Fondo vittime della strada, De Vita: «Paghiamo anche per i non assicurati e per le targhe fasulle»

Fondo vittime della strada, De Vita: «Paghiamo anche per i non assicurati e per le targhe fasulle»
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Enrico De Vita
  • di Enrico De Vita
Il nostro editorialista, Enrico De Vita, è intervenuto ai microfoni di Isoradio per parlare della crisi del Fondo nazionale per le vittime della strada, messa in luce da un’inchiesta de La Stampa
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29 marzo 2018

Il Fondo nazionale per le vittime della strada, istituito nel 1971 per tutelare le vittime di un incidente causato da un pirata della strada o da un mezzo non assicurato, vive un momento di grave difficoltà: come rivelato da un’inchiesta pubblicata in questi giorni da La Stampa, ci sono perdite per 150 milioni l’anno e l’azzeramento del patrimonio è previsto per il 2019. Questo fondo si alimenta anche con le nostre assicurazioni. Si tratta di un fondo gestito dalla Consap, la Concessionaria Servizi Assicurativi Pubblici controllata dal Ministero delle Finanze: è stata proprio la Consap a lanciare l’allarme. Perché si è arrivati a questo punto?

Il nostro editorialista, Enrico De Vita, è intervenuto in merito a questo interrogativo ai microfoni di Elena Carbonari su Isoradio. «Questo declino – risponde De Vita - è da ricondursi a diverse cause: prima di tutto, come spiega l’inchiesta de La Stampa, i premi delle assicurazioni sono diminuiti negli ultimi tempi: il monte totale di quanto questo fondo possa gestire ogni anno si è ridotto e non copre più gli esborsi. È inoltre aumentato il numero di chi non si assicura. Siccome il fondo garanzia ottiene il 2,5% di ogni polizza pagata, riducendosi la mole delle polizze si contrae anche l’importo disponibile. Terza cosa, sono aumentate le frodi».

«Non bisogna poi dimenticare un’ulteriore causa. L’inchiesta de La Stampa individua nella Campania la regione nella quale questo Fondo vittime della strada interviene in maniera più massiccia: il 47% delle denunce presentate al fondo vengono da lì. L’inchiesta de La Stampa dimentica, però, il caso delle assicurazioni in via di liquidazione (i cui indennizzi vengono liquidati attingendo al fondo) e le compagnie fasulle: società assicurative inesistenti che rilasciano certificati finti come fotocopie. Ci troviamo pure di fronte ai casi di persone convinte di essere coperte, ma in realtà non lo sono».

Non avendo più soldi, il fondo risparmia su tutto, finendo col risarcire meno del dovuto. E allora molti non risarciti a sufficienza fanno causa, aprendo un contenzioso giudiziario. Queste vertenze pesano enormemente sulle casse del fondo

«Poi ci sono le auto con targa rumena o bulgara, per evadere multe e bollo, che circolano in Italia ben oltre l’anno consentito e che pagano premi assicurativi alquanto ridotti. Cui fanno da riscontro massimali insufficienti e, in caso d’incidente, indennizzi molto limitati. Anche in questo caso paghiamo tutto noi attraverso il fondo. Che non avendo più soldi, risparmia su tutto, finendo col risarcire meno del dovuto. E allora molti non risarciti a sufficienza fanno causa, aprendo un contenzioso giudiziario. Queste vertenze pesano enormemente sulle casse del fondo: il 57% degli esborsi è dovuto alle spese legali. Quel 2,5% di ogni polizza che alimenta il Fondo per le vittime stradali dovrebbe essere sufficiente a coprire il vero costo dei danni e delle lesioni che si aggira attorno ai 300 milioni l’anno, e sarebbe una cifra quasi irrisoria rispetto ai 12 miliardi percepiti annualmente dalle assicurazioni per le polizze RCauto. Tuttavia, visti gli esborsi per le spese legali, oltre alle frodi, la somma accantonata non basta più. E allora la proposta è quella di raddoppiare la somma erogata su ogni polizza e portarla quindi al 4%».

