Pagani: «la passione è la nostra forza»

Pagani: «la passione è la nostra forza»
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Alessandro Colombo
  • di Alessandro Colombo
Horacio Pagani, fondatore dell’omonimo marchio, ha raccontato la sua storia personale ai Giovani di Confindustria per spronarli ad affrontare le difficoltà e incoraggiarli a lavorare duramente per perseguire degli obiettivi
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13 giugno 2012

Como – Ha avuto luogo nella giornata di ieri 12 giugno al numero 1 di via Raimondi l’assemblea 2012 del Gruppo Giovani di Confindustria, al fine di illustrare alle giovani leve le difficoltà della situazione contingente, spronando però gli stessi a superarle.

Proprio per illustrare loro come fronteggiare al meglio un periodo di difficoltà è qui intervenuto in questa occasione al fianco di Alessandro Rampoldi, Presidente del Gruppo Giovani Industriali di Como, e Paolo Gila, giornalista economico-finanziario, Horacio Pagani, fondatore del celebre e omonimo marchio di auto di San Cesario sul Panaro, che ha in questa occasione spiegato, tramite la narrazione della propria esperienza personale, come la determinazione possa influire nel fronteggiare le difficoltà.

Horacio Pagani è infatti un vero e proprio esempio vivente dei risultati che si possono cogliere nella vita grazie alla determinazione e alla passione, anche quando le condizioni di partenza si rivelano essere tra le più semplici ed umili, poiché non esiste forse migliore metafora, almeno nel campo dell’automotive, del proverbiale passaggio “dalle stalle alle stelle” di quello compiuto dal costruttore italo-argentino.

Pagani è infatti una persona dal carattere unico, in quanto dotato di un lato umano difficilmente ravvisabile in altri costruttori di vetture o oggetti di lusso, poiché riesce a trasmettere come nessun altro la forza di una “vita vissuta” e profondamente segnata dalla volontà di inseguire un sogno.

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Horacio Pagani, fondatore del celebre e omonimo marchio di auto di San Cesario sul Panaro, ha in questa occasione spiegato, tramite la narrazione della propria esperienza personale, come la determinazione possa influire nel fronteggiare le difficoltà

La storia della Pagani è la storia di un uomo

Una persona sempre animata da un fuoco non comune e che l’amico Paolo Gila descrive precisando che: «per quanto si possa cercare di mettere in evidenza la bellezza e la perfezione da brivido delle sue auto è l’incontro con lui che risulta essere l’elemento più avvincente e affascinante. Questo perché non si tratta solo della storia di un’azienda, di un’industria. Ma è soprattutto e prima di tutto la storia di un uomo. Di un uomo che di fronte alla vita non si è mai piegato e non ha mai disconosciuto le proprie origini, conservando un’umiltà e una modestia senza pari, ma mantenendo al contempo l’elastico del sogno teso oltre ogni limite.»

Un’umiltà quella dell’italo-argentino, demarcata dalla sua ricerca delle cause dell’attuale contesto socio-politico-economico e che Horacio individua soprattutto nell’individualismo umano, precisando infatti che «siamo tutti un po’ troppo individualisti. Questa purtroppo è una caratteristica tipicamente latina. Tale egocentrismo rappresenta esattamente l’opposto di quello che oggi è necessario fare per uscire dalla situazione estremamente drammatica attuale.»

E' il team a vincere

Horacio ritiene infatti che la forza più grande dell’individuo possa emergere nel lavoro di squadra, in quanto  «non lavorare in team sarebbe uno spreco grandissimo, poiché ogni persona ha un notevole potenziale. Noi esseri umani siamo come dei chicchi per la semina. Dobbiamo poter essere messi nella terra fertile per poter crescere. Ma questa terra fertile dobbiamo abituarci a pensare che dipende da noi.»

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La vita ed il pensiero di Leonardo da Vinci influirono moltissimo sulla mia formazione e sul mio lavoro. Arte e scienza devono procedere insieme

 

«Dobbiamo essere consapevoli che la terra la dobbiamo lavorare noi. La semina la dobbiamo mettere e dobbiamo irrigare la pianta affinché questa possa un domani dare un frutto, senza aspettarci tanto dalla politica e dal mondo esterno. Dobbiamo lavorare in gruppo per poter tirar fuori da noi stessi tutta l’energia creativa che riusciamo a trasmetterci. Imparare a lavorare insieme agli altri è fondamentale. Per poterlo fare occorre prima di tutto avere una grande stima della persona che si ha di fronte, sapendo che questa persona possa in realtà essere qualcuno che può far crescere te e a sua volta se stesso. Questo è quello che secondo me si deve fare per poter abbandonare tutto l’egocentrismo e la superficialità che ci circondano.»

