Brexit: gli effetti dell'uscita della Gran Bretagna dall'UE sul settore dell'auto

Brexit: gli effetti dell'uscita della Gran Bretagna dall'UE sul settore dell'auto
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Daniele Pizzo
Al referendum vince il “leave” e crollano petrolio e titoli del comparto. FCA getta acqua sul fuoco, ma i costruttori sono maggiormente preoccupati per gli scambi commerciali
24 giugno 2016

Il referendum sull'uscita della Gran Bretagna dall'Unione Europea, vinto dal fronte del “Brexit” sul filo di lana con il 52%, fa interrogare gli analisti sulle conseguenze che una scelta così radicale da parte degli inglesi comporterà per industria e finanza. Il momento è abbastanza delicato per FCA, che a Londra ha spostato poco tempo fa la sua sede fiscale, ma da Torino gettano acqua sul fuoco.  

«Non prevediamo che l'uscita della Gran Bretagna dall'Unione Europea abbia per FCA particolari impatti sul fronte industriale o di altro tipo, sebbene l'esito del referendum ponga l'interrogativo su quella che sarà l'Europa del futuro», dichiara un portavoce di FCA a proposito della vittoria del “leave” al referendum.

«In particolare non ci attendiamo che il fatto di avere la sede fiscale in Gran Bretagna comporti conseguenze finanziarie o cambiamenti nella governance del Gruppo, data la distribuzione globale delle attività e sedi operative di FCA nei vari Paesi nel mondo».

Intanto, però, il titolo FCA a Milano ha perso quasi l'8%, mentre sulla stessa piazza Ferrari, che in Gran Bretagna genera il 6% del suo fatturato, accusa oggi un calo del 5%. Più contenute del mercato insomma le perdite del Cavallino Rampante, così come quelle di Brembo che scivola intorno al 3%. Crolla anche il petrolio del 5% e di conseguenza anche i titoli del settore Oil & Gas, con l'Eurostoxx che scende del 7%. In questo settore ingenti le perdite per Eni, che scivola dell'8%. 

Se non tanto per le fluttuazioni di Borsa, i costruttori sono maggiormente preoccupati per il libero scambio di merci messo a repentaglio dall'uscita della Gran Bretagna dall'Europa. La Gran Bretagna è infatti il secondo mercato europeo per le automobili dopo la Germania e ospita numerosissimi stabilimenti di costruttori stranieri, attirati Oltremanica negli ultimi anni dalle politiche favorevoli varate dai vari Governi, non ultimo quello del dimissionario David Cameron.

Con oltre 15 costruttori di auto (Lotus, Aston Martin, Jaguar Land Rover i nazionali, Honda, Nissan, Toyota, Ford, General Motors, BMW con i brand Mini e Rolls-Royce e Volkswagen con Bentley quelli stranieri, per citare i maggiori), 6 studi di design, 13 centri R&D e oltre cento aziende specializzate, il settore dell'automobile nel Regno di Sua Maestà vale 15 miliardi di sterline. In Gran Bretagna hanno sede perfino sette costruttori di Formula 1.

Il timore è che l'uscita della Gran Bretagna possa significare dazi doganali e costi aggiuntivi sulle materie prime e la logistica ed anche un forte incremento dei prezzi delle auto destinate all'esportazione. La preoccupazione è stata espressa dalla SMMT, l'associazione britannica delle Case: «Il Governo ora deve mantenere la stabilità economica e assicurarsi un accordo con l'Unione Europea che salvaguardi gli interessi del settore automotive. Ciò deve includere il libero accesso ai mercati europei e globali, assicurando che sia possibile reclutare talenti dall'UE e dal resto del mondo, facendo del Regno Unito il posto più competitivo in Europa per gli investimenti nel settore». 

Il processo di uscita dall'Unione per il Regno Unito impiegherà almeno due anni. Al prossimo premier inglese la sfida di traghettare il proprio Paese verso l' indipendenza, salvando però la competitività. 

 

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