The London Project to Cure Blindness: vis à vis con Aldous Mitchell

The London Project to Cure Blindness: vis à vis con Aldous Mitchell
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Emiliano Perucca Orfei
A pochi ore dalla partenza della Petit Le Mans sulla pista di Road Atlanta abbiamo raggiunto ai nostri microfoni il team manager del team Storholm, in prima linea con Automoto.it e Moto.it nel supporto all'iniziativa benefica
30 settembre 2011

 

Dopo lo splendido podio di categoria nella 6h di Silverstone,  il team Storholm Racing - di cui Automoto.it e Moto.it sono partner nell'iniziativa di sostegno al progetto "The London Project to Cure Blindness" - ha acceso nuovamente il V8 della Oreca FLM-09 sulla pista americana di Road Atlanta.
 
Questo weekend, infatti, il team composto da Aldous Mitchell, Jordan Grogor, Bassam Kronfli sarà protagonista della Petit Le Mans, competizione che si conclude al termine di 10 ore o al raggiungimento delle 1.000 miglia.
 
Del progetto e degli obiettivi futuri del team ne abbiamo parlato con Aldous Mitchell, team manager e pilota del team che porta in pista l'importante progetto benefico britannico, al quale tutti possiamo contribuire con una donazione dal sito www.justgiving.com
 
Come è nata questa idea di supportare il progetto: "The London Project to Cure Blindness"?
«Per noi questo progetto benefico è estremamente importante e troviamo grande piacere nel supportarlo. Il nostro "team owner" è un grande amico dell'ideatore di The London Project to Cure Blindness e così, dopo uno studio di fattibilità, abbiamo deciso di dare la massima esposizione mediatica alla causa utilizzando la nostra piattaforma sportiva per dare visibilità al progetto rinunciando a possibili riscontri commerciali.»
 
Quali sono state le maggiori difficolta' incontrate per realizzare questo progetto?
«Inizialmente, com'è ovvio del resto, il vero limite è venuto dai fondi a disposizione. Non è stato nemmeno semplice trovare un patner tecnico adeguato per seguirci in questa avventura, ma devo dire che nel Genoa Racing abbiamo trovato tutto quello che cercavamo.»
 
Spiegaci qualche dettaglio in piu' sulla scelta del Team, della macchina e dei piloti?
«Il team è stato scelto dopo aver parlato con quasi tutte le squadre dell'LMPC ed FLM. Abbiamo fatto molte ricerche sui team attraverso i nostri contatti ed il Genoa si è rivelato quello in grado di offrirci il servizio più efficiente e professionale, massimizzando nel contempo le nostre possibilità di successo. La scelta dell'auto è stata semplice: il nostro obiettivo è di correre nel mondiale Endurance nelle categorie LMP1 o LMP2 e la categoria FLM/LMPC è il modo perfetto per entrare nelle gare per prototipi senza svenarsi. I piloti sono stati scelti da me, in qualità di team manager, sulla base delle prestazioni che ho potuto vedere con i miei occhi in Europa e Medio Oriente.»
 
Come è stata l'accoglienza degli spettatori ma anche del paddock nei confronti di un progetto così interessante?
«Strabiliante. La gente è affascinata dall'idea che la beneficenza possa essere tanto importante, dalla tecnologia che vi sta dietro, e…certo, dall'auto rosa! Il paddock ci ha accolto a braccia aperte, anche perchè in questo genere di competizioni fa sempre piacere l'ingresso di una nuova realtà. Abbiamo portato tante facce e nazionalità nuove nel paddock - Australiani, Canadesi, Sud Africani, Norvegesi - e una ventata d'aria fresca con il nostro obiettivo umanitario.»
 
Estenderete la presenza del progetto The London Project to Cure Blindness anche ad altre gare del mondiale, magari con un team permanente nel 2012?
«Si, l'idea è di schierare una Nissan Zytec LMP2 per l'intera stagione del mondiale Endurance del prossimo anno.»
 
Pensi che il tuo progetto possa un giorno portarvi a correre la mitica 24 Ore di Le Mans?
«L'obiettivo è questo!»
 
Passando alla difficile gara di Silverstone, che vi ha visto protagonisti al debutto. Visto il poco tempo a disposizione dalla nascita del progetto al debutto in corsa, su cosa vi siete concentrati principalmente?
«Le cose da tenere sott'occhio in una vettura come la nostra sono numerose, senza considerare le problematiche legate allo svolgimento della gara stessa. In ogni caso ci siamo concentrati sulla temperature dei freni e sulla gestione delle gomme, in modo da assicurarci un equilibrio globale in grado di portarci a fine corsa senza particolari problemi.»
 
I fattori che determinano un risultato in una gara di endurance sono molteplici e a Silverstone ha inciso molto sul risultato finale l'ottima strategia di gara. Ci puoi raccontare com'e' andata?
«Sì, si è trattato di un lavoro di squadra. Bisogna pianificare in anticipo tutte le possibili evenienze: bandiere gialle, ingressi della safety car, consumo. Alla fine abbiamo deciso di attuare una strategia volta a ridurre il consumo per evitare l'ultimo pit stop. E a momenti ci fruttava la vittoria - ci bastavano altri 5 minuti per raggiungere l'auto di testa.»
 
Da pilota, supportare un progetto come The London Project to Cure Blindness è una motivazione in più?
«Sì, certo. C'è tanta buona volontà da parte di tutti. Mi piacerebbe poter guardare i trofei, un giorno, sapendo che con le mie gare ho contribuito a trovare una cura per la cecità.»
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