Tecnica e storia: canne per tutti! (Seconda parte)

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Massimo Clarke
  • di Massimo Clarke
L’evoluzione della tecnologia dei cilindri nei motori di serie e da corsa
  • Massimo Clarke
  • di Massimo Clarke
5 aprile 2018

Diversi costruttori sono rimasti sempre fedeli allo schema “monolitico”, che prevede un basamento in ghisa (completo di blocco cilindri, come vuole la classica scuola automobilistica), realizzato per fusione in terra. In questo caso le canne sono integrali.

La soluzione è semplice e vantaggiosa dal punto di vista dei costi, ma non sempre è ottimale. Nei motori dei veicoli industriali di grossa cilindrata, per i quali da diversi anni a questa parte la vita utile si misura in milioni di chilometri e i fermi macchina devono essere ridotti al minimo sia come numero che come durata, è vantaggioso impiegare basamenti in ghisa con canne riportate in umido, del tipo con bordino di appoggio superiore. Quando l’usura diventa eccessiva, si sostituiscono semplicemente i gruppi canna/pistone (già accoppiati); l’operazione può essere effettuata agevolmente e rapidamente. In certi casi si impiegano canne secche, inserite con forzamento nella bancata dei cilindri. Questa soluzione non solo consente di procedere a nuova incamiciatura quando necessario, ma permette anche di impiegare per le canne una ghisa diversa da quella utilizzata per il basamento. Per quest’ultimo, che ha una geometria complessa e spesso dimensioni rilevanti, è opportuno impiegare una ghisa dotata di una ottima colabilità (e un costo contenuto). Per le canne si può impiegare invece una ghisa con una superiore resistenza sia all’usura da sfregamento che alla corrosione. Oltre a poter essere realizzate con una ghisa diversa, le canne riportate potevano essere ottenute per fusione centrifuga e/o venire sottoposte a opportuni trattamenti, tra i quali la nitrurazione.

La resistenza alla corrosione è spesso di notevole importanza per i diesel, in particolare considerando il fatto che in alcune nazioni si possono ancora trovare gasoli con un significativo tenore di zolfo. In passato anche in Europa occidentale si sono avuti problemi di questo genere, che hanno obbligato alcuni costruttori ad impiegare canne riportate a secco nel blocco in ghisa di certi diesel automobilistici di loro fabbricazione.

Per diverso tempo la Renault ha prodotto motori a benzina con basamento in ghisa e canne umide realizzate nello stesso materiale. La scelta, oltre che per agevolare certi interventi riparativi e minimizzare il rischio di errori da parte delle officine di rettifica (si era negli anni Cinquanta, e inoltre diverse vetture andavano a finire nei paesi del terzo mondo), si spiegava anche col fatto che utilizzando uno stesso basamento era possibile realizzare motori con cilindrate differenti semplicemente sostituendo i gruppi canna/pistone con altri aventi alesaggio differente.

Durante gli anni Sessanta nei blocchi cilindri in lega di alluminio dei motori automobilistici di serie in aggiunta alle canne riportate in umido hanno iniziato a diffondersi in misura apprezzabile quelle riportate a secco (che già da tempo erano largamente utilizzate in campo motociclistico). Potevano essere piantate con interferenza, impiegando una pressa e magari scaldando il basamento o raffreddandole convenientemente, oppure potevano essere incorporate all’atto della fusione. Questa seconda soluzione, che oggi viene largamente utilizzata, è stata ad esempio adottata sul quadricilindrico monoalbero della Hillman IMP, apparso nel 1963, e in un V8 adottato dalla Buick e dalla Oldsmobile (F 85 del 1961). Il basamento di queste due ultime vetture americane, ben presto abbandonato dalla GM a favore di un altro in ghisa, è stato in seguito utilizzato dalla inglese Rover (che lo realizzava per colata in terra e non in conchiglia e che impiegava canne montate alla pressa) e, con le debite modifiche, dalla australiana Repco per il suo 3000 di Formula Uno che, montato su una Brabham, si è imposto nel mondiale del 1966. Pure l’anno successivo il V8 Repco ha vinto il titolo, ma con un basamento disegnato ex-novo, come le teste.

Nei motori da competizione per decenni si è preferito utilizzare canne riportate in umido, generalmente del tipo con bordino di appoggio superiore e ovviamente inserite in blocchi in lega di alluminio. Nell’era turbo, ossia negli anni Ottanta, le cose sono però cambiate e alcuni costruttori, come BMW, Honda e Ferrari (nell’ultimo periodo) hanno utilizzato basamenti in ghisa.

In alcuni motori, dapprima da competizione e quindi anche di serie, sono state impiegate canne umide solo nella parte superiore, che si estende per circa un terzo della intera lunghezza, ha uno spessore maggiore e termina con un bordino di appoggio. La parte inferiore di queste canne è invece secca e viene inserita nel basamento con un certo forzamento. In questo modo la zona più sollecitata dal punto di vista termico gode di un miglior raffreddamento. Questa soluzione “semisecca” è stata spesso adottata in motori Ferrari e Maserati.

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