F1 Montecarlo 2013: tutte le curiosità del GP di Monaco

F1 Montecarlo 2013: tutte le curiosità del GP di Monaco
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Paolo Ciccarone
Dalla Fiat 127 parcheggiata tra Bentley e Rolls-Royce, ai momenti di pura adrenalina passati a bordo pista come fotografo, fino a Villeneuve inferocito che si lancia all'inseguimento | <i>P. Ciccarone, Montecarlo </i>
21 maggio 2013

Dovendo scegliere una gara all’anno da vedere non ci sono dubbi: il Gran Premio di Montecarlo è la corsa per eccellenza di F.1. Non ci sono altri posti, altri circuiti, che possono competere con questa sfida assurda sulle strade del Principato più famoso del mondo. Andare a Montecarlo è sempre stato il sogno di un appassionato di F.1 e alla prima occasione, caricati armi e bagagli, ci si è diretti verso il Principato per assistere alla tre giorni più incredibile del mondo. Ancora oggi che la F.1 è diventata un lavoro, assistere alle evoluzioni dei piloti su queste strade è una emozione davvero unica. Come sempre accade nella vita, non ci si può dimenticare la prima volta a Montecarlo.

1978: la prima volta a Montecarlo non si scorda mai

Avvenne nel 1978 e con un amico decidemmo di prendere il treno e avventurarci in quella che era una sfida in tutti i sensi: tre giorni in giro, senza biglietti, nella città più cara del mondo, almeno per quello che ci riguardava. Partiti da Milano destinazione Genova e poi da qui a Ventimiglia, poi al confine un altro treno per Montecarlo. Appena usciti da una galleria, vedere in lontananza le luci del porto fu una emozione davvero unica, come lo fu attraversare la piazzetta che dalla stazione porta alla curva della Rascasse. Se il Gran Premio lo avete visto solo alla televisione, non potete rendervi conto di cosa è. Con lo zaino sulle spalle, compreso un sacco a pelo, panini per tre giorni e tutto il necessario in caso di pioggia, appena scesi dal treno la prima cosa fu andare alla scoperta del circuito. Un conto è vederlo in TV, un altro scoprire che la salita che porta alla curva del Casinò è proprio… una salita! E di quelle toste.

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Gilles Villeneuve al GP di Montecarlo

 

Solo i vent’anni e la voglia di scoprire questo nuovo mondo riuscirono a far affrontare una arrampicata, con tutto quel peso sulle spalle, come se niente fosse. Ad ogni dieci passi ci si fermava ad ammirare il porto, a guardare in estasi i marciapiedi e i guard rail dove i piloti passavano a palla. Il casinò, la discesa che porta al Mirabeau, la curva del Loews e poi ancora il tunnel, la chicane del porto, il tabaccaio, le esse della piscina e ancora la Rascasse. Sono i tre chilometri e mezzo più affascinanti del mondo e anche se un giro di pista con la F.1 supera di poco il minuto e venti secondi, in tre ore e un quarto il percorso a piedi fu compiuto con lo stesso spirito e immaginazione di quegli ottanta secondi. La prima notte passò quasi insonne. Visti i prezzi dei biglietti ci si poteva permettere solo un posto sui pelouse da cui si domina la curva della Rascasse.

Un GP all'insegna dell'avventura

Alle tre e mezza di notte, stanchi e affamati, trovammo posto in un anfratto fra tifosi tedeschi e un gruppo di ragazzi del Veneto. Dormire per terra, per giunta in discesa, non è facile e allora il colpo di genio fu quello di legare la cintura del sacco a pelo a un arbusto e piantare i piedi su un cespuglio, in modo da assicurare la presa. Come spesso accade, durante la notte cominciò a piovere e il sacco a pelo cominciava a ridursi a un cencio. L’acqua ottenne anche lo scopo di allentare le cuciture sul fondo, ma il colpo di grazia arrivò verso le cinque e mezzo del mattino, quando un gatto spaventato si diresse a tutta birra verso il manipolo di appassionati mezzi addormentati. Acchiappa il gatto, no lascialo andare, dove è finito. In diverse lingue si aprì ufficialmente la caccia al felino. Solo che nel movimento brusco per evitare la bestiola in transito, si ruppe la cucitura del fondo del sacco a pelo. La cintura in vita, legata all’arbusto, tenne, ma tutto a un tratto il fondo si aprì sul baratro e chi stava dentro si ritrovò a penzolare dall’arbusto che era servito da appoggio per i piedi. Una paura mica da ridere. Di dormire, non se ne parlò più e fra una chiacchiera e l’altra, arrivò l’alba e con essa i meccanici che cominciavano a portare le macchine nei box.

