Formula 1, Donington '93, l'altra faccia della medaglia del capolavoro di Senna

Formula 1, Donington '93, l'altra faccia della medaglia del capolavoro di Senna
Pubblicità
Paolo Ciccarone
Nel 1993 a Donington, mentre Ayrton Senna incantava sul bagnato, il nostro inviato F1, Paolo Ciccarone, affrontò il lato meno nobile della pioggia. Ecco il racconto del dietro le quinte di quel weekend
12 aprile 2021

Era un 11 aprile anche quel giorno, solo che era una domenica di Pasqua. La F.1 aveva messo in calendario una gara a Donington, un circuito famoso per gli appassionati inglesi, meno noto per il resto del mondo se non fosse per il castello e il museo Grand Prix Collection di Tom Wheatcroff, aperto nel 1973 e purtroppo chiuso definitivamente nel 2018. La gara è passata alla storia come il capolavoro di Ayrton Senna, con un primo giro epocale, sorpassi a ripetizione, il giro più veloce passando per i box, i 7 pit stop di Alain Prost. Mentre Senna scriveva quella pagina di storia, il vostro cronista la stava raccontando. Ecco però qualcosa che non avevamo scritto a quell'epoca, un dietro le quinte di una impresa storica coi problemi quotidiani di chi faceva il giornalista.

A quel tempo ero inviato per Rombo, il settimanale fondato da Marcello Sabbatini e il direttore dell'epoca, Alberto, figlio di Marcello, mi conferì l'incarico di seguire il Gran Premio. Vista la vicinanza del museo e il luogo insolito (di solito si correva a Silverstone) decide di venire anche lui e quindi partenza da Bologna fino a Parigi, con Air France, e poi coincidenza fino a East Midland, l'aeroporto più vicino al circuito. Partiamo di buon ora da Bologna e a Parigi dobbiamo correre per il terminal, superare i controlli doganali, e imbarcarci sul volo della British Midland. Appena visto l'aereo, veniva voglia di tornare indietro: un vecchio DC9/30 che aveva visto tempi migliori, sedili usurati dal tempo e hostess che sembravano più guardiani di un carcere che dedite all'accoglienza dei passeggeri. Ci assegnano il posto in fondo, vicino ai motori di coda. Il decollo è saltellante, visto il meteo parigino, ma sempre niente rispetto a quello inglese...

Durante la salita (e i salti) il rombo del motore è assordante, sembra quasi un trattore con un cambio marcia difficoltoso, sali e scendi, scuotimenti, motore che tira, poi si ferma e poi riprende potenza in un alternarsi di scossoni che impediscono pure di bere un bicchiere d'acqua. Maledico il direttore, maledico il mestiere e mentalmente si recita a memoria il calendario sperando di ricordarsi tutti i santi segnati giorno per giorno. Inizia la manovra di discesa, cielo cupo, grigio, nuvole spesse quando a un tratto, spiando dal finestrino, ci troviamo belli bassi quasi sul circuito. Sotto stanno girando delle F.Opel Lotus e noi siamo a una decina di metri poco sopra: "non vorrà mica atterrare in autodromo" penso con terrore, salvo poi vedere la pista poco oltre la recinzione.

L'atterraggio fa tirare un sospiro di sollievo, adesso comincia la seconda parte del problema: prendere l'auto a nolo, andare in circuito, recuperare il pass per il direttore e cercare un posto in sala stampa. L'auto è grandicella (quando c'è il direttore si tratta bene, di solito da inviato mi mollavano quella a pedali...) si esce dall'autodromo, si prende la prima strada a destra, 500 metri, la seconda stradina e...siamo in pista. Altezza tornantino dove sono assiepati alcuni spettatori infreddoliti. "Ma corrono qua davvero?" gli chiedo. "Boh, e dove sennò!" la risposta secca. In effetti, sembra di essere all'interno di un cortile (mancano le galline), fangoso, erba bagnata ai lati. Saliamo le scale dove c'è scritto media center, ma scopriamo che è quella vecchia. Ovvero una tribunetta di un secolo fa, con una decina di posti. Non è quella la nostra postazione.

Ci avviamo e scopriamo che per l'occasione avevano montato un tendone bianco, con una struttura al piano di sopra destinata agli ospiti VIP. Noi siamo in basso, in mezzo all'erba bagnata e a una stuoina che dovrebbe evitare di bagnarci i piedi. Davanti a noi un guard rail grigio interrompe lo sguardo. Allacciati i telefoni, controllato le connessioni, giro per il paddock (praticamente le rimesse a fianco) e rientro in hotel. A quel tempo non c'erano navigatori, si prendeva una piantina, si cercava la zona e si tracciava una rotta. Ci avviamo verso Nottingham, il nostro alberghetto è vicino al fiume Trent, che fra insenature e laghetti offre uno spettacolo molto bello, peccato sia tutto grigio. Arriviamo in qualche modo in hotel dalle parti di Clifton Village e cerchiamo qualcosa da mangiare, ma è già tutto chiuso per cui si prosegue verso un centro commerciale dove fish and chips hanno lo stesso sapore di petrolio della carta di giornale in cui sono avvolti.

Il venerdì in pista scopriamo un altro problema: la sala stampa è posta all'uscita dei box e tutte le volte che passa una F.1 c'è uno spostamento d'aria che fa ballare la struttura. Il tavolino vibra, i computer saltellano (era il periodo dei Toshiba T1000), l'acqua sotto ai piedi aumenta il senso di freddo visto che manca il riscaldamento. L'effetto freddo causa problemi di vescica, per cui si esce dalla sala stampa improvvisata, si cerca il bagno nel cortile, che poi è al piano di sopra della scalinata della vecchia sala stampa e...sorpresa: c'è una lunga fila di persone. Ci informiamo e scopriamo che esiste un solo bagno per qualche migliaio di persone! Rientro in sala stampa, richiesta di informazioni, ma l'alternativa sarebbe il bosco fuori dal tracciato ma essendo sorvegliato dalla polizia, escluso si possa fare qualcosa di...utile.

