Tecnica: l'evoluzione dei pistoni (Prima parte)

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Massimo Clarke
  • di Massimo Clarke
Lo sviluppo di questi componenti ha coinvolto tanto il disegno quanto i materiali
  • Massimo Clarke
  • di Massimo Clarke
7 gennaio 2019

Ai primordi dell’automobilismo i motori erano dotati di pistoni aventi una semplice forma cilindrica e una altezza notevolmente superiore al diametro. Venivano realizzati in ghisa, materiale che si prestava bene allo scopo: era economico, consentiva di ottenere agevolmente, mediante colata in terra, componenti anche di geometria complessa e poteva lavorare senza problemi a temperature assai alte. Il rovescio della medaglia era costituito dalla elevata densità (alla quale però all’epoca non si faceva caso, dati i modesti regimi di rotazione) e dalla ridotta conduttività termica. Ma allora le modalità con le quali si svolgeva la combustione erano poco conosciute e si ignorava completamente l’esistenza della detonazione… La tenuta tra i pistoni e i cilindri era affidata a una serie di segmenti a sezione rettangolare realizzati essi pure in ghisa e alloggiati in apposite cave.

In seguito le prestazioni sono aumentate e ridurre la massa degli organi mobili, a cominciare proprio dai pistoni, è diventata una esigenza sempre più importante. L’impiego di un materiale con una minore densità era sicuramente vantaggioso. La scelta più logica era quella di utilizzare una lega di alluminio, che possedeva anche una conduttività termica nettamente più alta di quella della ghisa e quindi consentiva di ridurre la temperatura di funzionamento di questi componenti, grazie al migliore smaltimento del calore. Questo materiale però aveva un coefficiente di dilatazione termica all’incirca doppio, rispetto alla ghisa. Di conseguenza, per ottenere a caldo (ovvero nelle normali condizioni di utilizzo del motore) un gioco adeguato tra pistone e cilindro era necessario adottarne a freddo uno notevolmente maggiore.

Sembra che l’Aquila Italiana, attorno al 1909, abbia sperimentato pistoni in lega di alluminio; i primi significativi impieghi di tali componenti sulle auto di serie (Hispano-Suiza, Packard) si sono avuti però negli anni Dieci del Novecento. Un fondamentale contributo alla loro affermazione è stato fornito dal settore avio verso la fine della prima guerra mondiale.

In tale periodo non si riusciva a comprendere perché i motori d’aviazione in alcune condizioni di funzionamento surriscaldavano, perdevano potenza e a un certo punto potevano addirittura incappare in disastrosi cedimenti meccanici. Della rumorosità anomala non ci si accorgeva per via dello scarico libero che sovrastava ogni altra emissione acustica.

Quando, verso il termine del conflitto, è arrivata in Europa la benzina americana c’è stata una vera e propria moria di motori aeronautici. A causarla era il potere antidetonante di tale carburante, inferiore rispetto a quello delle benzine fino ad allora impiegate nel vecchio continente.

Fortunatamente negli anni Venti la situazione è cambiata. È stata scoperta la detonazione e sono state studiate le sue cause, è stato individuato il potere antidetonante dei carburanti ed è stata messa a punto la scala ottanica. I rapporti di compressione hanno iniziato ad aumentare e i pistoni in alluminio si sono affermati in maniera definitiva. Negli USA però le cose sono andate un poco diversamente e i pistoni in materiale ferroso (ghisa o acciaio) hanno continuato ad avere una buona diffusione per diverso tempo ancora.

Negli anni Venti sono state messe a punto alcune leghe specificamente studiate per i pistoni. All’inizio i tecnici del settore avevano puntato principalmente su quelle alluminio-rame, ma ben presto, particolarmente in Germania, hanno dedicato le loro maggiori attenzioni alle leghe alluminio-silicio. La presenza di quest’ultimo elemento è vantaggiosa in quanto, oltre a migliorare le caratteristiche meccaniche, riduce il coefficiente di dilatazione termica. Di conseguenza la variazione dimensionale che il pistone subisce nel passare dalla temperatura ambiente a quella di regime è minore (rispetto a quella che si ha con altre leghe di alluminio) ed è possibile adottare un minor gioco di montaggio.

La famosa lega Y contiene il 4% di rame, più minori quantità di nichel e di magnesio. Apparsa nella seconda metà degli anni Venti, si è imposta per le sue ottime caratteristiche (in particolare per la eccellente resistenza meccanica a caldo) ed è stata utilizzata a lungo specialmente in campo aeronautico. Per i pistoni dei moderni motori da corsa si impiega la lega 2618 nella quale è presente il 2% di rame.

Per quanto riguarda i motori di serie, da decenni la scena è invece dominata dalle leghe alluminio-silicio (le più largamente utilizzate in genere contengono attorno al 12% di tale elemento).

Sin dall’inizio degli anni Venti come procedimento produttivo si è imposta la colata in conchiglia, con il metallo liquido che viene versato in uno stampo di acciaio. Questa semplice tecnologia fusoria domina tuttora la scena. Nello stesso periodo sono apparsi anche i primi pistoni ottenuti per forgiatura, ovvero per stampaggio a caldo. Questo processo è stato impiegato all’epoca per produrre pistoni in lega di magnesio, utilizzati per pochi anni su alcuni motori automobilistici di serie (soprattutto in Germania). Tale materiale è stato rapidamente abbandonato principalmente perché i componenti in questione erano soggetti a una rapida usura. Da allora le leghe di alluminio non hanno più avuto rivali, per quanto riguarda i motori ad accensione per scintilla.

Alla forgiatura si è fatto ampio ricorso per produrre pistoni destinati al settore aeronautico. Per quelli delle auto di serie le cose sono andate diversamente. A causa del loro costo notevolmente più elevato, i pistoni stampati sono sempre stati riservati ai motori di altissime prestazioni (cioè a quelli delle auto da competizione), per i quali le loro superiori caratteristiche risultano addirittura essenziali.

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