De Vita: «Incidente sull’A21: colpa della distrazione? Forse, ma non solo…»

De Vita: «Incidente sull’A21: colpa della distrazione? Forse, ma non solo…»
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Enrico De Vita
  • di Enrico De Vita
Il terribile schianto con sei vittime ad una manciata di ore dalle feste per il Capodanno ripropone in tutta la sua urgenza il tema della convivenza tra autoveicoli e Tir
  • Enrico De Vita
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5 gennaio 2018

Il 2018 è iniziato là dove il 2017 era da poco finito: sulle strade italiane, purtroppo, continua la strage. E se i sei morti dell’A21 hanno giustamente scosso le coscienze di tutti per la dinamica drammatica che ha portato prima all’impatto e poi al rogo indomabile, come dimenticare le quattro vittime che a poche ore dalla mezzanotte del nuovo anno hanno lasciato l’anima sull’asfalto in Puglia?

L’argomento è delicato, ma tocca ognuno, specie in giorni solitamente destinati alle vacanze ed allo svago; non caso, durante la trasmissione radiofonica “Tra poco in edicola“, condotta da Stefano Mensurati ed andata in onda su Rai Radio1 a poche ore dall’incidente di Brescia, oltre alle considerazioni del “nostro“ Enrico De Vita e di Giordano Biserni, presidente di Asaps (associazione amici della Polizia stradale), c’è stata una grande partecipazione del pubblico all’ascolto, con interventi in diretta e messaggi.

Una tragica fatalità, certo, perché l’incendio del camion non era prevedibile (si è parlato di esplosione, ma erano i pneumatici del veicolo che esplodevano in successione man mano che venivano raggiunti dal fuoco), tuttavia è indubbio, come sottolinea Biserni, che «ben il 38% degli incidenti in autostrada coinvolge veicoli commerciali e che il trasporto di materiali infiammabili presenta rischi potenziali sempre elevati. E poi, a fronte di una diminuzione del numero di incidenti, si registra nell’ultimo anno una crescita delle vittime: quasi che, dopo anni in cui grazie a misure come patente a punti, tutor ed omicidio stradale, hanno dato risultati positivi, si sia oggi tornati indietro».

«Negli anni - ricorda De Vita - le auto sono diventate molto più sicure, ed infatti le vittime in vettura sono diminuite, mentre aumentano quelle tra gli utenti deboli, come pedoni, ciclisti e motociclisti. E sono cresciute le vittime per grandi sciagure stradali, come gli incidenti che coinvolgono mezzi pesanti ed autobus. D’altro canto, a cambiare è proprio la struttura del traffico: in autostrada, ormai, auto e Tir quasi si equivalgono quanto a numero, come può constatare chiunque abbia modo di transitare sull’A1 o altre arterie interessate da grande traffico. Ma è evidente a tutti la sproporzione esistente tra un Tir che dovrebbe viaggiare massimo a 90 km/h e può pesare fino a 44 tonnellate ed un’autovettura che a stento arriva a 2 tonnellate: in caso di incidente, la massa di un autotreno si trasforma in un potenziale distruttivo gigantesco, perché ha bisogno di almeno 140 metri per arrestarsi dalla velocità massima. Di questo dovremmo ricordarci viaggiando in autostrada, perché non lasciare lo spazio di frenata è come avere una bomba alle spalle. L’ideale sarebbe separare la marcia delle vetture da quella delle merci, ma è un traguardo all’infinito. Un rimedio immediato si avrebbe invece imponendo l’obbligo di rispettare la distanza di sicurezza, ma il Codice non prevede un valore o un metodo che possa consentire alle forze dell’odine di misurarla e di sanzionare il mancato rispetto. Paradossalmente, si considera non rispettata la distanza di sicurezza solo quando si tampona. Cioè, a incidente avvenuto. In ogni caso, un miglioramento certo si avrebbe aumentando i controlli, ma sappiamo tutti che questo purtroppo non accade, anche per la riduzione costante dell’organico della Polizia Stradale, che non riesce a garantire la verifica di tutti i veicoli che si immettono in autostrada. E poi aggiungiamo anche l’incapacità di molti automobilisti di viaggiare in autostrada, andando a infilarsi fra due Tir che viaggiano vicini o, peggio, piazzandosi sulla corsia centrale anche quando quella destra è libera. Occorrerebbe da parte di tutti rispettare le regole di convivenza: mentre oggi assistiamo a un imbarbarimento della circolazione stradale».