Leonardo da Vinci? Un modello di riferimento

Horacio passa poi a descrivere come il suo sogno sia poi diventato realtà, ritenendosi «una persona molto fortunata, perché fin da piccolo ho avuto questa grande passione per l’arte e per la tecnica, nonostante i miei genitori fossero di estrazione semplice. Mio padre faceva il fornaio, iniziò a fare il pane a 11 anni e ad 83 lo fa ancora. Questa mia passione è stata la mia fortuna, in quanto mi ha dato fin da piccolo la forza per alzarmi ogni mattina e trovare un motivo importante per andare avanti.»

«Una cosa che ha influito molto sulla mia formazione fu leggere della vita di Leonardo da Vinci. La cosa che mi colpì principalmente di quest’uomo fu l’idea che sosteneva; ovvero che arte e scienza fossero due discipline in grado di camminare insieme mano nella mano.»

Una formazione da autodidatta

«Io non sapevo bene verso cosa orientarmi. Non sapevo che carriera universitaria avrei voluto seguire. Ero predisposto per natura alle discipline artistiche, ma ero anche molto affascinato da quelle tecniche, pertanto pensai che avrei potuto fare qualche scuola di arte o ingegneria. Questo pensiero leonardiano mi ha aperto una grande finestra, ma mi fece capire che non avrei mai potuto trovare un’Università in cui poter studiare sia l’arte che le materie scientifiche, pertanto imparai molte cose da autodidatta. Seguii corsi di disegno industriale, acquisii nozioni ingegneristiche e artistiche, e mi interessai inoltre di filosofia. Questo poiché fin da quando ero piccolo ho creduto che la funzione del designer risiedesse nella capacità di migliorare la qualità della vita e per poter far ciò è fondamentale conoscere le esigenze delle persone.»

Se si nutrono passione e amore per quello che si sta facendo è possibile raggiungere importanti traguardi


«La filosofia leonardiana di unire arte e scienza è per me stata fondamentale, sia in Lamborghini che nella creazione della mia compagnia. Questa realtà - che oggi mi sembra incredibile aver potuto concretizzare - mi fa capire che io dalla vita ho avuto di più di quello che alla vita ho dato, ma questa bella realtà è stata ottenuta anche con grandi sacrifici. Non c’è nulla che si possa raggiungere senza grandi sforzi, se non si è disposti ad affrontare la sofferenza, la lotta, la fatica e la rinuncia.»

La passione è il più potente dei motori

«Se si nutrono passione e amore per quello che si sta facendo, anche se non si è dei “fenomeni”, è possibile raggiungere importanti traguardi. La passione è una forza incredibile, ed è in grado di trasmettere energia ogni giorno. Ogni momento, ogni minuto, ogni secondo della mia vita me lo sono goduto intensamente. Non ho mai pensato una cosa tipo: “quando raggiungerò un determinato traguardo sarò felice”. Credo che la vita sia un po’ come una scala che ti porta sempre verso l’alto e anche nei momenti di difficoltà, quando siamo obbligati a scendere qualche scalino, possiamo trovare la forza di risalire con più energia di prima.»

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Lavorare per seguire solo un traguardo economico è un grande errore. Un’azienda deve ovviamente poter contare su un profitto, altrimenti non sta in piedi, ma pensare che questo possa essere l’unico fine è sbagliato

 

«Lavorare per seguire solo un traguardo economico è un grande errore. Un’azienda deve ovviamente poter contare su un profitto, altrimenti non sta in piedi, ma pensare che questo possa essere l’unico fine è sbagliato. Noi dobbiamo mettere in quello che facciamo tutta la nostra anima e tutte le nostre energie. In Italia abbiamo le potenzialità per poter fare bene, ma dobbiamo essere consapevoli di quello che siamo.»

