WRC18 Monte-Carlo. Ogier (Ford M-Sport) Quinta Volta

WRC18 Monte-Carlo. Ogier (Ford M-Sport) Quinta Volta
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Piero Batini
  • di Piero Batini
Quinto successo di Sébastien Ogier e Julien Ingrassia al Rally-icona che apre il Campionato 2018. Ottimo esordio di Tanak e delle Toyota. Latvala terzo, Lappi “sciupa” nel finale, Meeke vince il Power Stage
  • Piero Batini
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28 gennaio 2018

Monte-Carlo, 28 Gennaio 2018. Ha vinto Sébastien Ogier. Con Julien Ingrassia e con la Fiesta di M-Sport. Gemellaggio, tri-gemellaggio perfetto, e ora collaudato. Per il fuoriclasse francese è la quinta volta consecutiva, tre volte con Volkswagen e due con Ford M-Sport, la sesta se si aggiunge la vittoria IRC del 2009 con la Peugeot. Per Ott Tanak, secondo insieme a Martin Jarveoja, è il secondo podio in due anni, l’anno scorso con la Ford, e per Jari-Matti Latvala, terzo con la Toyota, è il terzo podio. Lo scorso anno Ogier vinse all’ultimo tuffo, regalo inaspettato di un errore macroscopico di Thierry Neuville. Quest’anno Neuville ha sbagliato subito, e anche se ha recuperato 21 posizioni in tre giorni finendo al quinto posto assoluto, Ogier è stato in testa dalla prima Speciale, vinta di misura ma ribadita da un più perentorio successo nella seconda, fino alla fine del Rally, incontrastato e incontrastabile dominatore. Risultato aspettato, forse, ma non meno stupefacente.

Il Monte-Carlo è il Rally imprevedibile per definizione. Di tutto e di più, il copione dell’Evento è praticamente inesistente, improponibile, e il risultato sembra arrivare, ogni volta, più come prodotto di una jam session agonistica che di un più logico profilo di evoluzione sportiva. L’Evento-icona del Mondiale e della Storia dei Rally è, sotto questo aspetto, un Rally isterico, particolarmente logorante.

Al punto che, all’ultimo, sembrava che avessero mollato tutti. Che tutti quanti, paghi dei rischi presi in tre giorni di terribile Monte-Carlo 2018, in una situazione di classifica stabile o difficilmente modificabile, e a meno che non fosse necessaria un’ultima schermaglia per fissare o ribadire la posizione, avessero preferito portare il Rally al sicuro in banchina, riducendo a zero il rischio di una mareggiata finale e improvvisa. Invece hanno mollato per tre soltanto delle quattro Speciali del programma domenicale di epilogo del Rally. Hanno mollato anche sul mitico, evocativo e avvincente Col de Turini. Poi, quando si è profilata davanti alle spazzole dei tergicristallo la carota del Power Stage, ultimo impegno sotto gli occhi televisivi del Mondo, il Monte-Carlo ha nuovamente liberato tutto il suo carico di esplosiva, avvincente incertezza.

In verità non è andata esattamente così. Tanak, per esempio, a un certo punto si è reso conto che, per come erano andate le cose, molto, ma molto difficilmente avrebbe potuto insidiare la leadership di Ogier. Le sue speranze erano legate solo a un possibile errore del francese, e così l’estone è stato il primo a incrociare gli scudi un difesa del secondo posto che vale la carta d’imbarco per questo Mondiale tutto da vedere, giocare, vivere. Bravissimo Tanak.

Gli altri ci hanno solo provato, con buona volontà ma con chance evidentemente ridotte al lumicino, ognuno con la propria missione da sintetizzare in una bella figura limitata alle possibilità offerte dal gran finale del “Monte”

Di conseguenza Ogier, nel mirino il quinto Monte-Carlo consecutivo, altro non doveva fare che mettersi al riparo, scegliere accuratamente strategie e pneumatici, proseguire sulla direzione scelta ad inizio Rally, chiudere allegramente in bellezza e festeggiare.

