Fluidi lubrificanti: come influenzano la vita di una F1

Fluidi lubrificanti: come influenzano la vita di una F1
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Paolo Ciccarone
L'evoluzione dei fluidi lubrificanti ha permesso negli anni di migliorare perforance e affidabilità dei motori tanto in pista quanto in strada| <i>P. Ciccarone</i>
11 dicembre 2012

Per sapere se una persona sta bene o meno, si fa l’esame del sangue. In pochi centilitri di prodotto, c’è scritta la storia e le eventuali malattie. Non è una persona, ma l’esame “del sangue” di una vettura da corsa permette di capire esattamente le stesse cose. Se guardate con attenzione nei box di F.1, vedrete tecnici che si avvicinano alle vetture e prelevano una piccola provetta di lubrificante.

Ebbene, l’analisi dell’olio permette di capire se ci sono malattie in corso o se serve una cura urgente. In F.1 la ricerca dei lubrificanti ha portato a risultati eccezionali, forse più che con le benzine, limitate da una norma europea che impone percentuali di ossigeno e aromatici in misura fissa.

A livelli dal mare diversi densità di olio diverse

Unica variabile, la densità (da 0,75 a 0,78). Può sembrare poco, ma in quel “virgola zero tre” ci sta un mondo di ricerca e fra piste al livello del mare oppure in collina (Montecarlo o San Paolo in Brasile) la miscela di ossigeno e aromatici cambia profondamente, ma sempre rispettando le percentuali imposte dalle regole per cui c’è sempre qualcosa di nuovo da imparare.

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Una Formula 1 attuale non utilizza più di 4 kg d'olio: questo ha permesso di contenere incredibilmente il peso

Ma è la ricerca sui lubrificanti il vero punto forte delle competizioni che poi si trasmette alla strada. Negli anni 80 e 90 una monoposto imbarcava qualcosa come 12-15 kg di olio motore e 6-8 kg di olio per il cambio. A fine corsa nel serbatoio spesso ne rimanevano tracce, visto che tutto il lubrificante veniva consumato e sputato dagli scarichi o dai soffioni. Su una monoposto attuale non ci sono più di 4 kg di olio (3,8 più il filtro, come una normale utilitaria) e per il cambio non si va oltre 1,8 kg. Un risparmio pazzesco di peso (da 23 kg a meno di 6) ma soprattutto una rivoluzione chimica.

Migliori capacità di smaltimento del calore

Gli olii attuali hanno una densità che a volte è inferiore a quella dell’acqua, sono leggerissimi e quasi trasparenti. Non solo riducono gli attriti ma smaltiscono il calore in maniera pazzesca, tanto che oggi una F.1 è raffreddata ad olio e non ad acqua. Il lubrificante infatti non supera mai gli 80 gradi contro i 120-130 dell’acqua, che è in pressione nelle tubature dei radiatori.

Analizzando l’olio motore o del cambio, i chimici verificano la presenza di metalli e la loro quantità. Se nell’olio del motore, ad esempio, c’è un eccesso di titanio, significa che le valvole stanno cedendo o se c’è un eccesso di magnesio, magari sono le bronzine che stanno per rompersi e lo stesso dicasi per l’alluminio del basamento. Ogni pezzo di un motore, e sono circa 300, è costruito in metalli di tipo diverso a seconda del loro uso, quindi per le bielle materiale leggero resistente al caldo, per le testate rigido e leggero, le valvole a richiamo idraulico o pneumatico sono leggerissime e durissime, spesso in titanio.

Ma è la ricerca sui lubrificanti il vero punto forte delle competizioni che poi si trasmette alla strada

Alti regimi di rotazione per elevata affidabilità

Con i regimi di rotazione di 18.000 giri al minuto, e tolleranze di millesimi di micron, l’uso di un olio sottile, poco denso e resistente, permette al motore di girare ad alto regime senza surriscaldarsi. Ma queste ridotte dimensioni provocano un attrito fra le parti, infatti con tolleranze minime, succede che un pistone “sfreghi” contro il cilindro e che la fascia sia solo una (e non le tre solite dei motori di serie) per cui ad alta pressione e temperatura, gli attriti provocano una rimozione millesimale dei metalli che compongono il motore.

Questi residui restano in circolo e si depositano nell’olio. Ecco che un'analisi, allo spettrometro, consente di capire subito come è messo il propulsore o se sta cedendo qualche particolare. Semplificando molto il procedimento: il motore gira, l’olio lubrifica e rimuove le patine di metallo, la coppa dell’olio (anche se in F.1 parliamo di carter secco) raccoglie il residuo, il tecnico preleva un campione di olio, lo mette in una macchina chiamata spettrometro e invia un fascio di luce polarizzata che viene stampata in un grafico.

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I chimici analizzano l'olio motore e del cambio per verificare la presenza di eventuali metalli e la loro quantità

Le analisi: cosa permettono di fare

Ad ogni elemento di metallo corrisponde una frequenza e quindi sul grafico appare come un segno (una specie di sismografo con alti e bassi). Se quel metallo a quella determinata frequenza è in eccesso, scatta il campanello d’allarme e il motore viene monitorato per evitare cedimenti traumatici.

Lo stesso discorso viene fatto per l’olio del cambio e anche in questo caso si analizzano i vari metalli per capire se una marcia sta saltando o se la scatola ha dei problemi. Visto che spesso le scatole del cambio sono in carbonio, si verifica la quantità presente nel lubrificante. Se si considera che un cambio di F.1 resiste per 4 GP (ovvero fra prove e gara oltre 2000 km) e che ci sono solo 8 motori per 20 gare, si capisce il livello di affidabilità e resistenza raggiunto da una F.1 attuale.

Dalla pista alla strada

E tutto questo grazie ai lubrificanti. Il vantaggio su strada? Una volta si cambiava l’olio ogni 5.000 km, oggi ci sono Case che prevedono tagliandi ogni 50.000 km e la densità è passata da 15 W 50 a 3 W 15, ovvero meno inquinanti, più leggeri e durevoli. Ecco un segno di come la ricerca in F.1 sta aiutando gli automobilisti di tutti i giorni.

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