Lei ha costruito il suo percorso adattandosi a vari lavori ma mantenendo la consapevolezza che il suo destino era chiaro dentro di se e lo ha perseguito. E’ venuto in Italia e ha vissuto ripartendo da zero, ma dopo l’esperienza in Lamborghini ha dovuto cercare qualcuno che le potesse offrire riconoscenza e credito dall’esterno. Chi l’ha aiutata a realizzare quello che ha realizzato?
«Io ho sempre avuto dei modelli da seguire. Leonardo è stato un modello è lo è tutt’ora, ma lo è stato anche mio padre, un uomo straordinario, pieno di valori che ha tutto quello che si può chiedere ad un padre. Oltre a ciò ho avuto la fortuna di incontrare delle persone veramente speciali, tra cui Juan Manuel Fangio, un uomo dotato di una grande ricchezza spirituale, una persona la cui intensità umana era più grande di quella del suo mito.»

«Quando avevo 21 anni avevo realizzato una Formula 2 che correva nel Team ufficiale Renault in Argentina e grazie a Fangio, che all’epoca occupava una posizione di rilievo in Mercedes-Benz, ebbi l’opportunità di entrare in contatto con la Mercedes-Benz negli anni ’90.»

Origini umili

«In Lamborghini io iniziai come operaio di terzo livello. Ho avuto la fortuna di arrivare in azienda in un momento in cui i materiali compositi, come la fibra di carbonio ed il kevlar, iniziarono ad essere impiegati in F1. La Casa si accorse che avevo una buona dimestichezza nella lavorazione degli stessi e mi chiesero così di portare avanti il progetto della realizzazione di un telaio. Dopo un anno venni messo a capo del reparto carrozzerie e dopo 3 divenni capo del design. Ho fatto una carriera rapida, ma ero anche il primo ad arrivare in azienda alle 6:00 del mattino e me ne andavo alle 20:00 della sera. Ho dato tanto alla Lamborghini ma questa ha dato ancor di più a me.»

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In Lamborghini io iniziai come operaio di terzo livello. Ho avuto la fortuna di arrivare in azienda in un momento in cui i materiali compositi, come la fibra di carbonio ed il kevlar, iniziarono ad essere impiegati in F1


«Non ho mai avuto la fortuna di avere degli sponsor, ma ho avuto quella di incontrare della gente che ha creduto in me. Io non potrò mai ridare a Fangio ciò che lui mi ha dato, perché lui ha creduto in me, ha scritto a Ferrari, Alfa Romeo e Lamborghini per permettermi di iniziare. Lui mi ha dato l’opportunità di arrivare qua, di iniziare e lui mi ha messo in contatto con Mercedes-Benz. Pertanto, anche se ho vissuto in tenda con mia moglie per un mese e mi sono dovuto inizialmente arrangiare facendo di tutto, grazie a Fangio ho potuto fare un primo passo.»

Bisogna cogliere le opportunità

«Ci sono poi state altre persone che mi hanno dato fiducia, tra cui l’Ingegner Alfieri di Lamborghini, che ha creduto nella mia voglia di fare. Quando ti viene data un’opportunità il resto poi tocca a te. Io sono contento di aver potuto avere questa opportunità.»

«Grazie all’esperienza maturata in Lamborghini acquisii dimestichezza nella realizzazione dei telai. Quando creai la mia compagnia, nel 1988, comprai un’autoclave e portai avanti nel corso degli anni il progetto della Zonda lavorando di notte, nei sabati e nelle domeniche, perché di giorno bisognava guadagnare i soldi per acquistare il materiale necessario a sviluppare il progetto.»

«Un grande supporto morale fu per me l’allora Direttore di Ricerca e Sviluppo Mercedes-Benz, che quando vide i disegni della Zonda disse: “questa è una macchina senza tempo!” Questo nel 1993, quando tramite Fangio chiesi la possibilità di ricevere un motore da poter montare sulla vettura. In seguito gli uomini di Mercedes-Benz vennero poi a vedere la nostra piccola realtà. Noi all’epoca avevamo un capannone in affitto a Sant’Agata Bolognese e quando venimmo a sapere che sarebbero venuti a farci visita i ragazzi della Stella eravamo nel panico, poiché noi eravamo in 4 gatti e pensammo: come facciamo? Se questi arrivano qui e ci vedono così scappano via, si mettono a ridere!»
 

