Dazi USA: le tariffe di Trump non convincono, la Corte d’appello: “La maggior parte non è legale”

Dazi USA: le tariffe di Trump non convincono, la Corte d’appello: “La maggior parte non è legale”
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Colpo ai dazi di Trump: la Corte d’Appello federale stabilisce che la maggior parte delle tariffe imposte dall’ex presidente non è legale
1 settembre 2025

La Corte d’appello federale di Washington ha stabilito il 29 agosto che la maggior parte dei dazi introdotti dal presidente Donald Trump non ha fondamento legale, minando uno degli strumenti principali della sua agenda economica internazionale.

Il tribunale ha concesso tempo fino al 14 ottobre all’amministrazione per presentare ricorso alla Corte Suprema, lasciando nel frattempo in vigore le misure contestate. Una decisione che non solo mette in discussione la legittimità delle cosiddette “tariffe reciproche”, ma che apre anche uno scontro istituzionale su chi detenga davvero il potere di imporre tasse e dazi: il Congresso o la Casa Bianca.

Al centro della disputa c’è l’International Emergency Economic Powers Act (IEEPA), una legge del 1977 concepita per consentire al presidente di fronteggiare “minacce insolite e straordinarie” dichiarando lo stato di emergenza nazionale. Storicamente utilizzata per sanzioni o congelamenti di beni, Trump è stato il primo presidente a invocarla per giustificare l’imposizione di tariffe commerciali.

La norma conferisce al Presidente un’ampia autorità in caso di emergenza, ma non menziona in alcun punto la possibilità di imporre dazi o tasse”, ha sottolineato la Corte, ribadendo come l’IEEPA manchi di quelle garanzie procedurali che limitano l’azione esecutiva.

I dazi contestati e le motivazioni politiche

La sentenza riguarda due pacchetti di misure: i dazi introdotti ad aprile nel quadro della guerra commerciale ribattezzata da Trump “reciprocal tariffs”, e quelli varati a febbraio contro Cina, Canada e Messico. Nel primo caso, la Casa Bianca aveva dichiarato emergenza nazionale richiamando il cronico deficit commerciale americano, considerato una minaccia alla capacità industriale e persino alla sicurezza militare del Paese. Nel secondo, il presidente aveva giustificato i dazi accusando i tre partner di non contrastare a sufficienza l’ingresso di fentanyl negli Stati Uniti, circostanza che i governi interessati hanno sempre respinto.

Le tariffe hanno rappresentato un pilastro della politica estera di Trump nel suo secondo mandato, diventando uno strumento per negoziare accordi più favorevoli e costringere i partner commerciali a concessioni economiche. Se da un lato hanno offerto leva negoziale a Washington, dall’altro hanno alimentato tensioni sui mercati finanziari e acceso il dibattito interno sulla costituzionalità di tali misure.

Secondo la Costituzione, è il Congresso a detenere il potere di imporre tasse e dazi. Ed è proprio su questo punto che hanno fatto leva le cause intentate da cinque piccole imprese statunitensi e da 12 Stati a guida democratica, sostenendo che Trump abbia ecceduto nelle sue prerogative.

Già lo scorso maggio la Corte del Commercio Internazionale, con un collegio di tre giudici – fra cui uno nominato dallo stesso Trump – aveva bocciato la legittimità dei dazi. Inoltre, altri tribunali federali si sono espressi in modo analogo. In totale, sono almeno otto le cause pendenti contro la politica tariffaria dell’amministrazione, compresa quella promossa dallo Stato della California.

La decisione di Washington, pur non intaccando i dazi imposti su altre basi legali – come quelli sull’acciaio e sull’alluminio – segna un precedente importante. Se la Corte Suprema dovesse confermare l’orientamento dei giudici d’appello, Trump vedrebbe ridimensionata in modo sostanziale una delle armi più utilizzate nella sua strategia economica globale.

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