Dormire per terra, per giunta in discesa, non è facile e allora il colpo di genio fu quello di legare la cintura del sacco a pelo a un arbusto e piantare i piedi su un cespuglio, in modo da assicurare la presa

 

Da quella posizione si potevano vedere i piloti arrivare alla spicciolata. Quando arrivò Gilles Villeneuve ci fu una ovazione incredibile: il canadese fino a quel momento non aveva combinato niente di buono, ma faceva tenerezza e lui alzò la mano a salutare tutti i tifosi sulla collina. Quando finalmente arrivò l’ora della partenza, l’amico cedette di colpo. Al pronti via russava peggio di un motore di F.1 e quando la corsa ebbe il colpo di scena, con Villeneuve fuori pista sotto al tunnel, si girò dall’altro lato. Tutta quella fatica e non vedere nemmeno un metro di gara! Il ritorno a casa fu mesto: non aveva vinto la Ferrari ed eravamo a pezzi. Sul treno si presentò un’altra avventura da matti, visto che alle due di notte arrivammo in stazione centrale a Milano e fino alle 7 non c’erano treni per tornare a casa. Dormimmo su una carrozza, fra barboni e mendicanti, ladri e zingari alla ricerca di qualcosa da fare o da prendere. Non fu facile trascorrere la nottata, a un certo punto riuscimmo a bloccare la porta dello scompartimento e impedire a un malintenzionato di entrare e rapinarci.

 

Quella fu l’ultima volta che Claudio Fassi venne a un Gran Premio in quelle condizioni, me lo ha sempre rinfacciato anche anni dopo, quando con la Sierra Cosworth gruppo N vinceva corse a ripetizione insieme al padre Franco, preparatore atletico dei più grandi campioni dell’epoca, come Arnoux, Alboreto e Ghinzani. Io mi ripromisi di non andare più in treno a Montecarlo, ma con la macchina. Due giorni dopo, su Autosprint, nel leggere la cronaca e vedendo le foto, tutto il bel mondo raccontato su quelle pagine, gli aneddoti e altre storie, non era stato visto assolutamente niente.

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Uno dei punti più suggestivi del GP di Montecarlo

A Monaco con la 127, tra una Bentley e una Rolls...

Altro anno, altro Gran Premio. Stavolta la spedizione era stata organizzata per tempo. A bordo della vecchia Fiat 127 rosso mattone, cerchi in lega e spazzole tergicristallo giallo, striscia parabrezza blu con scritta bianca Ligier Gitanes, ci presentammo nel Principato dopo un viaggio durato quasi sei ore per coprire 350 km. Eravamo in cinque: uno, Luciano, poteva fare la controfigura di Bud Spencer. La fidanzata, Denise, era piccolina, ma gli altri due, Daniele e Pino, erano di stazza media. Farceli stare tutti nella 127, con bagagli, panini e sacco a pelo, non fu facile, ma appena arrivati a Montecarlo cominciò il solito tour. Parcheggiata la 127 davanti all’Hotel De Paris, fra una Rolls Royce e una Bentley con una Ferrari subito dietro, ci preoccupammo di chiudere a chiave tutti gli sportelli e impedire ai malintenzionati di fregarci qualcosa dalla macchina. Gli autisti delle Bentley e Rolls ci guardarono stupiti.

 

Siccome era ora di cena, tirammo fuori i panini e mangiucchiando e sputacchiando qua e là quello che avanzava, ci avvicinammo alle grandi vetrate dell’hotel, proprio dove c’era il ristorante. Una signora stava sorbendo il suo consommè dalla tazza quando il cucchiaio le rimase a mezza altezza: ci guardò stralunata mentre noi, col muso contro la vetrata, cercavamo di capire se fosse brodo di pollo o altro. La signora parlò col cameriere e in meno di trenta secondi arrivarono, fischiando, due inservienti e un gendarme che ci fecero allontanare a spintoni, non prima di averci fatto togliere la Fiat 127 dalla vetrata principale… La delusione fu enorme, ma almeno stavolta avevamo visto come funzionava il bel mondo. In un angolo c’era anche una Rolls col cartello “occasione” e per scherzo toccammo la statuetta sul radiatore, senza sapere che un sistema idraulico la faceva sparire dopo che era pure scattato l’allarme.