Ho avuto la fortuna di incontrare delle persone veramente speciali, tra cui Juan Manuel Fangio, un uomo dotato di una grande ricchezza spirituale, una persona la cui intensità umana era più grande di quella del suo mito

«Comprammo quindi dei camici in più e coinvolgemmo i vicini di casa per rendere tutto più credibile! Dopo la loro visita arrivò una lettera del Presidente della Mercedes-Benz con cui ci annunciò che avremmo ricevuto un motore per lo sviluppo della vettura, in quanto gli uomini di Stoccarda rimasero piacevolmente impressionati dal progetto.»

La nostra più grande forza al debutto è stata la credibilità

«Da allora a quando presentammo la vettura a Ginevra nel 1999 trascorsero 5 anni perché non avevamo i soldi e dovevamo lavorare di giorno per guadagnare quanto necessario per poi andare avanti nella notte e nel week end. Questi sforzi hanno poi pagato in termini di credibilità, in quanto quando presentammo la vettura questa era già conforme e omologata agli standard di sicurezza necessari.»

«Sono quindi molto grato a chi ha creduto in me e nei miei sogni, a quel signore che si chiamava Fangio, che originariamente doveva essere anche il nome della mia vettura. Purtroppo però nel 1999 Fangio non c’era più e per me era una enorme responsabilità chiamare la vettura con il nome di una persona così grande ed importante, pertanto scelsi Zonda un mese prima della presentazione.»

Iniziare a costruire supercar è stata dura

«Da allora riuscii a mantenere un buon rapporto con i vertici di Daimler. Oggi siamo l’unica compagnia al mondo indipendente, il 93,3% della stessa appartiene alla mia famiglia, mentre il restante è in mano alla Logitec, che è però parte integrante del nostro team, lavora con noi e partecipa alle nostre decisioni. Tutto è stato difficile, ma per fortuna la passione ci ha sostenuto.»

«E’ stato difficile perché noi abbiamo iniziato a realizzare questo progetto dopo la Guerra del Golfo, un periodo particolarmente funesto per i produttori di supercar: in Ferrari molte persone erano in cassaintegrazione e la Bugatti era recentemente fallita. Abbiamo pertanto dovuto mantenere questo progetto segreto. Nemmeno le banche sapevano cosa stavamo facendo, perché se avessimo detto che stavamo realizzando un’automobile non ci avrebbero mai dato i fondi.»

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Sono molto grato a chi ha creduto in me e nei miei sogni, a quel signore che si chiamava Fangio, che originariamente doveva essere anche il nome della mia vettura


«Oggi siamo una realtà solida che non ha debiti e che finanzia inoltre interamente i propri progetti. Siamo stati eletti lo scorso anno come il miglior brand del lusso italiano in Cina, abbiamo clienti in tutto il pianeta, tra cui molti affezionati che hanno più di una nostra vettura, in quanto gli diamo rispetto e lavoriamo duramente per loro.»

Voi fate moltissimo in termini di ricerca dei materiali. Qual è il valore aggiunto che come Pagani siete riusciti ad introdurre in una supercar come questa?
«Avendo iniziato dalla metà degli anni ’80 a lavorare sui materiali compositi la ricerca e lo sviluppo ci hanno permesso essere all’avanguardia in questo settore. Abbiamo collaborato anche con molti progetti esterni: nel 1994 insieme alla Renault facemmo una monovolume che pesava soltanto 800 kg e che era dotata di due motori elettrici oltre al termico, anticipando così gli ibridi. Abbiamo lavorato con la Ferrari per lo sviluppo di progetti F1 innovativi. Lavoriamo su più settori che ci permettono di incrementare la nostra tecnologia.»

«Facendo ciò siamo arrivati a creare nuovi materiali. Abbiamo delle fibre con il nostro disegno, con la nostra trama, abbiamo sviluppato un tessuto di carbo-titanio con cui realizzare i telai, che hanno così una resistenza di impatto più elevata di quelli in fibra di carbonio. L’innovazione per noi è fondamentale. Il nostro lavoro è composto dalla parte artistica e da una scientifica. Abbiamo creato il sistema di qualità Pagani, certificato ad ottobre dello scorso anno, consistente in un sistema che non solo controlla tutto il processo dal lato ingegneristico e creativo ma che è anche in grado di tener conto della parte artistica, in quanto un prodotto di questo tipo deve scaturire un’emozione.»

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