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Guai a chi fa cattivo uso del tracker GPS spiando un dipendente e licenziandolo: non solo deve riassumerlo ma anche indennizzarlo. Così ha stabilito il giudice per una causa di lavoro in Veneto dove un dipendente - secondo l'azienda - ha usufruito di permessi in base alla legge 104 (assistenza ai malati e disabili) per andare in altri luoghi e la prova del misfatto sarebbero i dati di un tracker GPS installato sull'auto da un'agenzia investigativa. Per farla breve, il giudice ha deciso che la raccolta di questi dati non può essere un giustificato motivo per il licenziamento.
Al di là del cattivo uso, i tracker GPS sono uno degli strumenti più efficaci e intelligenti per tenere d’occhio il proprio veicolo, specie quando si teme il furto o si vuole semplicemente monitorare gli spostamenti. Ma dietro la semplicità apparente di questi dispositivi, si nasconde un mondo fatto di tecnologia, regolamenti e, perché no, anche qualche trucco utile da conoscere. I localizzatori GPS funzionano grazie al sistema satellitare globale che conosciamo tutti, lo stesso che ci guida col navigatore. La differenza è che, mentre un navigatore riceve solo i dati, un tracker è pensato per ricevere la posizione via satellite e trasmetterla a distanza in tempo reale, grazie a una connessione dati cellulare. Ed è qui che entra in gioco la SIM card: ogni tracker ha bisogno di una SIM (inserita o integrata) per inviare i dati al server a cui poi l’utente accede tramite app o piattaforma web. Alcuni modelli più sofisticati utilizzano SIM multi-operatore per garantire copertura anche dove il segnale di rete è debole.
Come tutti i dispositivi elettronici, c'è bisogno di una fonte di alimentazione: esistono due grandi famiglie di tracker. I primi sono quelli con batteria interna ricaricabile, spesso compatti e facilmente occultabili. Possono funzionare in modo completamente indipendente per periodi che vanno da pochi giorni fino a diversi mesi, a seconda della capacità della batteria e della frequenza con cui trasmettono i dati. Poi ci sono i tracker fissi, in genere per uso professionale, collegati direttamente alla rete a 12V dell’auto. Questi possono essere installati semplicemente alla presa OBD. Sono più discreti, richiedono meno manutenzione e funzionano in modo continuo, anche se in alcuni casi — specie se sporgono nella zona OBD — possono essere rimossi da chi sa dove cercare. Il tema del nascondiglio ideale è cruciale, soprattutto se l’obiettivo è antifurto. Il vano motore, alcune cavità sotto i sedili, la zona del paraurti posteriore o addirittura il sottoscocca (grazie a magneti ad alta tenuta) sono tutte opzioni efficaci, purché si tenga conto di alcuni parametri tecnici: il tracker deve restare isolato da fonti di calore, protetto dall’umidità e posizionato in modo da poter ricevere il segnale GPS e trasmettere dati GSM.
Un aspetto che spesso genera dubbi è la legalità dell’uso di questi dispositivi. come visto nel caso del dipendente spiato, la risposta è semplice: sono legali, purché usati nel rispetto della privacy. Se il tracker è installato su un’auto di proprietà personale, non ci sono problemi. Ma se il veicolo è condiviso — per esempio in un contesto familiare o aziendale — è obbligatorio informare gli altri utenti, come previsto dal GDPR. Utilizzare un tracker per sorvegliare di nascosto una persona, anche se attraverso il veicolo, può invece configurare reati gravi, come la violazione della privacy o addirittura lo stalking. Quindi attenzione: il tracker è uno strumento di protezione del mezzo, non di sorveglianza delle persone.
I modelli più evoluti oggi offrono una serie di funzioni avanzate che vanno ben oltre la semplice localizzazione. Una delle più apprezzate è il geofencing, ovvero la possibilità di disegnare un perimetro virtuale sulla mappa e ricevere una notifica se l’auto esce da quell’area. Altra funzione utile è l’allarme di movimento, che avverte se il veicolo viene spostato anche a motore spento. Molti dispositivi permettono il tracciamento in tempo reale con aggiornamenti ogni pochi secondi, la registrazione dello storico dei percorsi, e l’invio di allarmi in caso di superamento di velocità preimpostata. Questo rende i tracker utili anche per chi vuole controllare l’uso dell’auto da parte di figli neopatentati o dipendenti. C’è poi un aspetto interessante: i dati registrati da un tracker possono — in alcuni casi — servire per contestare una multa. Ad esempio, se ricevi una sanzione per eccesso di velocità o accesso non autorizzato in ZTL, e puoi dimostrare tramite i dati geolocalizzati che la tua auto non era lì, potresti avere una prova utile. Ovviamente, per avere valore legale, i dati devono essere certificati, con tanto di timestamp e server protetto.
Il mercato offre ormai soluzioni per tutte le tasche. Si va da piccoli dispositivi con batteria interna dal costo di 30 o 40 euro, a soluzioni professionali da 300-500 euro, usate da flotte aziendali, assicurazioni o sistemi antifurto satellitari come MetaTrak, LoJack o Vodafone. Molti dispositivi base richiedono di acquistare una SIM separata e gestire un piano dati, altri offrono SIM integrate e abbonamenti mensili compresi nel prezzo. La scelta dipende dall’uso: se vuoi solo un tracker temporaneo da piazzare in auto durante le vacanze, bastano i modelli più semplici. Se invece cerchi un sistema permanente antifurto, meglio optare per un modello fisso e ben nascosto, con SIM multi-operatore e piattaforma cloud dedicata.
In definitiva, il tracker GPS è una spesa sensata per chi vuole dormire più tranquillo, soprattutto in un periodo in cui i furti d’auto sono tornati a crescere e i sistemi antifurto di serie non bastano più. Non solo ti avvisa se qualcosa non va, ma in caso di furto può fare la differenza tra recuperare l’auto in poche ore o perderla per sempre. E se installato con criterio, è invisibile, silenzioso e sempre pronto a fare il suo lavoro.