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Nella cornice dell’Automotive Dealer Day, uno degli appuntamenti più rilevanti per il mondo della distribuzione automobilistica in Europa, si è tenuto in un intervento firmato da Jean-Philippe Imparato, Chief Operating Officer per l’Europa allargata di Stellantis. Il suo speech, parte del panel “USA, China and Europe in the Automotive Transition: Global Shocks, Regional Answers”, ha esposto le criticità del settore e le sfide dell’industria automotive europea.
Imparato ha aperto il suo intervento sottolineando il valore del “Piano Italia”, presentato al MIMIT a dicembre 2024. Un’iniziativa ambiziosa che punta a rilanciare la produzione nazionale. “L’Italia merita di essere supportata”, ha dichiarato, elencando le azioni già in corso: dal rilancio della nuova 500 ibrida a Mirafiori, prevista per novembre 2025 con un potenziale di 130.000 unità, alla produzione di un nuovo modello compatto a Melfi e nuovi progetti su Maserati a Modena.
“Non vogliamo ridurre, né abbandonare il Paese. La sfida si vince qui”, ha ribadito, annunciando aggiornamenti a breve sul piano industriale, inclusi nuovi motori e gamme commerciali.
Imparato non ha usato mezzi termini nel descrivere le difficoltà di produrre in Europa, e in particolare in Italia. “Fare una macchina in Italia costa tre volte rispetto alla Spagna”, ha affermato. Le cause principali? Costo del lavoro, costo dell’energia e peso della regolamentazione.
Ha evidenziato che le normative europee — tra sicurezza, ADAS e standard ambientali — possono arrivare a incidere fino a 3.000 euro per veicolo, rendendo difficile competere con la produzione asiatica, soprattutto cinese, dove il vantaggio sui costi delle batterie è significativo: “Abbiamo un gap di circa 40 euro al kWh”, riferendosi al costo delle batterie in Cina.
Sul fronte della transizione elettrica, Imparato ha invocato pragmatismo. Ha ricordato che il 60% delle auto vendute in Europa costa meno di 30.000 euro e che un’elettrificazione forzata rischia di penalizzare fasce di consumatori e lavoratori: “Non tutti possono permettersi un’elettrica, non tutti la vogliono”. Inoltre, il francese ha criticato le sanzioni previste per il mancato raggiungimento dei target di mix elettrico — “150 milioni di multa per ogni punto percentuale mancante sui commerciali” — e ha lanciato un allarme: “Vogliamo ammazzare 13 milioni di lavoratori dell’ecosistema europeo per rincorrere numeri irrealistici?”.
Di fronte a un’Europa che rischia di restare schiacciata tra l’aggressività industriale della Cina e la capacità di investimento degli Stati Uniti, Imparato ha avanzato una proposta articolata in tre assi strategici per riportare l’industria automobilistica continentale su un binario sostenibile, non solo dal punto di vista ambientale, ma anche economico e sociale.
1. Rottamazione intelligente del parco circolante – Secondo Imparato, uno dei principali nodi da affrontare è l’età media delle vetture in circolazione: “In Europa ci sono 250 milioni di veicoli, e il 50% ha più di dieci anni”. Invece di puntare esclusivamente su auto elettriche nuove, spesso fuori dalla portata economica di gran parte della popolazione, il manager propone un piano europeo strutturato di rottamazione e rinnovo del parco auto, che consenta ai cittadini di passare a vetture nuove, meno inquinanti, anche se ibride o termiche efficienti. Un’iniziativa che, secondo lui, potrebbe avere un impatto ambientale molto più concreto nel breve termine rispetto a target imposti senza tenere conto delle reali condizioni del mercato.
2. Semplificazione normativa e omologativa – Altro tema caldo è quello dell’eccessiva burocratizzazione del processo di omologazione dei veicoli in Europa. “Non è ammissibile che una citycar debba sostenere gli stessi costi e test di omologazione di un SUV premium da 150.000 euro”, ha dichiarato con fermezza. Imparato propone una revisione dei criteri regolatori europei, in particolare per rendere economicamente sostenibile la produzione e la vendita dei modelli di segmento B e C, quelli più popolari. Senza una semplificazione normativa, avverte, si rischia di tagliare fuori dal mercato milioni di automobilisti e di rendere insostenibile la produzione locale di modelli accessibili.
3. Tecnologia e produzione strategica europea – Il cuore della proposta è infine un appello alla costruzione di una filiera industriale europea dell’elettrico, che non si limiti a vendere auto, ma sappia produrre localmente le componenti fondamentali, a partire dalle batterie. “Abbiamo bisogno di colmare un gap di 40 euro al kWh con la Cina. Senza un supporto pubblico su scala continentale, non possiamo farcela”. Per Imparato, l’Europa deve investire in modo coordinato e deciso nella creazione di gigafactory, nella ricerca sui materiali, nel riciclo delle batterie e nello sviluppo di tecnologie proprietarie, per evitare una dipendenza strutturale che minerebbe qualsiasi ambizione industriale.
Questi tre pilastri – rinnovamento del parco auto, alleggerimento regolatorio e indipendenza tecnologica – rappresentano, secondo il manager, l’unica via per salvaguardare l’occupazione, la competitività e la sostenibilità dell’automotive europeo in una fase di cambiamenti epocali.
Nel panorama in rapida evoluzione del commercio automobilistico, il digitale ha conquistato un ruolo sempre più centrale, ma per Imparato resta un tassello, non il tutto. “L’online è fondamentale per la trasparenza e l’efficienza, ma da solo non basta a sostenere una rete commerciale sostenibile nel lungo termine”, ha spiegato, richiamando l’attenzione su un equilibrio che rischia di essere sottovalutato.
Per il COO, l’idea che il futuro della vendita auto possa passare unicamente attraverso piattaforme digitali è una semplificazione pericolosa, che trascura il valore del rapporto umano, della consulenza personalizzata e soprattutto della presenza fisica sul territorio. “Il concessionario non è solo un punto vendita, è un presidio di marca, un punto di fiducia, un luogo dove si costruisce relazione e assistenza. È impensabile sostituirlo integralmente con un algoritmo”.
La visione di Imparato è quella di un modello distributivo ibrido, in cui la digitalizzazione supporta e potenzia l’esperienza del cliente, ma non sostituisce il contatto umano. Un approccio “phygital”, come viene spesso definito, che punta a combinare la comodità dell’e-commerce – preventivi trasparenti, prenotazioni rapide, accesso a incentivi e finanziamenti online – con la competenza dei professionisti in concessionaria, capaci di seguire il cliente nel post-vendita, nella manutenzione e nella fidelizzazione a lungo termine.
Un altro nodo riguarda la sostenibilità economica delle reti di distribuzione, in particolare per i piccoli e medi concessionari, messi sotto pressione da margini ridotti e da richieste sempre più complesse sul fronte tecnologico e normativo. Per Imparato, è fondamentale che il nuovo modello di business dell’automotive non scarichi tutto il peso della transizione su questi attori: “Se vogliamo vendere veicoli a 25-30mila euro, dobbiamo assicurarci che ci siano reti in grado di sopravvivere con quei margini. Altrimenti, parleremo di accessibilità, ma costruiremo un mercato elitario”.
Anche in questo ambito, emerge la richiesta di regole comuni a livello europeo, che armonizzino la relazione tra case automobilistiche e rete di vendita, per evitare distorsioni e asimmetrie contrattuali tra mercati nazionali. “Serve un quadro stabile, chiaro e condiviso, altrimenti i piccoli spariranno e resteranno solo grandi gruppi e piattaforme online. Ma a quel punto, sarà ancora il nostro mercato?”.