Tecnica e storia: l’evoluzione della distribuzione (Terza parte)

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Massimo Clarke
  • di Massimo Clarke
Come e perché gli alberi a camme si sono trasferiti dal basamento alla testa
  • Massimo Clarke
  • di Massimo Clarke
25 ottobre 2018

Quando sui motori di serie le distribuzioni ad aste e bilancieri dominavano la scena era chiaro che il progredire della tecnica e la necessità di soddisfare esigenze sempre crescenti da parte del mercato a un certo punto avrebbero reso necessario anche per le vetture di grande diffusione il passaggio a schemi costruttivi con uno o due alberi a camme in testa. Questi erano presenti già da lungo tempo ma venivano riservati solo a modelli di notevole livello o di elevata raffinatezza tecnica.

Per ragioni economiche diversi costruttori europei hanno continuato a costruire motori ad aste e bilancieri (OHV) fino a non molti anni fa. Li avevano già e hanno continuato a produrli fino a che non sono diventati obsoleti.

È in ogni caso opportuno ricordare che alcuni motori con questo tipo di distribuzione hanno raggiunto livelli sviluppo tali da consentire prestazioni di notevole rilievo. Basta pensare ai V8 americani delle gare NASCAR e allo straordinario Mercedes-Ilmor 500 I da 1000 CV che ha vinto a Indianapolis nel 1994 (sfruttando al meglio le possibilità offerte dl regolamento). In campo moto vanno segnalate almeno le Aermacchi Ala d’Oro 250 e 350, monocilindriche da competizione destinate ai piloti privati degli anni Sessanta, e la “tranquilla” Honda CX 500 bicilindrica, entrata in produzione nel 1978, che sul contagiri aveva il segno rosso a 10.000 giri/min.

Alla lunga era comunque inevitabile che la superiorità delle distribuzioni con uno o due alberi a camme in testa portasse alla loro affermazione definitiva. Riducendo il numero di componenti tra la camma e la valvola si diminuiscono le masse mobili e si ottiene una maggiore rigidezza. Di conseguenza diventa possibile raggiungere regimi di rotazione più alti e adottare leggi del moto delle valvole più spinte. Ovvero, ottenere prestazioni superiori. D’altro canto, con uno o due alberi a camme in testa la complessità di quest’ultima aumenta e con lei in una certa misura anche i costi di produzione. Una notevole importanza ha qui il sistema di comando, decisamente meno semplice di quelli impiegati con le distribuzioni ad aste e bilancieri. È stato principalmente questo punto, unitamente al fatto che non sempre era facile ottenere una lubrificazione davvero soddisfacente degli eccentrici e dei bilancieri o delle punterie, e quindi una loro cospicua durata, a ritardare l’affermazione su larga scala delle distribuzioni con uno o due alberi a camme in testa. Che invece già a partire dagli anni Dieci del Novecento venivano impiegate sui motori da competizione.

Nell’anteguerra, mentre le monoposto da Gran Premio adottavano lo schema bialbero (con la notevole eccezione delle Auto Union a 16 cilindri), per le auto di serie è stata preferita a lungo la soluzione monoalbero (SOHC). Tra le poche case automobilistiche che negli anni Venti e Trenta la hanno impiegata vanno ricordate almeno la Lancia, la Horch e la Mercedes. Nello stesso periodo questo è stato il tipo di distribuzione maggiormente adottato dai costruttori di motori d’aviazione con architettura a V.

Rispetto alla distribuzione bialbero (indicata in genere con la sigla DOHC), quella con un solo albero a camme in testa è vantaggiosa in termini di ingombro, di semplicità costruttiva (minor numero di lavorazioni) e di costi. D’altro canto le masse in moto alterno sono un poco maggiori e la rigidezza è inferiore.

Negli anni Cinquanta le vetture con distribuzione monoalbero erano ben poche (vanno ricordate soprattutto le Mercedes e la NSU Prinz). Nel decennio successivo il loro numero è aumentato notevolmente, con la comparsa di auto come la BMW 1500, la Hillman Imp, la Rover 2000 e la Peugeot 204, per non parlare delle Porsche a sei cilindri, tutte con l’albero a camme comandato mediante catena. A dare un impulso davvero fondamentale alla diffusione delle distribuzioni di questo tipo (e anche a quelle bialbero) è stata la cinghia dentata, impiegata per la prima volta in campo auto sulla Glas 1004, apparsa nel 1962. La strada indicata da questa vettura tedesca è stata rapidamente ripresa, per quanto riguarda la soluzione monoalbero, da Fiat (128), Alfa Romeo (Alfasud), Audi e Volkswagen (Polo, Golf) e numerose altre case.

Nei motori con un solo albero a camme in testa le valvole possono essere allineate o inclinate. Nel primo caso la semplicità costruttiva è maggiore e i costi sono più contenuti; le camere di combustione sono a scatola di sardine, a cuneo o anche tipo Heron, ossia ricavate nel cielo del pistone (come nel motore Rover 2000). Gli eccentrici agiscono in genere su punterie a bicchiere; meno frequente è l’impiego di bilancieri a dito (come nella Volkswagen Polo degli anni Settanta).

Quando le valvole sono inclinate le camere di combustione hanno una forma emisferica. In questo caso le camme muovono bilancieri a due bracci e di norma la testa ha una (vantaggiosa) conformazione crossflow, ovvero a “flusso incrociato”, con condotti di aspirazione da un lato e di scarico dall’altro. Con le valvole parallele invece questa soluzione viene impiegata relativamente di rado; più spesso infatti la testa è del tipo uniflow, con i condotti disposti tutti dallo stesso lato.

Una variante della distribuzione monoalbero, che per la verità non ha avuto una grande diffusione pur essendo stata impiegata su alcuni modelli costruiti in numeri cospicui, è quella che viene spesso indicata con la sigla CIH (Cam In Head). In questo caso l’albero a camme è piazzato nella testa ma non sopra le valvole e non le comanda tramite un solo cedente per ciascuna. Ogni eccentrico aziona invece una punteria che a sua volta muove un bilanciere a due bracci.

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