Volvo e la mobilità del futuro

Volvo e la mobilità del futuro
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Alberto Capra
  • di Alberto Capra
Per dare forma alla città del futuro serve capire come funzioneranno le auto di domani. È così che l'aiuto di Volvo è diventato fondamentale nella definizione di questo progetto. Foto di Gabriele Micalizzi
  • Alberto Capra
  • di Alberto Capra
1 dicembre 2019

Quello dell’interesse all’innovazione e, in particolare, all’innovazione al servizio della sicurezza, è forse il tratto che più di ogni altro caratterizza il DNA di Volvo. Primo costruttore al mondo ad equipaggiare le proprie vetture con cinture di sicurezza a tre punti di serie (nel lontanissimo 1959), prima azienda automobilistica ad introdurre i seggiolini per bambini contrari al senso di marcia (1975), prima casa a proporre gli airbag laterali (1991), o il sistema di monitoraggio dell’angolo cieco (2003), o, ancora, il sistema di rilevamento pedoni con frenata automatica completa (2010), il marchio svedese è, oggi, impegnato verso un ambizioso traguardo: azzerare, entro il 2020, il numero di vittime o feriti gravi a seguito di un incidente a bordo di una nuova Volvo. Una vision che si affianca a tre grandi aree di interesse, per il suo reparto R&D: il processo di elettrificazione, la connettività tra le auto e la guida autonoma. È in questo humus che il progetto Milano Future City ha trovato linfa vitale, come ci spiega Michele Crisci, Presidente di Volvo Car Italia. «Uno dei motivi che ci ha spinto ad aprire il Volvo Studio, a Milano, è stato quello di dare forma a un luogo di incontro, un avamposto che ci permettesse di carpire come i tre assi dell’elettrificazione, della connettività tra le auto e della guida automatica, o autonoma, possano in qualche maniera contribuire a migliorare la vita delle persone, in una realtà come quella di una grande città».

Quando le auto saranno in grado di dialogare tra loro e con la città, i semafori non serviranno più. Ci sarà molto più spazio per il verde e le comunità

Quale impatto potrà avere la guida autonoma sulla conformazione delle nostre città? «Quanti semafori ci sono nelle nostre città? Migliaia? Banalmente, quando le auto non si scontreranno più perché saranno in grado di dialogare tra loro e quando gli incroci saranno gestiti con sistemi automatizzati, non ci sarà più bisogno di avere i semafori. Non ci sarà bisogno delle corsie o di tutti quegli spazi che in qualche modo sono arrivati nelle città per gestire il traffico. Ci sarà, invece, molto più spazio per il verde, molto più spazio per le comunità. Capire come tutto questo possa coesistere, come si possa sviluppare, ci interessa davvero moltissimo per sviluppare le nostre idee in futuro. È per questo che un progetto come Milano Future City ha colto immediatamente il nostro interesse». 

Foto di Gabriele Micalizzi
Foto di Gabriele Micalizzi

Quale know-how avete condiviso con Metrogramma nello studio di questo progetto? «Quello che noi possiamo portare come costruttori di auto, sono le nostre competenze dal punto di vista tecnologico - ad esempio - per realizzare le infrastrutture che saranno necessarie a muovere le auto in modo automatizzato. Le auto saranno così in grado di rispettare, e questo per me è un fatto molto importante, il codice della strada. Non mi riferisco solo alla velocità in autostrada, ma al fatto che, in futuro, in un’aerea urbana in cui sono presenti delle scuole, le auto, approcciandosi a queste zone, limiteranno automaticamente la loro velocità a 30 chilometri all’ora. È questo il tipo di sperimentazione di cui vogliamo fare parte. Vogliamo essere quelli che metteranno a disposizione di chi sta progettando le città del futuro gli strumenti per comprendere come riuscirci». Ci sono realtà in cui questo tipo di sperimentazione è già stata messa in opera? «Abbiamo fatto dei test a Goteborg, dove sono state identificate delle aree della città in cui la guida autonoma può essere applicata - e sono aree della città che hanno un flusso particolare. In generale è necessario partire per gradi. La vettura deve poter avvisare colui che guida che sta per entrare in una zona in cui la guida autonoma può essere inserita. Allo stesso modo, il guidatore deve essere avvisato del fatto che questa tratta sta per finire. Credo che anche per Milano, o per qualsiasi altra realtà, il primo step sia identificare una zona in cui sia possibile effettuare una sperimentazione».