Gli altri ci hanno solo provato, con buona volontà ma con chance evidentemente ridotte al lumicino, ognuno con la propria missione da sintetizzare in una bella figura limitata alle possibilità offerte dal gran finale del “Monte”. Qualcuno ci ha dato dentro anche troppo. Per esempio Esapekka Lappi, che non essendo tra i più esperti poteva aspettare un minuto e respirare profondamente prima di lanciare l’attacco rovinoso e rinunciare alla sicurezza di un risultato che sarebbe stato di assoluto prestigio. È il pericolo che si corre quando si decide di strafare, soprattutto se l’embolo parte in prossimità del Power Stage. Soprattutto se parte al Monte-Carlo. Non nuovo all’esagerazione dell’ultimo miglio, Lappi è scusato perché va costruendo bagaglio di esperienza, e bruciando le tappe, in fondo, è più facile commettere degli errori. Questo ha fatto Lappi. Uscire lungo da una destra larga e finire, per fortuna, sul bivio da dove poter riprendere, concludere e mantenere almeno la settima piazza della graduatoria finale. Se avesse conservato il quarto posto, maturato al termine della Tappa di Sabato e mantenuto fino a mezz’ora prima con grande padronanza e sicurezza, per Toyota sarebbe stato un epilogo ancora più interessante, tre macchine in fila dopo la Ford di Ogier, non una vittoria ma… quasi. Comunque la sua bella figura Toyota l’ha fatta, due terzi del podio sono lì a fotografare una situazione promettente.

Naturalmente ci ha provato Mikkelsen, che aveva dovuto rinunciare a un Monte-Carlo eccellente per un guasto all’alternatore della Hyundai numero 4, e con l’altra i20 Coupé ci ha provato, eccome, Thierry Neuville, uno dei Piloti più consistenti, ma meno fortunati, dell’86ma edizione del Monte-Carlo. Il belga, cinque vittorie di Speciale e sette podi, ha vinto l’ultima Tappa e ha tenuto sempre bene in vista la competitività di Hyundai, certo non fortunata a questo giro, l’errore grossolano di Neuville, i ritiri di Mikkelsen e Sordo, quando erano rispettivamente secondo e terzo, ma sicuramente pronta a riscattarsi sin dai prossimi appuntamenti.

Chi ci ha provato più di tutti è stato Kris Meeke. Il suo Monte-Carlo 2018 era nato male. Un testa coda, come i tantissimi che hanno segnato, poco o tanto, la gara di tutti, solo che accadeva nella prima Speciale del Rally, e succedeva anche che per rimettersi in strada Meeke era ripartito di freno a mano ed era finito nel fosso a lato, buttando un sacco di tempo. Se guidi una Macchina che è nell’occhio del ciclone e che ha bisogno di chilometri e non di ritiri, il feeling va a farsi friggere e la corsa diventa un esercizio di equilibrismo sulle uova. Meeke riesce a sopportare tutto questo, addirittura dando prova di un grande, inedito talento nel controllare la situazione. Non è mai veramente in Gara, me non ne esce e, soprattutto, dimostra che la “appuntita” C3 WRC è, quando necessario, Macchina versatile e redditizia pur con il freno tirato. Naturalmente c’è un limite a tutto, e Meeke ne ha abbastanza (in verità c’è da credere che Pierre Budar, neo Direttore Sportivo di Citroen Racing, gli abbia dato finalmente il via libera) e scatena tutta la furia repressa in tre giorni di Gara divorando i tredici chilometri dell’ultima La Cabanette - Col de Braus, Power Stage spettacolare. Tempone, vittoria e i cinque punti relativi all’impresa finale. Chissà che non sia abbastanza per porre fine al purgatorio delle Citroen, rimettere in carreggiata le machine del mito e compattare davvero le formazioni in lizza per il Titolo 2018.

Nessuno è sceso in pista con obiettivi di secondo livello. Siano i Piloti, Ogier, Tanak, Neuville, il solito Latvala e lo stesso Meeke, siano le Macchine, Ford, Toyota, Hyundai, Citroen, tutti hanno dichiarato, o si sentono obbligati in tal senso, di partecipare niente affatto decoubertianamente

In fondo qualcuno dovrà soffrire, perché nessuno è sceso in pista con obiettivi di secondo livello. Siano i Piloti, Ogier, Tanak, Neuville, il solito Latvala e lo stesso Meeke, siano le Macchine, Ford, Toyota, Hyundai, Citroen, tutti hanno dichiarato, o si sentono obbligati in tal senso, di partecipare niente affatto decoubertianamente. Tutti sono in corsa per un Titolo, Piloti, Costruttori o tutti e due.

Non si scappa, qualcuno dovrà soffrire. Non certo noi a bordo strade di un Mondiale sicuramente indimenticabile.

Ora Svezia, poi Messico e Corsica. Diamoci tre Rally, ammesso che siano sufficienti, per dipanare la matassa di un pronostico.

Ah, un’ultima cosa. Bravi Sciessere e Zanella, quarti ma fino all’ultimo sul podi del WRC2 con una Ds3 R45, non certo l’ultimo grido.

Foto: Manrico Martella, Marco Paolieri, Simone Calvelli, Aurel Petitnicolas e Marcin Ryback

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