Tassa sulle auto aziendali: una stangata piena di perché

Tassa sulle auto aziendali: una stangata piena di perché
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  • di Luciano Lombardi
Tutto quello che c'è da sapere su un provvedimento osteggiato da tutti e che ora rischia anche di vedere la luce in momento molto più spostato in avanti nel tempo
  • di Luciano Lombardi
4 novembre 2019

Quella dell'aumento delle tasse a carico dei dipendenti che hanno in dotazione l'auto aziendale rischia di essere la cara, vecchia, solita vicenda all'italiana.

Proposta dal Movimento 5 Stelle, in prima battuta, era salutata con favore da tutto il resto dello schieramento politico. Che, tuttavia, non ha tardato a fare dietro front. Troppo impopolare visto che andrebbe a colpire i circa 2 milioni di lavoratori subordinati che oggi godono di questo fringe benefit, devono essersi detti i leader delle rispettive forze, da destra a sinistra, tra le quali ha spiccato la levata di scudi di Matteo Renzi, leader di IV, che ha addirittura lanciato l'idea di una consultazione popolare mediante raccolta di firme.

Di fronte a cotanta opposizione, il ministro pidiessino dell'Economia, Roberto Gualtieri si è fermato e ha fatto un passo indietro, sollevando perplessità e obiezioni sia sui meccanismi con i quali il provvedimento dovrebbe essere applicato, sia sui tempi della sua introduzione, proponendo l'apertura di un tavolo di confronto che coinvolga tutti i soggetti coinvolti nel settore.

In un'intervista a La Stampa, il titolare del dicastero ha tenuto anche a precisare che, quella sulle auto aziendali, non sarebbe tecnicamente una tassa quanto, piuttosto, “la riduzione di un sussidio, finanziato attraverso la fiscalità generale, che è superiore alla media Ocse e va indistintamente anche au veicoli molto inquinanti, fatta per promuovere la transazione a vetture a bassa emissione. Mi sembra in sé ragionevole”.

Una delle conseguenze dell'eventuale norma che ci preme sottolineare è che, oltre al fatto che il gettito imputabile a questa stretta è contenuto (circa 332 milioni di euro per il 2020, 378 nel 2022 e 360 nel 2026), nel modo in cui è stata pensata, il fisco perde due volte: sull'Iva - che verrebbe meno per le mancate vendite (ricordiamo che - anche se nella manovra sono escluse le auto in uso ad agenti di commercio e rappresentanti, cioè il 25 per cento delle vetture individuate, il 40 per cento del mercato è rappresentato dalle “aziendali”) - e sul fatto che adesso si vuole addirittura consentire la deducibilità al 100 per cento per le auto “ecologiche”, cioè le ibride e le elettriche. In entrambi i casi, il peso dell'auto sul reddito resterà limitato al 30% del costo convenzionale stabilito dall'Aci su una percorrenza annua di 15 mila km.

Il controsenso dell'ecologico

Scorrendo il testo della documentazione tecnica legata alla manovra, apprendiamo che, invece, per le auto a benzina e diesel, in tutti i casi in cui le emissioni arrivano fino ai 160 grammi di CO2 al chilometro l'aumento della tassazione passerà dal 30 al 60 per cento sul reddito, che arriverebbe fino al 100 per cento per le vetture aziendali che emettono oltre 160 grammi di CO2 al chilometro. Con aggravi fiscali tra i 2.000 e i 2.400 euro l'anno.

A tale proposito, vogliamo anche segnalare che, ancora una volta, si utilizza in maniera impropria la locuzione “inquinante”, collegandola all'emissione della CO2. Si tratta di un grande - e grave - controsenso, poiché in realtà l'emissione di anidride carbonica è un indice di consumo, e non di inquinamento, poiché contribuisce all'effetto serra che, invece, appunto, inquinamento non è.

Resta il fatto che, considerando l'iter classico che situazioni del genere percorrono nel sistema politico italiano, non ci sarebbe da stupirsi se la porzione di testo della manovra arrivasse in Parlamento pesantemente modificata e non è neppure da escludere che, a breve, si cominci a sentir parlare di un rinvio, addirittura nel 2021.

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