Inganniamo il tempo andando sul terrapieno esterno al tornante e guardiamo i piloti in pista dall'alto. Intanto gli aerei atterrano con frequenza spuntando dalle nuvole passandoci sopra la testa. E sentiamo del viscido nei capelli (all'epoca c'erano, fidatevi malfidenti...). E' olio e grasso dei motori che scaricano nel loro tragitto di atterraggio. E infatti dopo le prove i piloti si lamentano perché la pista fra pioggia e residui di aereo è inguardabile e pericolosa. Un problema che non avevano considerato. Per la sera ci organizziamo con Nigel Wollheim, PR Ferrari insieme a Maurizio Arrivabene, a quel tempo Philip Morris. Lui è della zona per cui tornando verso l'albergo, ci consiglia un ristorante (presentarsi entro le 19...) con un mulino ad acqua a fianco del fiume Trent. Entriamo e lui in un inglese maccheronico (lo faceva per divertirsi) ci fa accomodare con la cameriera che chiede se qualcuno parla inglese perché Nigel è incomprensibile!

Risate generali, battute e poi la vendetta: "Ragazzi, ordino io la specialità del luogo per tutti, è molto rinomata ed è di qualità. Chi non mangia pesce?". Il sospetto è forte, per cui alzo la mano insieme ad altri colleghi e ce la caviamo con una bistecca ricavata da una povera bestia morta di vecchiaia (tanto era dura) e poi ridiamo come matti quando arriva la specialità: aringa affumicata! Qualcuno sta male solo a sentirla, altri a guardarla. Altri si fanno coraggio e mangiano stando male poco dopo. Finisce la serata con l'impegno di non tornare più e di fidarci del ristorante dell'hotel, passeggiata lungo il fiume e freddo nelle ossa con la pioggerellina che scende insistente. Un collega è felice: in centro a Nottingham c'è la statua dedicata a Robin Hood, infatti siamo nel pieno della foresta (o meglio la ex foresta) di Sherwood e ha detto alla figlia di aver fatto la fotografia con la statua "Finalmente papà una cosa seria, non le solite robe tue con le macchine". In effetti fa specie vedere che la leggenda di Robin Hood si perde fra stradine, un castello, un fiume e un autodromo spuntato a una quindicina di miglia chissà come.

Arriviamo a domenica, parte la gara, sala stampa esaltata dai sorpassi di Senna, la voce di Murray Walker, lo scomparso telecronista, a tutto volume nel tendone. Poi cominciano i pit stop, macchine che entrano ed escono, spostamenti d'aria in sala stampa, tendone che vibra con quelli del piano di sopra che saltano e si agitano, col risultato che la struttura non è per niente sicura. Piove a dirotto, l'acqua entra copiosa in sala stampa, corriamo ai ripari spostando le prese di corrente sul tavolo, alziamo i piedi da terra cercando di non finire a mollo nei 20 centimetri d'acqua che ormai hanno resto un laghetto la postazione, qualche computer salta per il corto circuito. Stacchiamo tutto, in fondo è domenica e non si lavora, avendo spostato la chiusura del giornale a lunedì.

Interviste di rito, si capisce che Senna ha compiuto una impresa unica, ne siamo testimoni, ma pensiamo al computer, ai bagni che mancano, ai piedi bagnati e al giaccone regalato da Renault il venerdì giù zuppo da buttare. Era un bel giaccone beige con collo in pelle marrone, il logo Renault e la scritta Williams, ricordo del barbecue del sabato sera (abbiamo saltato il ristorante locale...) ma essendo di tessuto e con la pioggia è tutto bagnato. Stiamo per ripartire, destinazione aeroporto col charter della Ferrari, Minardi e Scuderia Italia che si muovono sempre con un volo noleggiato. E qui Maurizio Arrivabene si supera: regala ai giornalisti un giaccone nero idrorepellente con collo rosso e colori Philip Morris e visto che è Pasqua, un uovo gigante! Salire a bordo non è facile, due giacconi addosso, borsa, computer e uovo che non entra nella cappelliera e facciamo il viaggio sul MD80 della Meridiana tenendolo in braccio col direttore, seduto a fianco, che intima di scrivere l'articolo mentre l'aereo balla da paura.

Mi sono rifiutato ma poche file più avanti c'è il responsabile del team Ferrari che discute della gara, dei problemi di Berger, della situazione della squadra in genere. Poi si accorge che sto origliando e ci guarda male. Intanto in testa si rivivono le immagini di Senna, dei piloti che hanno dato spettacolo e si capisce di aver assistito a qualcosa di unico. Atterriamo a Bologna e il caldo ci coglie all'improvviso. I due giacconi, di cui uno bagnato, sono una cappa unica, l'uovo gigante rischia di rompersi e quando passiamo la dogana i poliziotti ci osservano divertiti, guardano Todt e i ragazzi del team e sospirano: "Anche stavolta è andata male, ma perché non prendono a Senna?". Già, bella domanda. Torniamo a casa, ci si butta sul letto e la mattina dopo, 12 aprile, si comincia a scrivere e a raccontare quell'impresa epica. Oggi, 28 anni dopo, ecco l'altra faccia di quella medaglia, meno nobile, meno appariscente, ma mentre Senna faceva la storia, noi avevamo i piedi bagnati e cercavamo un bagno...

Pubblicità