che cura tutti i dettagli, tiene la casa in ordine, non sgarra di una virgola».

 

E questo modo di fare Vettel se lo è portato nei box. In questo è molto simile a Schumacher. Dopo le prove non va in albergo, resta nel motor home a guardarsi le partite di calcio (gioca anche bene) insieme al padre e a qualche meccanico. Da quando è diventato padre di una bambina, di lui personaggio pubblico si sa ancora meno. E meno fa sapere.

 

Ci promise di venirci a trovare al primo Titolo... ne ha vinti quattro, ma nemmeno saluta

Se gli si chiede: «Come ti trovi a fare il padre?», lui risponde: « mi spiace, è una questione privata non voglio rispondere».

«Che musica ascolti prima di una gara visto che giri sempre con la cuffia in testa?» lui dice «Spiacente, è una questione privata, non voglio rispondere». E così sempre più spesso, diventa sempre più difficile il rapporto.

 

Ai tempi della Toro Rosso, mentre sistemava dei cartoni (tutti piegati perfettamente per farceli stare nel bagagliaio della sua BMW serie 3 Touring) parlava tranquillo, anche in italiano, rideva.

 

Come quella volta che al Motor Show di Bologna fu ospite di Radio Monte Carlo. L’emittente monegasca era nello stand Toyota, c’era Jarno Trulli. La PR della Toro Rosso pregava per un passaggio radiofonico per farlo conoscere... Alla Toyota accettarono, perché erano degli sportivi. L’incontro fu divertente, Vettel fu bravo nelle risposte e nel conoscere la musica trasmessa, tanto che non se ne andò via presto e firmò pure qualche autografo.

 

«Prometti che appena diventi campione del mondo vieni a trovarci ancora?» gli chiesi. «Certo, ma chissà quando capiterà mai». Lui è diventato campione del mondo, quell’incontro non c’è ancora stato nonostante i 4 titoli iridati e se ti incontra nei box non ti guarda nemmeno.

 

Probabile che non si ricordi affatto della promessa. «Gente così è inutile alla F.1 – tuonò Bernie Ecclestone – è uno che se esce dal circus non ne sente la mancanza, una vera iattura».

 

Era il GP d’Austria del 2014. Speriamo che nel frattempo Bernie si sbagli e che Vettel, con la divisa rossa addosso, si ricordi che correre in macchina è anche una questione di cuore.

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