Tecnica: esigenze contrastanti

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Massimo Clarke
  • di Massimo Clarke
Non di rado i tecnici sono costretti a soluzioni di compromesso
  • Massimo Clarke
  • di Massimo Clarke
14 giugno 2019

Secondo un antico proverbio non è possibile avere al tempo stesso la botte piena e la moglie ubriaca. Nel nostro settore i progettisti sono chiamati a scegliere con relativa frequenza tra esigenze opposte e quindi impossibili quindi da soddisfare contemporaneamente nel migliore dei modi. Lavorando per migliorare le cose in un senso si peggiora la situazione nell’altro. In altre parole, se si guadagna da una parte, si perde dall’altra e viceversa. Come ovvio, la soluzione che alla fine viene adottata è sempre di compromesso.

Gli esempi in merito non mancano certo.

Già a livello di caratteristiche dei materiali impiegati per realizzare i vari componenti iniziano a presentarsi al progettista importanti scelte. Una elevata durezza assicura una migliore resistenza all’usura da strisciamento (e anche a quella abrasiva). Però ad essa è di norma associata una maggiore fragilità, il che come ovvio è svantaggioso. Dunque, è necessario mediare accuratamente. Il materiale deve cioè avere una adeguata durezza ma al tempo stesso anche una sufficiente tenacità. Questo viene in genere ottenuto non cambiando la lega che viene impiegata ma “dosando” in maniera opportuna il trattamento termico al quale il componente viene sottoposto. Nei disegni costruttivi ciò viene scrupolosamente indicato assieme alle quote e alle tolleranze di lavorazione che devono essere rispettate. In alcuni casi è necessario avere una elevata durezza superficiale ma mantenere una considerevole tenacità nella parte centrale del componente. È questo ad esempio il caso degli ingranaggi, nei quali in corrispondenza del contatto tra i denti si raggiungono pressioni altissime. Se si indurisse ogni dente per tutto il suo spessore esso diventerebbe troppo fragile. Nella zona interna (cioè “a cuore”, come dicono i tecnici) esso deve rimanere tenace! In questo caso, come in altri analoghi, si fa ricorso a un trattamento che consente di indurire solo lo strato esterno del metallo, come la cementazione o la nitrurazione. Importante è anche la tempra superficiale (alla fiamma o, più spesso, a induzione), largamente impiegata per i perni degli alberi a gomiti. Naturalmente è sempre necessario che il materiale utilizzato non solo abbia adeguate caratteristiche meccaniche ma sia anche di un tipo che si presta ad essere sottoposto ai trattamenti in questione.

In quanto agli alberi a gomiti, è interessante osservare ciò che è accaduto negli ultimi anni. Nei motori a quattro cilindri in linea già diverso tempo fa era avvenuto un graduale passaggio da tre a cinque supporti di banco. Ciò era stato reso necessario dall’incremento delle prestazioni. Un aumento del numero dei supporti, come pure un incremento del diametro dei perni di banco, assicura una maggiore rigidezza (diminuiscono le flessioni) e permette di sopportare sollecitazioni più elevate. C’è però un rovescio della medaglia, costituito in entrambi i casi da un aumento dell’attrito, che causa un peggioramento del rendimento meccanico del motore, cosa deleteria ai fini del consumo specifico. Ogni cavallo viene ottenuto bruciando una maggiore quantità di carburante! Per questa ragione, dato che ai tre supporti non si può certo tornare, i tecnici cercano di adottare perni con un diametro per quanto possibile contenuto, senza però scendere più di tanto per non compromettere la rigidezza, più ancora che le esigenze di robustezza e di durata, peraltro fondamentali.

Pure quando si tratta di rendimento volumetrico, nei motori aspirati qualche compromesso a livello di scelte è necessario. Per avere una combustione veloce è indispensabile impartire alla carica (ossia alla miscela aria-carburante) una adeguata turbolenza. Molto importante è quella detta tumble, a vortice con asse di rotazione perpendicolare a quello del cilindro. Purtroppo non si ottiene proprio gratis, ma a spese della respirazione del motore. Quando si impartisce all’aria aspirata nel cilindro una turbolenza di questo tipo ha luogo una certa perdita di carico (che aumenta al crescere della intensità della turbolenza stessa). Nei motori molto veloci talvolta è necessario rinunciare a qualcosa in termini di riempimento per incrementare il tumble e quindi evitare che l’avanzamento del fronte della fiamma possa risultare troppo lento in relazione al tempo disponibile per lo svolgimento della combustione.

Rimanendo in tema di motori aspirati da competizione, è interessante ricordare che quando il regolamento di Formula Uno ha iniziato a richiedere durate dei motori sensibilmente superiori a quelle precedenti (che in genere prevedevano solo una gara più le prove ed erano dell’ordine di 400 km), i progettisti sono dovuti correre ai ripari arrivando perfino a modificare alcune scelte tecniche. C’è stato chi ha dovuto abbandonare lo sviluppo di un albero lavorante su cuscinetti a rotolamento invece che su bronzine (soluzione che avrebbe consentito un lieve incremento delle prestazioni, grazie al miglior rendimento meccanico) proprio per questa ragione. Ma anche per quanto riguarda i materiali antifrizione delle bronzine ci sono stati problemi e in certi casi è stato necessario svilupparne di nuovi.

Spesso l’ottenimento delle migliori prestazioni va a scapito della durata e viceversa. Un caso tipico è costituito dai freni. Se si impiegano pastiglie con un elevato coefficiente di attrito, in grado di assicurare decelerazioni poderose e adatte a soddisfare anche i piloti più esigenti, perfino nell’uso in pista, la loro vita utile sarà inevitabilmente minore rispetto a quella di pastiglie meno performanti, impiegate in condizioni analoghe (ma ovviamente con risultati sensibilmente minori, in termini di prestazioni). E come logico il contrario avviene se si utilizzano pastiglie con un materiale d’attrito studiato per avere la massima durata. Un discorso analogo vale anche per i pneumatici, come chiunque può agevolmente constatare semplicemente assistendo a una gara di Formula Uno.

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