Quello che Volvo è in grado di condividere sono le sue competenze dal punto di vista tecnologico, per realizzare le infrastrutture necessarie a muovere le auto in modo automatizzato

Il problema, allo stato,  è la totale assenza di un contesto normativo che permetta di dare vita a queste sperimentazioni. «Sì, lo diciamo sempre: la guida autonoma è una parte centrale del futuro ma è una parte centrale che avrà bisogno di step intermedi. Ma non perché la tecnologia non sia pronta, è pronta o comunque sarà pronta nel giro di 24 mesi al massimo, ma perché le auto a guida autonoma vivranno sempre in contesti urbani ed extraurbani popolati da altre vetture non autonome. Le vettura a guida autonoma si dovranno “auto denunciare”. Noi siamo abituati ad associare il comportamento di un’auto a dei colori: quando una macchina frena ha i fari che si illuminano di rosso, quando svolta le frecce sono di colore giallo, la retromarcia è associata al bianco. Di una vettura a guida autonoma sarà necessario poter comprendere una più ampia gamma di comportamenti, dall’esterno. Una vettura a guida autonoma dovrà, ad esempio, annunciare quando non è controllata dal guidatore, o quando sia in una fase di accelerazione, o quando stia per dare seguito a un comportamento che gli è imposto dal contesto in cui si muove - come l’ingresso in un’area a velocità limitata. Noi i cartelli stradali li guardiamo e li rispettiamo ma possediamo sempre e comunque il nostro libero arbitrio. Quando pensiamo che basti decelerare in una misura determinata lo facciamo in quella maniera. L’auto a guida autonoma avrà logiche di comportamento molto più rigide, che dovranno essere determinabili dall’esterno, anche perché, soprattutto all’inizio, ragionevolmente avranno dei costi maggiori rispetto alle auto tradizionali e ciò impatterà sulla loro diffusione, rendendo le prime fasi di convivenza con le vetture tradizionali un momento da gestire con grande attenzione».

Foto di Gabriele Micalizzi
Foto di Gabriele Micalizzi

Questa particolare attitudine alla sperimentazione è propria unicamente di Volvo Italia o si inserisce in una serie di attività che Volvo sta portando avanti a livello globale? «Volvo sta lavorando in questa direzione a livello globale. Noi, come Volvo Italia, abbiamo raccolto la sfida più importante perché abbiamo sposato questa causa, portando avanti con la città di Milano la volontà di dare forma a un cambiamento tangibile. In questo senso il progetto è italiano ma fa riferimento a un interesse generale di Volvo». Il progetto “Milano future city” si propone di ridurre il numero di auto in determinate zone. È curioso che un costruttore lavori per ridurre il numero di vetture in circolazione. «È curioso ma è anche assolutamente comprensibile. Volvo ha una visione della mobilità a 360 gradi e basta fare un esempio per capire. Riuscire a costruire vetture capaci di prevenire gli incidenti significa poter smettere di utilizzare metalli pesanti. Perché se è vero che i metalli pesanti di cui sono fatte oggi le carrozzerie servono - anche - per difendere chi si trovi all’interno delle auto, è altrettanto vero che si tratta di materiali che offendono chi vi impatti contro. Quando potremo mettere in commercio vetture a zero rischio impatto, potremo costruire macchine completamente in fibra di carbonio. Auto più leggere significa meno consumi e meno consumi vuol dire poter utilizzare pacchi batterie di minori dimensioni e con consumi ulteriormente inferiori.

Quando potremo mettere in commercio vetture a zero rischio di impatto, potremo costruire macchine meno protettive e per questo più leggere. Lo sviluppo della guida autonoma porterà quindi a un contenimento della domanda energetica

Tutto è collegato: lo sviluppo della guida autonoma porterà a un contenimento della domanda energetica. Noi siamo consapevoli del fatto che molti proprietari di auto usino la propria vettura una o due volte al giorno, se non una o due volte alla settimana, lasciandola, per il resto del tempo, nel proprio garage. È anche per questo che immaginiamo un futuro in cui le auto, oltre che connesse, siano anche condivise. Questo porterà, è vero, ad avere meno vetture all’interno di sistemi chiusi, ma potrebbe causare un aumento delle vendite per i costruttori. Tanto per dare un’idea: tutte le case automobilistiche, e non solo Volvo, stanno lavorando nella direzione della famosa “guida autonoma di livello 5” – parliamo di vetture che si muovono in maniera completamente automatizzata, addirittura prive di comandi. Le auto che ne saranno dotate magari saranno condivise e proprio grazie a questa dotazione potranno essere in movimento 24 ore al giorno, 7 giorni su 7. Saranno vetture che non saranno mai ferme e che stravolgeranno completamente l’idea di impiego che abbiamo oggi». Quindi una città in cui la mobilità è più efficiente può voler dire un utilizzo più razionale delle vetture, più uso e più ricircolo… «Vogliamo servire più cittadini, con meno auto circolanti ma con un maggiore ricambio. Perché se le auto vengono utilizzate di più si consumano più in fretta. E quindi no, non è strano che un’azienda di auto stia lavorando per ridurre il numero assoluto di vetture circolanti. Siamo semplicemente in una fase di transizione, in cui è il modello di business stesso ad essere oggetto di un cambiamento». 

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