Formula 1, spy story Ferrari: vi racconto io la verità - II parte

Formula 1, spy story Ferrari: vi racconto io la verità - II parte
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Paolo Ciccarone
Spy story: se ne parla tanto - anche impropriamente - ma in pochi sanno raccontarvi per filo e per segno cosa successe tra Ferrari e McLaren. Cerchiamo di fare chiarezza in questa seconda parte del nostro racconto | <i>P.Ciccarone</i>
9 dicembre 2015

Nella prima parte della nostra ricostruzione della celeberrima "Spy Story" del 2007, vi abbiamo raccontato i doverosi e necessari antefatti che hanno portato alla nascita dello scandalo scoppiato sul finire del Mondiale di Formula 1 di quell'anno. Adesso entriamo nel vivo della questione.

 

Maranello, marzo 2007. La batosta della FIA dopo il GP d’Australia è pesante. Se la Renault l’anno prima aveva vinto il mondiale usando il mass damper, che era un sistema di sospensioni che compensava l’assetto e che fu vietato, la zavorra mobile sotto al fondo doveva essere l’arma vincente della stagione, ma col divieto federale tutto veniva rimesso in discussione, bisognava trovare un nuovo sistema per rendere stabile la monoposto di Raikkonen e Massa.

 

Faccia a faccia Jean Todt e Stefano Domenicali cominciano a porsi delle domande: ovvero, come faceva la McLaren, che poi aveva informato la FIA, a sapere del sistema montato a bordo? Era nascosto, invisibile alle verifiche tecniche che si occupavano solo di misurare il fondo piatto e la sua eventuale flessibilità. La verità si fece largo: qualcuno ha parlato. Qualcuno della squadra, pensarono e infatti cominciarono subito i controlli incrociati. Da quell’anno Nigel Stepney non andava più in pista, era stato spostato a un ruolo di coordinamento all’interno della fabbrica, ruolo che Nigel non apprezzava. Voleva altro, un ruolo importante in pista, là dove c’è l’azione, non dietro le quinte. Quell’inquietudine gli fece commettere il passo falso decisivo: parlarne con l’amico Mike Coughlan della McLaren chiedendo di essere assunto a Woking come vendetta contro la Ferrari.

formula 1 2007 ferrari kimi raikkonen
LA F2007 montava un sistema di zavorre mobili non propriamente regolare

 

Todt e Domenicali misero a punto un sistema di controllo della posta interna, delle telefonate. Ci furono filtri dappertutto, tanto che chiamando un tecnico per salutarlo, invece dell’ingegnere in questione rispondeva l’ufficio comunicazione che chiedeva spiegazioni. Il personale di Maranello fu messo sotto la lente, ma si cominciò a capire chi fu l’artefice della soffiata quando, qualche gara dopo, in mano alla McLaren arrivarono le mail con indicati gli standard operativi delle prove. Ovvero con quanta benzina si provava, le procedure interne, i sistemi in uso, tutto quello che una squadra mette a punto nel corso degli anni e che rimane patrimonio unico, esclusivo di una formazione. Mike Coughlan non resiste alla tentazione e chiama nel suo ufficio Paddy Lowe e Jonathan Neal (ora alla Mercedes campione del mondo…) sottopone loro i grafici, i diagrammi e tutto il materiale che Stepney ha fatto arrivare dalla Ferrari: «Incredibile, ecco come fanno in prova e perché in gara reagiscono così» dissero. E tanto per non sbagliare, passarono le informazioni ai piloti.

Come faceva la McLaren, che poi aveva informato la FIA, a sapere del sistema montato a bordo? Era nascosto, invisibile alle verifiche tecniche che si occupavano solo di misurare il fondo piatto e la sua eventuale flessibilità

 

Fernando Alonso vide le mail, le commentò col suo amico Pedro De La Rosa, che era anche collaudatore della McLaren e insieme a Lewis Hamilton (che si confidava con la parte inglese del team) capirono come la Ferrari lavorava, quali segreti avesse la monoposto avversaria e con che procedure lavorassero in pista, in modo da valutare subito le prestazioni. Un conto è vedere Raikkonen fare un tempo in prova, senza sapere in che condizioni lo ha fatto, un altro è averlo ben chiaro analizzandolo a fondo. E scoprendo le debolezze dell’avversario.

 

Nel frattempo Coughlan cercava di sponsorizzare l’arrivo di Stepney alla McLaren, ma Ron Dennis non ne voleva sapere: faceva parte del clan di John Barnard, era quindi uno che aveva tradito la squadra a suo tempo e non voleva riprenderlo. E poi era un uomo simbolo della Ferrari vincente degli ultimi anni. Non se ne parlava. Coughlan insistette, Paddy Lowe anche e a Dennis venne qualche dubbio, specie quando scoprì le procedure della Ferrari. Dennis restò di stucco, non apprezzò e ci rimase male per il suo orgoglio personale. Ma era uomo squadra, doveva difenderla a tutti i costi nel caso fosse venuta fuori la storia.

 

Intanto spinse la FIA a pronunciarsi sul sistema della Ferrari, affidandosi ai federali, ma il caso doveva ancora scoppiare del tutto…

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