F1: grid girl, una vita in prima fila nel circo iridato

F1: grid girl, una vita in prima fila nel circo iridato
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Paolo Ciccarone
Una ex grid girl racconta la sua esperienza nel mondo della Formula 1
7 febbraio 2018

Otto anni in giro per il mondo, una decina di GP al massimo per ogni stagione. Fare la grid girl era un lavoro, pagato nè più nè meno al passo coi tempi. Una passione, più che altro. Alessandra M. cognome volutamente mascherato anche se nelle foto chi la riconosce sa chi è, racconta la vita di una ragazza da schieramento e comincia col togliersi qualche sassolino...

"Intanto ho visto interviste in TV e letto su giornali di gente che in griglia di partenza di una F.1 non si è mai vista. Una confusione totale fra ombrelline e grid girl. Le prime operano nella MotoGP o categorie simili, le grid girl invece erano altra cosa. Nel caso delle moto sono modelle o ragazze immagine che hanno un accordo con lo sponsor del team o del pilota e vanno in griglia o nel paddock a mostrare il marchio di chi paga, la grid girl invece era una cosa totalmente diversa".

Io sono stata orgogliosa di farlo, in certe gare ero l'unica italiana in griglia e avere il tricolore mi riempiva di felicità

Se magari ce la spiega così ci chiariamo anche noi le idee..."Tanto per cominciare e fino al 2010 era la All Sport Management che si occupava del reclutamento delle ragazze. Preferivano avere quasi sempre lo stesso gruppo di lavoro, perché in F.1 ci sono delle procedure rigide da rispettare. Vuoi per una questione di sicurezza, in fondo in pista noi avevamo un cartello o una bandiera, dovevamo essere in un certo posto e attorno passavano le macchine, per cui non potevi sgarrare. Poi c'era la procedura dello schieramento, quella del podio, come camminare entrare e uscire dallo schieramento. Le ragazze nuove venivano addestrate, se mi si passa il termine, su come muoversi in coppia, perché si cammina sempre due alla volta affiancate, come portare il cartello col numero del pilota e come portare e dove posizionarsi con la bandiera nazionale. Spesso abbinavano la ragazza del paese con la propria bandiera, era un onore fare da portabandiera nazionale, un po' come quando alle olimpiadi entra la squadra con in testa il vessillo nazionale. Ecco, questo era un motivo di orgoglio perché si era sullo schieramento a rappresentare il proprio paese. Io sono stata orgogliosa di farlo, in certe gare ero l'unica italiana in griglia e avere il tricolore mi riempiva di felicità. Poi si veniva abbinati a un pilota, più o meno sempre lo stesso. Un po' perché era più facile per noi da riconoscere e un po', ma non lo dicono, per scaramanzia degli stessi piloti che volevano sempre o spesso ripetere le stesse cose, gesti, avere persone a fianco. Infine c'era la cerimonia del podio. Come posizionarsi, passare le coppe, lo champagne e individuare le autorità preposte a farlo. Era un addestramento duro e preciso, non si poteva sbagliare".

Detto questo, era una sorta di allegra brigata o una prigione con orari rigidi? "Prigione no, era una scelta lavorativa. Ci pagavano il viaggio gli hotel e i pranzi e poi, da appassionata di motori, si stava in griglia, si viveva l'ambiente del GP da vicino. E ci pagavano". Tanto o poco? "Non sono autorizzata a dire nulla in merito, c'era un contratto con clausole di riservatezza da rispettare" Quindi diciamo si andava sulle tariffe tipiche di fiere e saloni, dai 150 euro in su? "Diciamo che lo standard poteva essere quello, dipendeva se la scelta la facevano gli sponsor del GP o se era l'autodromo a doversene occupare. Dal 2010 in poi, infatti, erano gli organizzatori locali a rivolgersi alle agenzie a cercare le ragazze e spesso cambiavano da gara a gara, invece prima era una sorta di circo che seguiva il mondo della F.1. Io ho lavorato per otto anni e fatto fino a una decina di gare all'anno".

