Come la Cina ha conquistato il mondo dell’auto

Come la Cina ha conquistato il mondo dell’auto
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Daniele Pizzo
In 70 anni di Repubblica Popolare il Dragone non è mai stato così potente. Soprattutto nel mondo dell’auto. Ecco come si è evoluta la sua industria dagli albori ai nostri giorni
16 ottobre 2019

«Nessuna forza può fermare il popolo cinese dal marciare in avanti»: sono queste le parole più significative del presidente della Cina Xi Jinping in occasione degli imponenti festeggiamenti per i 70 anni della Repubblica Popolare. Ed in effetti di strada ne ha fatta eccome la Cina, anche e soprattutto in campo automobilistico, se si pensa che oggi più di un quarto della produzione mondiale di veicoli arriva dalla Repubblica del Dragone.

2000: l’invasione dei “cloni”

Qualcosa di impensabile nei primi anni 2000, quando definire un’auto “cinese” suonava come un dispregiativo. Non del tutto a torto, perché le prime auto importate dalla Cina che quasi 20 anni fa incominciarono a vedersi in Europa erano in effetti qualitativamente molto scarse rispetto alle occidentali, oltre che imitazioni dal punto di vista del design delle europee. Fu in quegli anni che l’Occidente si accorse che esisteva un’industria cinese dell’automobile che scalpitava per espandersi all’estero.

Quegli anni furono il periodo dell’arrivo nel Vecchio Continente dei “cloni”: solo di recente Land Rover ha chiuso una controversia con Landwind per la copia della Evoque, mentre fecero scalpore la Great Wall Peri che somigliava in maniera incredibile alla Fiat Panda, la Shuanghuan CEO sosia della BMW X5 o la Martin Motors Bubble che imitava malamente la Smart Fortwo, tanto per citare una piccola parte dei tanti modelli che diedero luogo a controversie finite a carte bollate.

Più che tentativi di contraffazione, erano le vetture che circolavano per le strade d’Oriente e che per un periodo si tentò di vendere, con poco successo, anche alle nostre latitudini cavalcando la filosofia emergente del “low cost” che nel settore dell’auto ha determinato l’affermarsi di Dacia.

La Great Wall Peri, "clone" cinese della Fiat Panda. nel 2008 il Tribunale di Torino ne vietò l'importazione in Europa
La Great Wall Peri, "clone" cinese della Fiat Panda. nel 2008 il Tribunale di Torino ne vietò l'importazione in Europa

L’auto in Cina? Merito di un americano

L’odierna potenza della Cina nel settore automotive si deve a tre punti di forza: enorme produttività a costi bassi, ampiezza del mercato interno, disponibilità di capitali. A ciò va aggiunto una leadership nel campo tecnologico che negli ultimi anni ha portato, per fare un esempio, un colosso fino a poco tempo fa semisconosciuto come Huawei a rivaleggiare con Apple nel campo dell’elettronica di largo consumo. I cinesi hanno dunque dimostrato di saper imparare bene le lezioni prese in patria dagli stranieri e di saper superare i maestri.

La storia dell’auto in Cina nasce infatti da un americano: tale Daniel F. Myers, un ingegnere dell’Indiana che nel 1929 si trasferisce in Manciuria su sollecitazione di un collega connazionale convinto dal signore della guerra Zhang Xueliang a mettere in piedi una fabbrica di camion, nell’ottica di fare della sua regione quella più industrializzata del paese. Zhang Xueliang gli offre un ex arsenale di armi in cui lavorare.

Myers porta con sé dagli USA cinque modelli di costruzione americana completamente smontati, che fa assemblare alle maestranze locali. Si accorge che però non sono adatti alle condizioni disastrate delle strade cinesi. Per cui riprogetta tutto da capo con l’aiuto di alcuni locali che forma al disegno tecnico e nel giro di due anni appronta il Minsheng 75, un autocarro con un passo di 4 metri e motore americano Buda 6 cilindri da 70 CV che diventa il primo veicolo a motore prodotto in Cina. E’ il 1931, ma la storia del marchio Minsheng è destinata a concludersi poco dopo, con l’invasione giapponese che costrinse il suo mentore a rifugiarsi in Europa.

