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Domani potrebbe essere il giorno della svolta e, dopo settimane di indiscrezioni, fughe di notizie e prese di posizione sempre più nette, la Commissione europea è chiamata a fare chiarezza sul futuro del bando alle auto con motore endotermico dal 2035. Un dossier diventato ormai politico, industriale e simbolico, che divide governi, Parlamento Ue e industria automobilistica come pochi altri temi del Green Deal.
Ad oggi, è bene chiarirlo subito, il divieto resta formalmente in vigore: dal 1° gennaio 2035 l’obiettivo fissato dalla normativa europea è una riduzione del 100% delle emissioni di CO₂ delle nuove auto, che di fatto equivale allo stop alla vendita di vetture a benzina e diesel, con la sola eccezione di elettriche a batteria e modelli a idrogeno. Tuttavia, le pressioni per una revisione sono ormai tali da rendere inevitabile una decisione politica, attesa proprio tra il 16 e il 17 dicembre.
A far esplodere il caso è stata la Germania. Secondo quanto riportato da Bild, dopo un negoziato serrato a Bruxelles, la presidente della Commissione Ursula von der Leyen e il leader del Partito Popolare Europeo Manfred Weber avrebbero raggiunto un’intesa per superare il bando totale, sostituendolo con un obiettivo di riduzione del 90% delle emissioni di CO₂ per le flotte a partire dal 2035, senza arrivare mai al 100%, nemmeno nel 2040.
Una formula che, nelle parole di Weber, metterebbe fine al “divieto tecnologico” del motore termico e consentirebbe di continuare a produrre e vendere anche motori oggi costruiti in Germania. Una lettura accolta con favore dall’industria – BMW in testa – ma che da Bruxelles viene ufficialmente trattata con cautela: la Commissione, per ora, si limita a confermare che esiste una “chiara richiesta di maggiore flessibilità”, senza avallare accordi già chiusi.
Se Berlino guida il fronte favorevole a una revisione sostanziale del 2035, l’Europa appare tutt’altro che compatta.
Germania e Italia spingono per una maggiore neutralità tecnologica, con aperture a e-fuel, biocarburanti e soluzioni intermedie.
I Paesi dell’Est (Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria) sostengono apertamente la causa delle ibride plug-in, chiedendo che possano sopravvivere oltre il 2035.
La Francia, inizialmente allineata alle posizioni più rigide, ha ammorbidito la sua linea, aprendo a deroghe purché accompagnate da forti tutele per la produzione europea.
La Spagna, invece, resta il baluardo del fronte del “no”.
Madrid ha scritto direttamente a Ursula von der Leyen per ribadire la propria contrarietà a qualsiasi allentamento del bando. Per il governo Sanchez, ogni flessibilità rischia di rallentare gli investimenti, frenare la domanda di elettrico e compromettere la competitività industriale. No anche a deroghe per le plug-in hybrid, considerate solo una tecnologia transitoria e da limitare nella produzione.
Una posizione che, paradossalmente, non è condivisa da tutta la filiera spagnola: i fornitori di componenti temono fino a 80 mila posti di lavoro a rischio in Europa senza una revisione delle regole, mentre Seat ha ammesso che un rinvio aiuterebbe la transizione, pur dichiarandosi pronta a rispettare il 2035 se confermato.
Dietro il confronto politico si muovono quattro scenari principali, molto diversi tra loro:
Rinvio al 2040: Il bando resterebbe identico, ma posticipato di cinque anni. È l’opzione più semplice, ma anche la più esplicita nel rinnegare la tabella di marcia del Green Deal.
Corsia preferenziale per le plug-in hybrid: Consentire alle Phev di superare il 2035, riconoscendo il loro contributo alla riduzione delle emissioni. Un’ipotesi che solleva dubbi industriali e geopolitici, visto il ruolo dominante della Cina in questo segmento.
Deroga per e-fuel e biocarburanti: È la soluzione cara alla Germania (e all’Italia): salvare il motore termico se alimentato da carburanti climaticamente neutri. Il nodo resta il costo, oggi molto elevato, soprattutto per gli e-fuel.
Quota di riduzione al 90%: La proposta attribuita a Weber: formalmente cambia tutto, sostanzialmente poco. Con un limite di circa 11 g/km di CO₂, oggi irraggiungibile per qualsiasi auto non elettrica, il divieto resterebbe di fatto intatto.
Dopo il rinvio dell’incontro del 10 dicembre e le incertezze sull’agenda ufficiale, domani dovrebbe arrivare finalmente una risposta politica, se non definitiva almeno chiarificatrice. La Commissione è chiamata a scegliere se difendere l’impianto originario del Green Deal o certificare che la transizione, così come disegnata nel 2019, non è più sostenibile né economicamente né industrialmente.
Qualunque sarà l’esito, una cosa è ormai evidente: il 2035 non è più un tabù intoccabile, ma il centro di un compromesso che l’Europa non può più rimandare. E che, questa volta, difficilmente passerà inosservato.