Automotive e Danni, Coronavirus e Pane

Automotive e Danni, Coronavirus e Pane
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Piero Batini
  • di Piero Batini
Rifletto su quello che mi accade attorno. L’eco un tempo lontana del dramma lombardo si è avvicinata più in fretta della gravità in crescita esponenziale. Sarà un problema economico. È già un problema gigantesco, in un certo senso di sopravvivenza
  • Piero Batini
  • di Piero Batini
11 marzo 2020

Pisa, 11 Marzo. Qui in Toscana si pensava ancora alla festa della donna e alla primavera che, imminente, avrebbe potuto riscaldarci e farci svegliare da un brutto sogno. Invece il giorno dopo eravamo in pieno incubo, ufficialmente. Non si può più aver ragione di essere sereni, ma non bisogna mollare, la via per combattere l’incubo è chiara: starsene a casa. Intanto si spremono le meningi e… Si stringono le chiappe.

Si sente, si sa che al Nord il problema CoViD-19 è più grave, drammatico, da tempo abbiamo smesso di pensare che l’Appenino avrebbe fermato il virus, scherzando che avrebbe reso la Padania libera. Oggi la proiezione, a non voler essere ciechi e sordi a oltranza, è chiara. Il problema Coronavirus non è cittadino, regionale. Neanche più una epidemia, è pandemia.

115 Nazioni, si vola verso i centomila contagiati. È un problema planetario e globale, ed essere migliore degli altri in fondo al rettilineo invece che all’inizio o in mezzo non è di nessun vantaggio per nessuno. Può solo aiutarci a vedere che nessuno è irraggiungibile. Che nessuno può avere così tanti cavalli e tanta benzina da andare e restare in fuga.

Per rimanere nel nostro orto, quello che poteva sembrare un problema del Nord è definitivamente un problema, grave, che riguarda l’intera nazione e che lascerà, sta già lasciando, delle tracce profonde nell’economia del Paese.

Ma è corretto, esaustivo parlare di danni al Paese, o quantificarli su scala globale? È un’analisi che porta a un risultato, certo, ma a mio giudizio no. Non è corretto, non bastano i grandi numeri a dipingere la realtà.

Da una parte, infatti, è certo che il prodotto del dramma Coronavirus avrà un corrispettivo in fattura per l’intera nazione. Dall’altra è altrettanto evidente che la misura del danno economico non è solo una somma totale bensì lo spettro di un range di casistiche più o meno ampio che coinvolge le categorie, la tipologia della produzione e del lavoro, la stratificazione sociale, la famiglia in un algoritmo piuttosto semplice di resistenza all’urto.

Faccio fatica parlare di cifre, perché oltre un certo numero di zeri mi sembra tutto immaginario, ma non c’è bisogno di contare zeri per rendersi conto che c’è un rapporto impietoso tra la capacità di continuare a produrre e la semplice incapacità a ricavare risorse che il blocco totale, lo “stare a casa” per difendersi e contrattaccare in modo risolutivo nella battaglia contro il Coronavirus, in taluni casi può produrre. In altre parole, non tutti potranno essere smart worker e passare da un tipo a un altro di lavoro e continuare a portare a casa l’intera pagnotta.

In sostanza c’è chi può rimanere a casa e chi no, chi stando a casa può “resistere” per periodi più o meno lunghi e chi è già sull’orlo del baratro non appena chiude la porta di casa. C’è un Paese ricco che può contare su una buona riserva aurea e un altro che arranca con la spia della… riserva rosso fisso, uno dove si vive a caro prezzo e un altro dove la vita è più facile, naturale. Le situazioni sono diverse, cambiano, diventano particolari. Le “medie” sono dati generali che spesso nascondono contesti più piccoli non meno importanti.

Lo Sport, il Motorsport è in panne e va verso il blocco totale, le automobili sono ferme in garage, i pezzi che dovevano arrivare dalla Cina per costruirne di nuove sono parcheggiati. I cinesi si stanno mettendo il problema dietro le spalle, tornano a guardare avanti.

