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Lo spettro di una guerra commerciale tra Stati Uniti ed Europa è stato allontanato all’ultimo momento e, lo scorso 27 luglio, a Turnberry in Scozia, il presidente americano Donald Trump e la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen hanno annunciato un accordo che prevede un dazio uniforme del 15% sulla maggior parte dei prodotti esportati dall’Unione verso gli USA, compresi i veicoli. Una misura che, pur evitando scenari ben peggiori, lascia l’industria automobilistica europea sotto pressione.
L’alternativa sarebbe stata molto più dura: un incremento tariffario fino al 30%, minacciato da Trump per il 1° agosto. Una prospettiva temuta da tutto il comparto automotive, in particolare tedesco, che nel solo 2024 ha esportato quasi 900.000 veicoli negli Stati Uniti – più della metà prodotti da Volkswagen, Mercedes-Benz e BMW.
L’accordo raggiunto non è però privo di costi per l’Europa. In cambio della “stabilità” promessa da von der Leyen, Bruxelles si è impegnata ad acquistare 750 miliardi di dollari in energia americana e a investire altri 600 miliardi sul suolo statunitense.
Una mossa che ha sollevato dubbi e critiche nei ranghi della politica europea. Infatti, molti osservatori accusano la Commissione di essersi fatta ingannare dal pragmatismo muscolare di Trump. Alcuni settori, come l’aerospaziale e la farmaceutica, hanno ottenuto esenzioni parziali, ma l’automobile non è tra questi. Un segnale che non è passato inosservato.
Il cancelliere tedesco Friedrich Merz ha accolto positivamente l’accordo, definendolo “un passo necessario per evitare l’escalation”, pur lamentando la mancanza di ulteriori concessioni. Le federazioni industriali tedesche, BDI e VCI, si dicono però preoccupate per le ripercussioni sul comparto automotive, che rischia di perdere competitività a causa del rialzo dei prezzi per il consumatore americano.
In Francia, dove i costruttori esportano poco verso gli USA, l’accordo viene giudicato meno rilevante in termini diretti, ma non per questo meno problematico. Il ministro delegato agli Affari europei, Benjamin Haddad, lo ha definito “disequilibrato” e solo “una soluzione provvisoria”. Ha inoltre criticato l’approccio americano, accusando Washington di usare la “coercizione economica” e sollecitando l’UE a non subire passivamente questo tipo di rapporti commerciali.
Se i mercati sembrano per ora rassicurati – con CAC 40 e DAX in leggera risalita – la sensazione generale è che l’Europa abbia evitato il peggio, ma al prezzo di nuove dipendenze e ulteriori pressioni sul proprio tessuto industriale. Trump ha già lasciato intendere che, in caso di mancati investimenti da parte dell’UE, i dazi potrebbero essere nuovamente alzati.
L’industria automobilistica europea, già impegnata nella transizione verso l’elettrico e colpita dall’inflazione dei costi, dovrà ora fare i conti anche con questa nuova barriera commerciale. Il 15% di dazio fisso è un compromesso, ma resta un ostacolo pesante in un contesto globale sempre più competitivo.