«C’è un altro problema - sottolinea Biserni -: nell’agenda politica del nostro Paese, l’argomento della sicurezza stradale è retrocesso, superato da altre necessità. Ma senza dubbio l’aver rinviato la modifica del Codice della Strada, con la prevista sospensione della patente per chi usa il telefono alla guida, non è un bel segnale. Dobbiamo poi aggiungere la demolizione del sistema di gestione delle strade, soprattutto statali, regionali e provinciali, spesso al limite di chiusura per mancanza di manutenzione, le troppe buche, la segnaletica carente e non aggiornata. Anche certe sentenze fantasiose di giudici di Pace, che accolgono i ricorsi contro Tutor ed etilometro, mi appaiono come un’aggressione ai sistemi di controllo».

«L’autovelox è uno strumento importante - ricorda De Vita - ma è anche vero che alcuni Comuni lo hanno utilizzato, e continuano a farlo, per fare cassa; quando l’uso è distorto, o non in linea con quanto prevede la norma, è giusto utilizzare l’arma dei ricorsi per far valere le proprie ragioni. Ma di motivi per protestare ce ne sono diversi: l’etilometro è un sacrosanto strumento, ma purtroppo il Ministero non fornisce alla Polizia i fondi per la loro revisione; i Comuni non chiudono le buche sulle strade, ma aprono polizze assicurative per coprire finanziariamente gli amministratori nelle loro responsabilità; la Polizia Stradale è in perenne emergenza di organico e non riesce a garantire il controllo sui comportamenti sbagliati di chi è al volante; la struttura stradale e autostradale del Paese mostra i suoi anni e le tanti stagioni di mancata manutenzione».

Molti incidenti, come hanno sottolineato diversi ascoltatori, nascono da stanchezza, disattenzione, distrazione; ma c’è anche ci segnala come il controllo delle pattuglie di Polizia sia minimo, e che le uniche auto in servizio sono ferme magari in autogrill o presso gli ingressi delle autostrade, e non lungo i percorsi, mentre invece - come accade in nazioni a noi vicine come Austria o Slovenia - è proprio dal costante controllo sul territorio che si basa la deterrenza dei comportamenti sbagliati.

Le conclusioni sono affidate al pensiero di De Vita: «Immaginiamo il traffico come un malato: dobbiamo pensare alle strutture per curarlo e non intasare il Pronto Soccorso. Fuor di metafora, abbiamo bisogno di arterie per far scorrere i veicoli: vediamo cosa accade nelle metropoli di tutto il mondo per adeguare le infrastrutture al crescere della circolazione e quanto poco facciamo noi, ancora con autostrade ferme alla rete del 1980, con due o tre corsie nella migliore delle ipotesi. Nel 1987, quando a Milano fu inaugurata la terza corsia della tangenziale, scrivevo che per le esigenze del traffico di allora gli studi di ingegneria indicavano la necessità di dieci corsie. Se come per l’incidente di Manerbio, la causa principale è stata la disattenzione abbinata alla mancanza di spazio per la frenata, diventa urgente che anche sui Tir siano applicati quei moderni sistemi di sicurezza, come la frenata autonoma, che oggi equipaggiano le vetture e rendono meno frequenti i tamponamenti. Ma purtroppo i Tir che girano in Italia non sono così moderni da poter supportare tale tecnologia».

 

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