Il Governo cinese gli offrì un contratto per sviluppare una piccola vettura di tipo economico, con un motore due tempi da 532 cc di sua progettazione da destinare alla motorizzazione di massa. Ma la poca esperienza dei lavoratori locali, la svalutazione della moneta cinese e i conflitti dell’epoca mandarono all’aria il progetto.

Il Minsheng 75 del 1931 è il primo veicolo a motore interamente cinese della storia. Fu ideato dall'ingegnere americano Daniel F. Myers
Il Minsheng 75 del 1931 è il primo veicolo a motore interamente cinese della storia. Fu ideato dall'ingegnere americano Daniel F. Myers

L’era comunista

Nella storia dell’automobile cinese c’è stato un periodo piuttosto autarchico che va dagli anni della seconda guerra mondiale fino agli anni ‘80 che corrisponde all’era comunista che iniziò con la rivoluzione del 1949. Prima di allora, in pratica l’industria dell’auto era inesistente.

Solo nel dopoguerra e con Mao al potere nacquero dalla riconversione dell’industria bellica nuove fabbriche di veicoli, la cui produzione era limitata a mezzi commerciali e pesanti grazie all’aiuto economico ed industriale dell’USSR.

La prima fabbrica statale dell’era moderna è la Nanjing Automobile (NAC), fondata nel 1947 e fusa con la più giovane SAIC nel 2007, che invece fu fondata nel 1955. Nel 1953 è nata invece la FAW. La BAIC di Pechino nacque nel 1958, mentre il più giovane dei quattro grandi gruppi odierni è Dongfeng, che aprì i battenti nel 1969.

I primi tre modelli cinesi nascono tutti nel 1958. FAW è la più lesta a creare la prima vettura di costruzione interamente cinese: era la Hongqi CA72, una limousine ispirata alle automobili americane (non solo nel design, il motore era un V8 5.6 litri da 200 CV) successivamente prodotta anche in versione cabriolet, che veniva fornita agli apparati statali ed alti dignitari. Ancora oggi è così: il presidente Xi Jinping non rinuncia alla sua Hongqi N501 in occasione delle sue visite all’estero.

Sempre nel 1958 nacquero altri due modelli di relativamente grande diffusione: il primo prototipo della Shanghai SH760, fino al 1964 chiamata Fenghuang (“fenice”, tradotto in italiano) era basato sulla polacca FSO Warszawa, ma lo sviluppo portò all’adozione di una meccanica copiata dalla Mercedes 220 W180. Nel 1964 il modello cambiò denominazione in Shanghai SH760, le cui evoluzioni SH760A (1974), SH760B (1988) ed SH7221 (1989) rimasero in produzione senza troppi cambiamenti, stile a parte, addirittura fino al 1991.

La Dongfeng CA71 presentata nel 1958 si ispira nella meccanica alla Mercedes W120 anche nel motore che era un 4 cilindri 1.9 litri, ma lo stile prende ampiamente spunto dalla francese Simca Vedette. Anch’essa fu destinata al regime, tanto che fu utilizzata anche da Mao in alcuni eventi di propaganda, ma con i suoi 4,56 metri i funzionari comunisti preferirono la Shanghai SH760 lunga 4,78 e dunque più confortevole.

Nel 1967 arriva invece la Hongqi CA770 che rimane in servizio fino al 1981. Era una CA72 con qualche aggiornamento estetico e anch’essa fu destinata al Partito Comunista. Solo nel 1995 la Hongqui iniziò a produrre la CA7200 e nel 1998 la C7480, che altro non erano che le versioni locali della tedesca Audi 100 e dell’americana Lincoln Town Car.

La Hongqi CA72 è stata la prima auto cinese. Hongqi è il marchio che rifornisce ancora oggi gli alti funzionari statali
La Hongqi CA72 è stata la prima auto cinese. Hongqi è il marchio che rifornisce ancora oggi gli alti funzionari statali

Le “Big Four” cinesi

SAIC, Dongfeng, FAW, Chang’an: se negli USA GM, Chrysler e Ford sono le Big Three”, in Cina questo quartetto compone quello delle “Big Four”. Tutte e quattro sono controllate dal Governo di Pechino ed hanno origini e storie simili. Prima delle collaborazioni partite a metà degli anni ‘80 con i costruttori occidentali, sono i costruttori che hanno motorizzato la Cina per volontà di Mao Zedong, che nel 1949 fondò la Repubblica Popolare Cinese.