La macchina produttiva cinese è ripartita ed è facile che quando arriveranno i pezzi che ci mancano per completare le nostre auto, probabilmente saranno fermi i nostri strumenti di ricezione e distribuzione.

L’industria automotive rallenta. È inevitabile. Perderà il 2, il 5% in funzione della durata del “blocco”? 3 o 4 milioni di vetture in meno su scala planetaria? Globalmente sembrerebbero numeri sopportabili, soprattutto se “passeggeri”, con un’incidenza relativa sul corso “naturale” delle cose. Bisognerebbe, però, riuscire a calcolare con precisione quanto è imputabile al problema Coronavirus e quanto, invece, era già “scritto” tra le righe di un declino presente e in attesa del ripescaggio del settore da parte dell’elettrificazione.

Bisognerebbe riuscire a calcolare di quanto il Coronavirus procrastinerà la prevista ripresa che avrebbe dovuto riportare molti numeri in positivo già dal 2021, e più specificamente in che relazione può mettersi, non necessariamente in negativo, con un risveglio più energico e definitivo dell’impegno industriale italiano sul fronte dell’elettrico.

E soprattutto, in presenza dell’innegabile fenomeno di centrifugazione della figura industriale automobilistica italiana, la “migrazione” FCA-PSA, bisognerebbe riuscire a calcolare con urgente precisione quanto vale l’addizionale della tassa coronavirus su quella proiezione di esuberi del comparto valutata in diecine di migliaia di unità. E qui è chiaro che un trend rispettato o “catalizzato” dal fenomeno Coronavirus finirà comunque per incidere sulla tranquillità di un gran numero di famiglie, riportandoci su un fronte “periferico” ma socialmente vitale, a una dimensione forse più reale e oggettiva del problema.

Si torna al problema della “resistenza”. Chiusi in casa, quanto tempo si può resistere? Il modello economico, e finanziario, basato sul massacro della realtà economica nel gioco della lievitazione finanziaria, ha fatto del consumo uno dei suoi pilastri, e con il consumo è venuto meno il potenziale della riserva. Del fieno in cascina.

Tendenzialmente poco fieno. Sempre meno. Perché si vive al limite, perché si consuma, perché si investe. Semplicemente perché si vive su una giostra che non si ferma, che diverte qualcuno e fa venire il mal di mare ad altri.

Di fatto oggi è difficile, come si diceva una volta, ma che volta lontana, poter dire di avere le spalle grosse. Oggi anche un gigante industriale, un colosso finanziario, un patrimonio di famiglia, tutte queste possono essere forme di sicurezza illusoria, precaria. Il colosso d’argilla.

Non c’è bisogno di sperperare, condurre una esistenza finanziariamente dissoluta, sbagliare una scommessa o farsi rovinare dal gioco. Oggi si può cadere dalle più solide piattaforme dell’assennatezza solo per l’intervento di un fattore esterno, imprevedibile, imprevisto, magari bello ma rovinoso in quella particolare situazione venutasi a creare. Aggiungi un figlio a uno stipendio su cui già grava la spesa, il mutuo, i libri di scuola. Investi su un prodotto che era vincente e viene improvvisamente superato.

Investi per migliorare, e improvvisamente interviene un fenomeno rallentatore che non ti permette di tenere fede agli impegni contrattuali.

Un virus improvviso, drammatico, letale, per esempio, che porti al blocco l’attività, il processo operativo, determinando così un buco temporale che non sai neanche quanto sarà grande. Tutti possiamo resistere qualche giorno, due settimane, ma sono sicuro che un mese, tre mesi, producono danni irreversibili a un numero impensabili di situazioni.

Ed è lì, auto o moto che si voglia, che nella gravità del momento non contano più molto, che si vede se l’investimento chiave del tuo esistere è stato un buon investimento. Il tuo Paese! È lì che si vede quanto vale la forza governatrice del tuo Paese. Se può, se vuole aiutarti a superare il momento, per quanto lungo e cruciale, se ha immaginato con quali strumenti farlo. Se, in buona sostanza, ha accumulato l’energia necessaria per farlo e per trarti in salvo. Te e tutti i tuoi compaesani.

Se no vince il virus.

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