Dakar 2013, tappa 10. Bilanci? No grazie!

Dakar 2013, tappa 10. Bilanci? No grazie!
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Piero Batini
  • di Piero Batini
Dakar 2013. Decima tappa. Nessun bilancio alla fine della prima parte della Dakar. A quattro tappe dalla fine, più che altro evidenze | <i>P. Batini</i>
  • Piero Batini
  • di Piero Batini
16 gennaio 2013

Mi accorgo, nonostante siano state ormai archiviate oltre metà Dakar e dieci tappe, che non ho mai neanche tentato di fare un bilancio, che in coincidenza della giornata di riposo, per esempio, è quasi d’obbligo. Mi chiedo come mai e la risposta che mi viene è la seguente: perché non ce n’era bisogno. E perché non ce ne sarebbe stato bisogno? Perché molti interrogativi, a cui i bilanci tendono a dare risposte, sono rimasti irrisolti, altri hanno trovato una loro risposta così, all’improvviso, magari per un colpo di scena, ed altri ancora non avevano bisogno di risposte perché queste erano già evidenti, chiare.

Una bella Dakar

Per esempio, com’è stata la prima parte della Dakar? Dura, difficile, faticosissima, tre ovvietà, perché è nella storia e perché era stato annunciato chiaramente. La Dakar di quest’anno è cominciata partendo dalla fine dell’edizione scorsa, al contrario, e i concorrenti già sapevano che in Perù gli organizzatori non erano andati alla ricerca di autostrade. Era noto anche che avevano selezionato, per l’avvio di quest’anno, il… peggio dello scorso anno.

 

Rispetto alle recenti edizioni è mancata quella fase iniziale di “mise en jambes” che consentiva ai concorrenti di “ambientarsi” progressivamente.

È una Dakar bella? Sì, lo è. Polvere e sofferenze a parte, che sono anch’esse una parte imprescindibile della sua… bellezza, è una Dakar suggestiva sotto tutti i punti di vista, scenografico, agonistico, dei colpi di scena e dell’incertezza, che non ha mai dato spazio finora a una sola tappa noiosa.

barreda dakar 2013
Joan Barreda va forte ma non ancora abbastanza per intaccare il dominio di Despres

La Dakar delle moto senza Coma

Fino all’anno scorso ci si chiedeva: chi vincerà, Marc Coma o Cyril Despres? E si andava a cercare nell’andamento della corsa l’indizio che indicasse l’uno o l’altro dei due super Campioni come principale “sospetto”. Nella maggior parte dei casi la risposta arrivava solo alla fine e indipendentemente dagli indizi. Quest’anno la stessa domanda non potevamo farcela e, per evitare la più generica – chi vincerà? – abbiamo promosso la curiosità e ci siamo chiesti: adesso che non c’è Coma, Despres vincerà guidando con una mano sola?

 

Dispiaciuti di non vedere andare in scena l’ennesima, appassionante rivincita, ci siamo accalorati all’idea che la Dakar di quest’anno opponesse alla “tiepida” conferma della supremazia di Despres, che non avrebbe detto nulla di nuovo, un ventaglio di alternative in grado di tenerci con il fiato ancor più sospeso per tutta la durata della gara. Le alternative c’erano, e ne abbiamo sentito il profumo, ma molte di queste si sono perse per strada. Joan Barreda va forte, non si discute, è uno dei più veloci, ma dovrà aspettare un altro anno per cercare di dimostrarlo alla Dakar.

 

Helder Rodrigues poteva trovare nella Honda la leva per sollevarsi più in alto di quel gradino che non è mai riuscito a superare, ma la Honda gli offre tutt’al più un ascensore cui ci vorrà ancora un anno per arrivare all’ultimo piano. Alle Yamaha di Casteu e Pain, mi scuso, non avevo pensato. Forse le ho sottovalutate, forse non dovevano commettere l’errore di non cambiare il motore a San Miguel, e forse semplicemente non sono ancora quelle armi in grado di porre fine allo strapotere KTM che dura da dodici anni. Alternative vanificate da noie meccaniche, per lo più di lieve entità e punite esageratamente, o da piccoli episodi sfortunati. Che nessuno si sente di chiamare in causa per sostenere una richiesta di appello, perché è proprio questo genere di eventi che caratterizza da sempre la Dakar.

A quattro giorni dall’epilogo, la Dakar conferma il migliore Despres, il cui unico passo incerto è il cambio di motore a Salta, che per contro ha cercato o ha trovato un po’ di fortuna, e al quale passare accanto al baratro ha dato l’adrenalina per esprimere una parte di quel potenziale di aggressività che è più facile riconoscere in Marc Coma


Ebbene, a quattro giorni dall’epilogo, la Dakar conferma il migliore Despres, il cui unico passo incerto è il cambio di motore a Salta, che per contro ha cercato o ha trovato un po’ di fortuna, e al quale passare accanto al baratro ha dato l’adrenalina per esprimere una parte di quel potenziale di aggressività che è più facile riconoscere in Marc Coma.
Resta il mistero Lopez. Non tanto per gli evidenti alti e bassi, tre vittorie di tappa alternate ad altrettante giornate sconcertanti, quanto per la bassa velocità degli ultimi due giorni, che è “sospetta”. Poiché “Chaleco” ha nelle doti tecniche ed atletiche la velocità per stare davanti, viene da pensare che il cileno abbia in serbo un sorpresa riservata alle tappe del ritorno nel deserto di casa sua. Certo, se di sorpresa si tratta, il cileno deve averla pensata grossa, perché deve valere almeno 15 minuti-mezz’ora, motore più o motore meno.