Prima del 1980, infatti, il Partito Comunista non consentiva ai cittadini di acquistare veicoli per uso individuale, considerando la proprietà privata contraria agli interessi del paese. Quando questa restrizione fu rimossa a metà degli anni '80, la domanda di automobili aumentò rapidamente e il governo iniziò a incentivare la produzione di autovetture che è cresciuta enormemente fino ai giorni nostri.

A partire dalla seconda metà degli anni ‘80 il paese si apre ai mercati internazionali e vengono avviate le collaborazioni con costruttori americani, europei e giapponesi. E pensare che la Cina a metà degli anni ‘80 produceva appena 5.200 auto. L’espansione dell’auto in Cina ha inizio in quel periodo, quando insieme ad europei, americani, giapponesi e coreani sono nate le joint venture con i costruttori esteri in cui per legge almeno il 51% doveva essere di proprietà nazionale. Iniziano a circolare per le strade Volkswagen, Toyota, Nissan, Citroen, Peugeot e Mercedes.

Negli anni ‘90 accanto ai costruttori occidentali iniziano a fiorire nuovi marchi cinesi, tra cui alcuni privati, dai nomi “occidentaleggianti” come Brilliance, Geely, Chery, Great Wall. Dal 1980 al 1999 il PIL interno è cresciuto al ritmo dell’11% annuo, anche grazie all’industria dell’automobile.

Una Shanghai SH760A del 1990: da notare il design ancora fortemente influenzato da quello degli anni '70
Una Shanghai SH760A del 1990: da notare il design ancora fortemente influenzato da quello degli anni '70

Un mercato che vale quanto Europa e USA insieme

Oggi i cinesi sono diventati i migliori alleati dei Gruppi europei. Prima di tutto perché la “fabbrica del mondo” riesce a produrre a costi competitivi più che in qualunque altro angolo del globo.

In seconda battuta perché è il mercato più ampio del pianeta: vi si immatricolano ogni anno 26 milioni di veicoli, pari a Europa e Stati Uniti messi insieme. Saic ha oggi in General Motors il suo partner estero principale, ma intrattiene rapporti anche con Volkswagen ed FCA, Dongfeng è legata a PSA e Renault, FAW fa affari con Audi, GM e VW e Chang’an con Ford, per citare i quattro colossi cinesi più importanti.

Questo processo di internazionalizzazione della Cina dell’auto, a cui gli USA si stanno opponendo a suon di dazi ottenendo però di essere ripagati con la stessa moneta, ha conosciuto un boom negli ultimi 20 anni con l’ingresso nel 2001 della Cina nel WTO, che le ha aperto le porte del commercio internazionale. Non è un caso che nel 2004 la Cina ospita per la prima volta un Gran Premio di Formula 1, per il quale il Governo comunista commissiona l’odierno circuito di Shanghai, un gioiello di ingegneria costruito in appena 18 mesi.

La conquista dell’Occidente

Il motivo per cui oggi è così potente è che in Cina ci sono i capitali che scarseggiano altrove. Un esempio su tutti: l’azionista di maggioranza del colosso tedesco Daimler, che con le sue Mercedes è il costruttore che più affascina i cinesi, è dal 2018 Li Shufu, fondatore e proprietario del gruppo Geely che a sua volta controlla le europee Volvo e Lotus e che ha da poco varato con Stoccarda una joint venture al 50% per la produzione delle Smart elettriche. Shufu ha acquisito circa il 10% di Daimler, per un valore pari a circa 7,5 miliardi, mentre il 5% è invece di BAIC, partner in Cina della Stella fin dal 1984. Guardando in casa nostra, l’esempio più lampante è quello di Pirelli, passata in mano cinese nel 2015.

Oggi la Cina è il principale partner per gli scambi commerciali d’Europa: si calcola che il valore giornaliero del commercio tra Vecchio Continente e la Repubblica Popolare sia di ben 1 miliardo di euro al giorno.

Ormai non c’è quasi più gruppo europeo, e non solo nell’industria dell’auto, che non abbia in parte del suo azionariato omologhi con gli occhi a mandorla, nella maggioranza dei casi aziende a partecipazione statale come i gruppi automotive più grandi della Cina.

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