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Come anticipato dal Financial Times e confermato a What Car?, il governo britannico guidato dal Cancelliere dello Scacchiere Rachel Reeves intende introdurre una nuova tassa “pay-per-mile” per i conducenti di auto elettriche. Si tratta di una misura destinata a far discutere, perché potrebbe diventare un precedente per tutta l’Europa, Italia compresa.
In questi giorni il Regno Unito sta discutendo il bilancio 2026, e tra i nodi più delicati c’è il calo delle entrate fiscali legate ai carburanti. Con la rapida crescita del parco elettrico britannico — oggi circa 1,3 milioni di veicoli, che diventeranno 6 milioni entro il 2028 — il governo ha visto ridursi drasticamente le entrate derivanti dalle accise su benzina e diesel, una delle principali fonti fiscali per la manutenzione delle strade e dei servizi pubblici.
Secondo le stime riportate da The Telegraph, la nuova tassa chilometrica permetterebbe di recuperare fino a 1,8 miliardi di sterline l’anno entro il 2031, andando a compensare le perdite sulle accise.
Il nuovo sistema, che dovrebbe essere annunciato ufficialmente nel Budget invernale del 26 novembre 2025 e attuato dal 2028, introdurrà un contributo di 3 penny per miglio percorso — circa 4,8 centesimi di euro al chilometro — da parte dei conducenti di auto elettriche. La tassa si aggiungerà al Vehicle Excise Duty (VED), il bollo britannico, che per le elettriche dal 2025 ammonta a 195 sterline l’anno.
In pratica, un automobilista medio che percorre 8.000 miglia all’anno (12.800 km) si troverà a pagare circa 435 sterline tra VED e tassa a miglio: 240 per la nuova imposta e 195 di bollo.
Il sistema sarà basato su un meccanismo di pre-pagamento: ogni conducente dichiarerà in anticipo il proprio chilometraggio stimato per l’anno successivo. Se a fine anno avrà percorso meno strada, riceverà un credito; se invece avrà superato la soglia stimata, dovrà versare un conguaglio. Il governo esclude, almeno per ora, l’uso di sistemi di tracciamento GPS o telematici, per contenere i costi e tutelare la privacy.
L’esecutivo britannico difende la nuova tassa come una misura di equità tra automobilisti: "È giusto cercare un sistema che finanzi in modo equo strade, infrastrutture e servizi pubblici", ha dichiarato un portavoce del governo alla BBC. Il principio è chiaro: se chi guida auto a benzina paga attraverso le accise sul carburante, anche chi guida elettrico dovrà contribuire al mantenimento delle infrastrutture.
Ma per l’industria e le associazioni automobilistiche, il messaggio è tutt’altro che chiaro. Secondo un dirigente citato da What Car?, la tassa “manda segnali contraddittori”: da un lato il governo sostiene la diffusione dei veicoli a batteria con incentivi e semplificazioni burocratiche per i punti di ricarica, dall’altro introduce un nuovo costo ricorrente che potrebbe scoraggiare l’acquisto di auto elettriche.
L’AA (Automobile Association) ha invitato l’esecutivo a “muoversi con cautela”, avvertendo che la misura potrebbe “rallentare la transizione all’elettrico proprio nel momento in cui inizia a consolidarsi”.
L’aspetto che preoccupa di più osservatori e analisti è però un altro: la possibilità che la tassa a chilometro venga presto imitata anche da altri Paesi, inclusi quelli dell’Unione Europea. Il problema della perdita di gettito fiscale non è infatti solo britannico. Con la progressiva elettrificazione del parco circolante, anche i governi europei dovranno presto fare i conti con il calo delle accise sui carburanti, che in Italia rappresentano oltre il 50% del prezzo alla pompa.
Per ora nessun Paese dell’UE ha presentato piani analoghi, ma la mossa di Londra potrebbe aprire la strada a un nuovo modello di tassazione “a consumo”, basato sui chilometri percorsi anziché sul carburante bruciato. Un modello che, se adottato anche altrove, cambierebbe radicalmente il calcolo di convenienza dell’auto elettrica: dopo il rincaro dei costi dell’energia, arriverebbe anche un prelievo fiscale sull’utilizzo, erodendo il vantaggio economico rispetto ai motori termici.
La tassa a miglio per i veicoli elettrici rappresenta un punto di svolta potenzialmente epocale. Dopo anni di incentivi, bonus e agevolazioni, i governi iniziano a porsi una domanda cruciale: chi pagherà le strade del futuro, se nessuno farà più benzina o diesel?