La Dakar delle Auto: grazie ai buggy Red-Bull Dakar

Non ci sono misteri nella gara delle auto, ma non ci sono neanche più alternative. La Dakar di oggi, dopo Cordoba, è la gara che si poteva immaginare qualche mese fa, senza storia. Dopo il ritiro di Volkswagen, l’ovvia supremazia del binomio Peterhansel-Mini destinato a ripetersi aveva un po’ stufato, ed è anche per questo che gli organizzatori avevano favorito in tutti i modi il ritorno di Robby Gordon, persino mandandogli a casa i commissari tecnici per aiutarlo a far stare nelle regole l’Hummer dell’americano. In mancanza di una seria alternativa al potenzialmente “noioso” monopolio Mini, si saranno detti, molto meglio dare il bentornato al “baro” che, se anche non ha troppe chance di vincere, almeno è un successo assicurato per lo spettacolo.

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All'inizio della Dakar 2013 sembra che i Buggy Qatar-Red Bull potessero arginare il dominio Mini


Per la Dakar senza troppi motivi da annunciare, dunque, la sorpresa dell’arrivo dei Buggy Qatar-Red Bull è stata come accendere la luce. Di colpo è arrivata l’iniezione insperata di contenuti e di spettacolo. Poco importa se le macchine non avevano girato abbastanza per garantire la tenuta alla distanza, o se i Piloti non le conoscevano quasi come tutti noi. L’importante era aver ritrovato, e poter rivendere, i vincitori di due delle tre ultime edizioni, il riflesso mediatico di due star assolute e l’eccitante atmosfera dell’alternativa possibile, addirittura del duello. Di nuovo Piloti contro, Marche contro.


Una volta partita la corsa, la vera sorpresa è stata la constatazione che effettivamente le macchine del Qatar “tenevano”, che non andavano in tilt dopo cento chilometri e, sorpresa delle sorprese, promettevano reale competitività. Competitività è andare forte. Ma mai come alla Dakar vuol dire anche affidabilità. E in questo caso bisogna essere coscienti che era pretendere troppo. Accontentiamoci di aver apprezzato lo sforzo tecnico dei Buggy di Al-Attiya e Carlos Sainz, di averli visti volare come hovercraft, perfettamente a loro agio sulle dune come sulle piste velocissime, di averli visti in duello tra di loro e insieme contro la Mini di Peterhansel, di aver ridimensionato l’arroganza dell’Hummer. Evitiamo il “l’avevo detto” e ringraziamoli di averci regalato quattro vittorie di tappa, la prima di Sainz e le tre per il Principe del Qatar, che rimanendo al secondo posto per sei giorni ci ha dato l’illusione che quell’alternativa al risultato più “ovvio” fosse in effetti praticabile.

Dopo Cordoba e dopo il ritiro di Al-Attiya la Dakar delle auto è tornata sui binari della logica più fredda, portando un altro osanna al fenomeno più rappresentativo della sua storia, Stephane Peterhansel

Peterhansel torna l'unico dominatore nelle auto

Dopo Cordoba e dopo il ritiro di Al-Attiya la Dakar delle auto è tornata sui binari della logica più fredda, portando un altro osanna al fenomeno più rappresentativo della sua storia, Stephane Peterhansel. È tornata anche in uno di quei sensi unici, anche un po’ “noiosi”, caratterizzati dalle vittorie in serie di uno stesso “individuo” e dalla conseguente “mattanza” delle alternative. Ma non si lamentino gli appassionati della Dakar delle auto, se oggi il “mostro” Peterhansel ridimensiona il loro desiderio di uno scontro tra titani tutti i giorni. Pensino che quello stesso “Peter” che oggi appiattisce la categoria con la sua inarrivabile classe, ha “esasperato” gli appassionati della Dakar delle moto con sei vittorie, e che se non fosse intervenuto per due volte il nostro Edi Orioli a “spezzare la monotonia” con i successi del ’94 e ’96, quasi tutto il decennio sarebbe stato un “desolante” senso unico.


Nessun bilancio particolare, dunque, solo una piccola serie di remainder. Oddio, se non un bilancio almeno un check-up della Dakar lo si può fare, e da questo si evince che gode di ottima salute. Economicamente, infine, sta benone. Non risente della crisi planetaria, registra il tutto esaurito e il fatto che i Paesi di mezza America se la contendano a suon di milioni le fa vivere un momento davvero magico.

Classifiche

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