A bordo della vecchia Fiat 127 rosso mattone, cerchi in lega e spazzole tergicristallo giallo, striscia parabrezza blu con scritta bianca Ligier Gitanes, ci presentammo nel Principato dopo un viaggio durato quasi sei ore per coprire 350 km

 

Altra fuga per le stradine del Principato e, infine, ricerca di un posto dove dormire. A Fontveille le ruspe avevano spianato un’ampia zona e lì fermammo la macchina. Al buio cercammo di montare la tenda, ma fu impossibile e così decidemmo: due avrebbero dormito in macchina e gli altri tre per terra coperti da una cerata che avremmo incastrato fra la portiera e il terreno. In qualche modo la notte passò ma alle prime luci dell’alba fummo svegliati da un rumore di autobus e macchine. I gendarmi cominciarono a fischiare e a far parcheggiare gli autobus. Facemmo appena in tempo a spostare la macchina, lasciando sul terreno un sacco a pelo e alcuni pioli della tenda prima che un autobus andasse a parcheggiarci sopra. Alle nostre proteste un gendarme ci guardò facendoci capire che avevamo occupato il suolo riservato ai pullman.

Inseguiti da un Villeneuve inferocito

Quell’anno vinse la Ferrari di Schecketer mentre Gilles Villeneuve si ritirò ancora per rottura del semiasse. Mentre eravamo seduti sul solito cespuglio, ci fu un trambusto. Due persone correvano inseguite da Villeneuve che era abbastanza infuriato. Guardando meglio sulla stradina, le due persone erano Luciano e Denise. Invece che guardare la corsa erano andati al Museo Oceanografico, uno dei più belli d’Europa, e si ritrovarono fra le tende dei piloti. Villeneuve si era appena ritirato ed era entrato nel tendone della Ferrari, ma Luciano voleva una fotografia e spostò la tenda. Villeneuve la richiuse e Luciano la riaprì scatenando la furia di Gilles che si alzò infuriato e li inseguì! Capii che stare su un cespuglio a guardare le corse non era il mio destino e che avrei dovuto escogitare qualcosa. A furia di far funzionare il cervello, finalmente venne l’idea giusta: farsi accreditare come fotografo. Su una carta intestata fasulla, con tanto di richiesta ufficiale, qualche anno dopo inviammo una richiesta di accredito, allegando un paio di fotocopie di pass ricevuti a Monza.

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Un giovanissimo Paolo Ciccarone nel 1987 a Montecarlo

 

Il sistema funzionò, solo che dalla sala stampa del Principato chiedevano la copia della tessera professionale dell’ordine dei giornalisti. Non essendo ancora iscritto, bisognava trovare una soluzione. Che venne escogitata all’istante. Con un’altra fotocopia del modulo di iscrizione all’albo, elenco pubblicisti, si andò nel comune di residenza e mi feci mettere un po’ di timbri e firme dei segretari, dichiarando che la domanda di iscrizione era stata già inoltrata. All’ufficio stampa dell’AC Monaco rimasero perplessi, ma alla fine rilasciarono un pass fotografo e da quel momento, anno 1985, il Gran Premio fu visto sempre in prima fila, gratis e anzi guadagnandoci anche qualcosa scrivendo di gare minori!

Fotografare il GP di Montecarlo 

Vivere il Gran Premio di Montecarlo da fotografi è una emozione incredibile. Specie alla partenza: non c’è nessun altra gara al mondo in cui al via si sente vibrare l’asfalto sotto ai piedi. A Montecarlo bisogna mettere i tappi nelle orecchie altrimenti si perde l’udito, ma quando scatta la gara, anche con i tappi le vibrazioni sono tremende. Su tutto, però, l’eco della voce degli speaker è quella che dà il senso alla corsa. Per tutte la voce femminile di Luisella Berrino, speaker di Radio Monte Carlo e del Gran Premio. E’ l’unica voce femminile di tutto il circo iridato ed è una caratteristica di Montecarlo. Quando il gruppo di macchine passa dalla prima curva, come fotografo pensi solo a scattare immagini in successione, poi appena il gruppo è passato, senti la voce di Luisella che ti descrive il resto del giro e le varie posizioni. Poi senti un bruciore su un braccio o su una spalla e scopri che le F.1 hanno sparato di tutto, scintille metalliche incandescenti, pietruzze e altro ancora.

