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Robert Bosch, il nome più prestigioso nel settore dei componenti automotive, si trova ad affrontare una realtà brutale: un gap di costi annuali di 2,5 miliardi di euro che sta mettendo in ginocchio anche il colosso tedesco. I 13.000 licenziamenti rappresentano il 3% della forza lavoro globale dell'azienda, un taglio che lascia senza parole per la sua portata.
"Dobbiamo lottare per ogni centesimo," aveva dichiarato l'azienda nei mesi scorsi. Una frase che oggi assume contorni drammatici di fronte all'annuncio che ha scosso l'industria il 25 settembre.
Il cuore pulsante dell'impero Bosch, la regione di Stoccarda, sarà quello più duramente colpito. I numeri fanno tremare: a Feuerbach spariranno 3.500 posti di lavoro, proprio dove l'azienda aveva investito pesantemente nella tecnologia dell'idrogeno. Schwieberdingen pagherà il prezzo più alto con 1.750 licenziamenti, vittima di ordinativi in calo libero. La situazione è ancora più drammatica a Waiblingen, dove un'intera fabbrica da 560 dipendenti chiuderà definitivamente entro il 2028. Anche Bühl, considerato l'hub strategico dei motori elettrici, vedrà tagliati 1.550 posti, mentre a Homburg 1.250 dipendenti dovranno dire addio al loro futuro, in uno stabilimento dove ancora si producono componenti diesel per camion.
L'ironia della situazione è stridente: Bosch rimane il numero 1 assoluto nella classifica dei fornitori automotive globali, con vendite record di 46,5 miliardi di euro nel 2024 e un fatturato complessivo di 90,5 miliardi di euro. Eppure, nemmeno essere al vertice basta più.
Stefan Hartung, CEO dell'azienda, prevede una crescita del fatturato del 2% per il 2025, ma questa crescita pallida non è sufficiente per compensare i costi sempre più insostenibili.
Dietro questa decisione drammatica si nasconde una tempesta perfetta che ha investito l'intero settore. La domanda è in picchiata perché i consumatori rimandano l'acquisto di auto nuove, lasciando i fornitori con giacenze enormi e impianti sottoutilizzati. Contemporaneamente, una concorrenza sempre più feroce vede nuovi player, soprattutto asiatici, erodere quote di mercato con prezzi aggressivi che mettono sotto pressione i margini tradizionali. A complicare ulteriormente uno scenario già complesso, le barriere commerciali imposte dalle crescenti tensioni geopolitiche hanno creato ostacoli che paralizzano un mercato già saturo. Il colpo di grazia arriva dalla sovraccapacità cronica che affligge il settore: da troppo tempo esistono eccessi produttivi sia nelle divisioni amministrative che in quelle produttive, rendendo insostenibili i costi operativi.
Stefan Grosch, membro del consiglio di amministrazione, non usa mezzi termini: "È molto doloroso per noi, ma purtroppo non c'è altra strada." Il piano di ristrutturazione è devastante nella sua completezza e prevede un taglio drastico dei costi materiali e operativi, accompagnato da una riduzione significativa degli investimenti in strutture e infrastrutture. Parallelamente, l'azienda procederà a uno snellimento radicale della logistica e delle catene di fornitura per eliminare ogni inefficienza. Questo processo di trasformazione dolorosa si protrarrà inesorabilmente fino al 2030, segnando un decennio di profonda riorganizzazione per il colosso tedesco.
Quello che sta accadendo in Bosch non è un caso isolato. È il sintomo di una crisi sistemica che sta investendo l'intera industria automobilistica europea. L'azienda, che impiega 418.000 persone in tutto il mondo, rappresenta un termometro affidabile della salute del settore.
"La Germania rimane centrale per Bosch," rassicura Grosch, "ma dobbiamo diventare più efficienti per mantenere la nostra posizione nella competizione globale."
Questo tsunami di licenziamenti racconta una storia più ampia: anche i giganti possono cadere quando il mercato cambia troppo velocemente. Bosch aveva investito massicciamente nelle nuove tecnologie - idrogeno, veicoli elettrici, guida autonoma, ma il ritorno economico si è rivelato più lento del previsto.
La promessa dell'azienda di cercare "soluzioni socialmente responsabili" suona come una magra consolazione per i 13.000 dipendenti che dovranno reinventarsi la vita nei prossimi anni.
Il messaggio è chiaro: nell'automotive del futuro, nemmeno essere il numero uno al mondo garantisce la sopravvivenza. La tempesta che sta investendo Bosch è solo l'inizio di una rivoluzione che ridisegnerà completamente il settore automobilistico nei prossimi anni.