L'ex CEO di Stellantis Carlos Tavares rompe il silenzio: “Un giorno Elkann mi chiamò e mi disse che non si fidava più di me”

L'ex CEO di Stellantis Carlos Tavares rompe il silenzio: “Un giorno Elkann mi chiamò e mi disse che non si fidava più di me”
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Dopo mesi di silenzio, Carlos Tavares torna a parlare della sua uscita da Stellantis
17 ottobre 2025

L’ex amministratore delegato del gruppo nato dalla fusione tra FCA e PSA, una delle figure più influenti del mondo automotive, ha raccontato per la prima volta i retroscena del suo addio, avvenuto alla fine del 2024, e lo ha fatto con toni diretti: “Un giorno, John Elkann mi chiamò e mi disse che non si fidava più di me”.

La rivelazione arriva a pochi giorni dall’uscita del suo libro Un pilota nella tempesta, in uscita il 23 ottobre, in cui Tavares ripercorre la propria carriera e le sfide vissute alla guida di Stellantis. L’intervista concessa al magazine francese Le Point anticipa molti passaggi chiave del volume e getta nuova luce su un addio gestito in modo tanto rapido quanto inaspettato.

Secondo quanto racconta Tavares, la rottura con Stellantis si consumò nel giro di appena due giorni. “Ero all’Estoril, in Portogallo, quando John Elkann mi chiamò per dirmi che aveva perso la fiducia in me”, spiega l’ex CEO. “Ero lì per eseguire un piano già validato, ma mi dissero di fermarmi e tornare al punto di partenza. Io scelsi invece di accelerare sul piano elettrico”.

Una decisione che, secondo Tavares, derivava dalla convinzione che rallentare l’elettrificazione sarebbe stato un errore fatale: “Bisognava decidere se lamentarsi come tutti o sfruttare la pausa per accelerare. Io ho scelto di accelerare, per i miei nipoti, per il clima”.

La separazione fu negoziata in appena 48 ore e annunciata ufficialmente alla fine di quello stesso weekend. “Mi assumo tutta la responsabilità — afferma —. Sono stato il capo, nel bene e nel male. Ho commesso errori, ma spero di aver azzeccato l’80%. Non mi autoflagellerò per questo”.

Dal vino alle corse: la nuova vita di Tavares

Dopo l’addio al gruppo, Tavares ha scelto di restare lontano dai riflettori. Oggi si divide tra la produzione di vino, la gestione di cinque hotel, la restaurazione di auto storiche e la partecipazione a competizioni automobilistiche. Sta inoltre valutando investimenti nella compagnia aerea Azores e nel circuito dell’Estoril, dove Ayrton Senna ottenne la sua prima vittoria in Formula 1 nel 1985.

Oltre a raccontare la rottura con Elkann, Tavares offre una riflessione amara sullo stato del settore automobilistico: “È un mondo estremamente violento”, dice, “condizionato da dazi, regolamenti e tensioni geopolitiche”. A suo giudizio, la burocrazia e l’incertezza politica stanno spingendo molti talenti a lasciare l’industria, portando verso una “consolidazione brutale e feroce”.

Neppure la discussa indennità da circa 35 milioni di euro viene taciuta: “Era un contratto, non un privilegio. Essere un capo è un lavoro rischioso. Accettiamo che un calciatore guadagni cento milioni, ma non che un dirigente ne riceva venti?”.

Le parole più dure, però, Tavares le riserva all’Unione Europea. Secondo lui, dopo il Dieselgate, Bruxelles si è “vendicata” dell’intero settore automobilistico, imponendo politiche “dogmatiche” e non coordinate con l’industria. Il manager portoghese sostiene che l’UE avrebbe dovuto introdurre divieti progressivi basati sulle emissioni di CO₂ e consentire una transizione elettrica più graduale: “Così abbiamo solo aperto la porta alla Cina, già padrona della tecnologia, e speso 50 miliardi per inseguire. Uno spreco”.

Sui dazi ai costruttori cinesi, Tavares è netto: “Sono una toppa su una gamba di legno. I cinesi produrranno in Europa, con costi europei, e a quel punto sarà l’industria europea a diventare cinese”. E a proposito della joint venture Stellantis–Leapmotor, lancia una provocazione: “Se Stellantis dovesse fallire, potrebbero perfino ricomprarla”.

Infine, Tavares amplia la critica al quadro politico europeo: “Non posso lavorare se l’Europa non ha una direzione”, afferma. “La mancanza di una visione comune sta generando una guerra di sovranità tra Bruxelles e gli Stati membri, con la burocrazia usata come arma”.

Sul piano nazionale, il manager non risparmia neppure la Francia, che definisce “un Paese incapace di riformarsi senza violenza”. Accusa il governo Macron di non aver saputo sfruttare il vantaggio dell’energia nucleare e di aver “asfissiato” le imprese con la burocrazia e i costi. “Così — conclude — ci sono solo due vie: la povertà o lo scontro civile”.

 

Fonte: hibridosyelectricos

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