Non c’è nessun altra gara al mondo in cui al via si sente vibrare l’asfalto sotto ai piedi. A Montecarlo bisogna mettere i tappi nelle orecchie altrimenti si perde l’udito, ma quando scatta la gara, anche con i tappi le vibrazioni sono tremende

 

Lo trovi tutto lì sulla tua pelle e sulle magliette bruciacchiate. Nel periodo in cui le F.1 facevano le scintille, fino agli anni 90, era davvero terrificante stare vicino a questi mostri, ma il massimo, dopo la partenza, è alla curva del Casinò. La postazione giusta è proprio in prossimità del dosso appena usciti dalla curva a destra. A quel tempo (1985-1988) si poteva stare attaccati al guard rail. Con i grossi obiettivi bisognava trovare un punto di appoggio per inquadrare bene la macchina e allora si appoggiava un piede sul guard rail, o addirittura l’obiettivo se era un 500 mm. Fino a quando la macchina passava vicino, sentivi lo spostamento d’aria. Ma a volte i piloti si appoggiavano al guard rail e chi stava dietro prendeva una gran botta! Da qualche anno è vietato avvicinarsi oltre, ma le foto sono sempre stupende perché lo scenario è davvero unico. Nell’edizione dell’85, quella del primo pass a Montecarlo, dividemmo la stanza con un fotografo di Monza, Raul Zacché, che lavorava per Actualfoto.

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Montecarlo è considerata una delle gare più entusiasmanti dell'intero mondiale di F1

Notte a mollo...

Trovammo un posto a Cap D’Ail, vicino all’hotel Edmond, dove alloggiavano molti meccanici di F.1. La proprietaria ci disse che era una stanza usata per le coppie che volevano vedere l’alba o il tramonto in riva al mare. Non eravamo spinti da vene romantiche, anche perché non era il caso visto che si era due maschietti regolarmente fidanzati con delicate fanciulle che non avrebbero apprezzato, ma senza fare gli schizzinosi accettammo. Durante la notte, girandoci nel letto, mettemmo una mano fuori dal materasso e la sentimmo completamente bagnata. Accesi la luce e per poco non ci venne un accidenti: l’alta marea era tale che l’acqua era entrata nel bungalow e le borse, le attrezzature e le scarpe erano lì che galleggiavano allegramente. Il resto della nottata fu trascorsa nel tentativo di salvare il salvabile.

1990: a Monaco da giornalisti

Chiusa la parentesi fotografica, a partire dal 1990 cominciò quella giornalistica. Fino al 1995 Radio Monte Carlo disponeva di una cabina di trasmissione a bordo pista. Da lì si commentavano le fasi della corsa di F.1, ma anche della gara di F.3 che aveva sempre laureato grandi campioni. Quell’anno, per esempio, vinse Giancarlo Fisichella. Commentare il GP dalla cabina era qualcosa di eccezionale, ma anche pericoloso. Ancora oggi i commentatori che stanno a pian terreno vivono con ansia particolare le fasi iniziali. Nell’edizione del 95 ci fu una toccata multipla, che coinvolse Berger e Alesi con le Ferrari ma anche Coulthard con la Williams e altri ancora. La gara fu sospesa e ripresa dopo parecchio tempo. Stare in cabina e vedere il gruppo di macchine che passa a meno di un metro, si toccano e decollano pure, è una di quelle emozioni che restano nella vita. Infatti da allora la corsa è stata sempre seguita in sala stampa…

Durante la notte, girandoci nel letto, mettemmo una mano fuori dal materasso e la sentimmo completamente bagnata. Accesi la luce e per poco non ci venne un accidenti: l’alta marea era tale che l’acqua era entrata nel bungalow e le borse, le attrezzature e le scarpe erano lì che galleggiavano allegramente

Anche in TV

Per completare l’opera, dopo il fotografo, il giornalista e il commentatore radiofonico, non poteva mancare l’esperienza televisiva che a Monaco fu resa possibile da Tele+, oggi Skysport F.1. Per cinque anni l’emittente digitale mi ha permesso di commentare col collega Lucio Rizzica la seconda regia. Le cabine di commento erano localizzate nella zona della curva del Portier, mentre i box e la sala stampa sono dalla parte opposta. Nei primi due giorni di prove era possibile entrare in pista, salire su una macchina-navetta e arrivare ai box entrando dalla curva della Rascasse, ma la domenica sono cambiate le regole. Nel senso che nel 2001 i commissari decisero di chiudere la pista al ritorno, mentre all’andata era possibile seguire il solito tragitto. La scoperta avvenne con un po’ di panico, perché alle 13 bisognava essere pronti nelle cabine di commento, ma tutti quanti eravamo ancora nei box.