Cosa è mancato, dunque? «L’opera di vigilanza e di informazione da parte dell’Ente dello Stato sulle compagnie assicurative è stata carente. Questo atteggiamento ha fatto proliferare il mercato delle compagnie insolventi o inesistenti. Oggi c’è qualche controllo in più, perché i portali della Polizia e di alcuni Comuni sono grado di verificare se una vettura sia assicurata e abbia passato la revisione e fanno scattare le prime multe. In certe regioni del Sud, però, questi controlli sono carenti».

Come ricorda Elena Carbonari, La Stampa riporta anche le opinioni di Alberto Pallotti, presidente di Aifvs, l’associazione nazionale vittime della strada, e di Claudio Demozzi, presidente dello SNA, il Sindacato Nazionale Agenti di Assicurazioni. Entrambi propongono delle soluzioni: sono valide? «Si tratta di una situazione gravissima – risponde De Vita – da cui non si può uscire nemmeno con le due proposte di Pallotti e Demozzi. Pallotti consiglia la nazionalizzazione di tutto il reparto assicurazione auto, per stabilire il costo delle polizze, i parametri con i quali calcolarli e garantire i risarcimenti. Questa strada è impercorribile, perché occorrerebbe una capillarità di organizzazione sul territorio che lo stato non ha».

«D’altro canto, il comparto RCA non persegue il bene della collettività, cioè la riduzione delle polizze, degli incidenti e l’aumento dei risarcimenti. Sembrano fattori in contrasto tra loro, ma in molte nazioni, come Spagna e Francia, questi obiettivi vengono perseguiti contemporaneamente. Si fa in modo che le frodi diminuiscano con un meccanismo interno, quello di incentivare chi guida bene, chi non provoca incidenti e non li subisce». «In Italia c’è la tendenza opposta: si cerca di portare tutte le polizze ad un valore uniforme, sia per i buoni che per i cattivi. Basti analizzare la popolazione di automobilisti che fanno parte dalla classe 1, 2, 3 e quelli delle classi di malus, oltre i 14: pochissimi utenti della strada ne fanno parte. I malus vengono così addebitati man mano agli automobilisti che hanno piccoli incidenti. Questa per le compagnie è la soluzione comoda per non rischiare: premiare chi invece si comporta bene viene considerato un rischio per le assicurazioni».

Demozzi, dal canto suo, propone di chiudere il fondo, obbligando le compagnie a includere la copertura in tutti i contratti. «Non capisco questa posizione – spiega De Vita - in tutti i contratti già oggi c’è una percentuale che va al fondo. A chi si chiederebbe, a questo punto, il rimborso per i sinistri commessi da chi non è assicurato o ha una copertura fasulla? Oggi alcune compagnie sono incaricate dal fondo di istruire le pratiche e di liquidare i danni come se li avessero provocati i propri assicurati. In realtà chi paga è il Ministero dell’Economia, che gestisce il fondo. Se ogni compagnia dovesse gestire questi indennizzi non coperti, chi sarebbe il responsabile, la compagnia stessa?».

Coloro che subiscono danni gravissimi impiegano anche 15 anni per ottenere una sentenza: è una situazione inaccettabile. Bisogna implementare meccanismi automatici premianti basati proprio sulla velocità di risarcimento, riducendo così le spese legali

«Coloro che subiscono danni gravissimi impiegano anche 15 anni per ottenere una sentenza: è una situazione inaccettabile. Bisogna implementare meccanismi automatici premianti basati proprio sulla velocità di risarcimento, riducendo così le spese legali. Certo, l’associazione degli avvocati non sarà favorevole a questo, perché se il 57% di tutti i costi per le vittime finisce in esborsi legati alle vertenze, vuol dire che qualcuno ci guadagna e non vuole che vengano accelerate le tempistiche».

A chi, tra gli ascoltatori, indicava come soluzione l’abolizione dell’obbligatorietà dell’assicurazione, De Vita risponde così: «Non è possibile. Purtroppo, l’Italia non è come gli Stati Uniti, dove chi commette un torto viene giudicato addirittura in 24 ore e paga. E se non paga la sua vita civile è compromessa. Da noi la giustizia è talmente lenta che si finirebbe con l’intasare ancora di più i Giudici di Pace, già oberati dai ricorsi per le multe. Figuriamoci se in futuro la definizione delll’entità dei risarcimenti dovesse passare da loro».

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