Che orari avevate? "Si arrivava il sabato, perché non c'è solo la F.1 ma anche le gare di contorno. Quindi arrivo in autodromo, incontro, briefing, e poi le prime gare. Avendo poco tempo a disposizione, si preferivano quasi sempre le stesse ragazze che già conoscevano le procedure da seguire. Dalla GP2 alla GP3 e Porsche Cup. Lo schieramento era uguale per tutti, tranne che per la F.1 dove venivano abbinate le bandiere nazionali al contrario delle altre categorie. La domenica mattina alle 7 dovevamo essere tutte in pista, un orario che per chi lavora in F.1 è la norma. Gli hotel erano riservati per noi ragazze, al massimo 50-55 per evento. Era un lavoro serio, dovevamo lasciare i cellulari in albergo, evitare contatti esterni, non mostrare tatuaggi o piercing visibili, indossare i vestiti dell'organizzazione e se qualcuna veniva considerata volgare, veniva eliminata". Quindi la storia donne e motori, piloti etc..."Niente, anzi adesso si potrebbe anche dire che abbiamo sprecato il nostro tempo...Scherzo. In realtà in griglia i piloti sono talmente assorti che al massimo ti salutavano se venivi riconosciuta. Fra ingegneri, meccanici, giornalisti, TV e altro ancora, c'era solo il tempo di guardare il cronometro, seguire la capo hostess quando si doveva lasciare la griglia, con le prove fatte al sabato sera quando già si conosceva lo schieramento e si veniva abbinati a un pilota. Si doveva seguire perfettamente la procedura di uscita, rispettare l'orario imposto, avere andatura adeguata e altro ancora. Insomma, era tutto codificato, uno spettacolo organizzato apposta per rendere viva una parte della gara".

Poi ha smesso di fare la grid girl e come è rimasta nel giro? "Mi sono occupata io del reclutamento delle ragazze a Monza e in altre occasioni, ero diventata "vecchietta" per stare in griglia e quindi ho fatto il salto della barricata e mi sono occupata della gestione delle ragazze".

Le ragazze lavoravano, io mi sono pagata gli studi, avevamo la passione ed era l'occasione per stare vicino a un mondo che amavamo, non ci sono mai stati casi di molestie o atteggiamenti offensivi, non capisco proprio come si possa pensare una cosa simile

Inviti...strani? Molestie? Qualcosa di piccante, insomma? "Niente e forse è una delusione per chi pensava ad altro. Ma se pensate che si arrivava da tutte le parti d'Europa, si andava in hotel, poi in pista, si stava chiuse in una stanza senza contatti esterni, si seguiva la procedura, si lasciava l'autodromo il sabato sera sul tardi, il tempo di cenare, poi sveglia alle 5 della domenica, arrivo in pista, procedure etc etc e poi la cerimonia del podio, dopo di che finiva il lavoro e si scappava a casa a prendere un aereo, un treno, l'auto o quello che era. La F.1 è un mondo molto difficile sotto questo aspetto: i piloti sono talmente presi che manco vedono chi hanno attorno, i meccanici controllano le macchine fino all'ultimo istante, gli ingegneri i computer, i giornalisti corrono per fare interviste prima del via, poi dopo la gara a cercare piloti etc. Diciamo che se si pensava a una sorta di bengodi del rimorchio, la F.1 è esattamente la negazione!". E quindi di questo divieto cosa ne pensa? "Ne penso tutto il male possibile. Le ragazze lavoravano, io mi sono pagata gli studi, avevamo la passione ed era l'occasione per stare vicino a un mondo che amavamo, non ci sono mai stati casi di molestie o atteggiamenti offensivi, non capisco proprio come si possa pensare una cosa simile. E' stato un brutto colpo, sono decisamente contraria a quanto avvenuto e mi spiace davvero".

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