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Commentare il GP di Montecarlo dalla cabina di regia a bordo pista era un'esperienza unica

 

Paolo Leopizzi e Cesare Fiorio per la superegia, io e Lucio Rizzica per la seconda regia, Fabiano Vandone e Sandro Donato Grosso per i box e replay, unico tranquillo era Biagio Maglienti che doveva fare l’inviato dai box. Donato Grosso aveva al seguito anche la fidanzata mentre con me c’era anche il direttore news di RMC, Paolo Del Forno, che coordinava i vari interventi radiofonici fra la sede di Monaco della radio e la cabina di trasmissione di Tele+. A qualcuno venne in mente di noleggiare un battello che ci portasse dal porto alla spiaggia dell’hotel Meridien e da lì fare un centinaio di metri a piedi per tornare alle cabine di trasmissione. Il battello scelto poteva portare tre persone, noi eravamo in otto. Donato Grosso si sistemò a poppa, la fidanzata vicino a lui, ma quando toccò a Lucio Rizzica comprendemmo che la traversata sarebbe stata difficile. Lucio finì proprio in prua e grazie ai suoi 120 kg (qualcuno pensa fossero di più) il muso del battellino si abbassò di colpo e cominciò a imbarcare acqua.

 

Non c’era più tempo per trovare un altro passaggio e nemmeno chiedere a Donato Grosso di spostarsi, la cosa a lui sembrava non interessare. A metà tragitto incontrammo un battello che con l’onda anomala finì quello che Lucio aveva cominciato: fummo tutti bagnati fradici. Arrivammo in qualche modo sulla spiaggia del Meridien ma, prima di scendere, gli addetti dell’hotel ci chiesero 100 franchi a testa, altrimenti non avremmo potuto sbarcare. Arrivammo trafelati nelle cabine di commento, il più bagnato era Lucio Rizzica che cominciò a raccattare un po’ di abbigliamento in giro. Un tecnico gli prestò un paio di pantaloncini, un altro gli diede una maglietta, un altro ancora gli prestò le ciabatte. Io mi sistemai la camicia alla meno peggio mentre i jeans erano tutti bagnati.

Le ultime edizioni, invece, sono state molto serrate dal punto di vista lavorativo. E’ il destino di chi a Montecarlo ci va per lavorare e non per fare passerella, ma gli amici a casa non ci credono mai!

 

Con le luci di studio regolate in maniera diversa, Lucio sistemò camicia, pantaloni, mutande e calzini ad asciugare contro le lampade mentre il condizionatore sparava aria fredda per tenere in temperatura gli strumenti per la diretta. Partì la corsa che eravamo infreddoliti e bagnati quando a un certo punto cadde il libretto con le classifiche e gli appunti. Finì in mezzo alle gambe di Lucio che non poteva muoversi, provai ad abbassarmi per prenderlo ma scivolai dalla sedia e rimasi incastrato fra il muro della cabina, le gambe di Lucio e la mano sotto alla sedia. Non era una posizione comoda anche perché ricordava molto Monica Lewinski alla Casa Bianca…

Oggi è tutto cambiato da quel lontano 1978

Lucio non fece una piega e continuò a darmi la parola per tutto il tempo che cercavo di riemergere dall’incomoda situazione, leggendo nel frattempo gli appunti e le statistiche. Il commento andò bene, da casa nessuno capì cosa ci era successo e a corsa finita, pochi istanti prima che Leopizzi andasse in onda dallo studio, riuscimmo a togliere anche l’ultimo paio di calzini e le mutande appese ad asciugare. Le ultime edizioni, invece, sono state molto serrate dal punto di vista lavorativo, visto che Radio Monte Carlo è la radio del Principato il Gran Premio diventa l’argomento della settimana, per cui tanto lavoro e niente mondanità. E’ il destino di chi a Montecarlo ci va per lavorare e non per fare passerella, ma gli amici a casa non ci credono mai!

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