Green Deal, l’Europa rinvia il dossier auto: stop 2035 e biofuel restano congelati

Green Deal, l’Europa rinvia il dossier auto: stop 2035 e biofuel restano congelati
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Il 10 dicembre doveva essere il punto di svolta: la giornata in cui la Commissione europea avrebbe presentato il nuovo pacchetto automotive, chiarendo una volta per tutte il destino del motore termico, le deroghe richieste da vari Paesi e il ruolo dei carburanti alternativi. Invece, per l’ennesima volta, Bruxelles ha premuto il tasto pausa.
4 dicembre 2025

Il commissario ai Trasporti, Apostolos Tzitzikostas, lo ha anticipato in un’intervista alla tedesca Handelsblatt: la Commissione non riuscirà a presentare le misure nei tempi annunciati. "Servono ancora alcune settimane", ha detto. E non è escluso che lo slittamento si prolunghi fino a gennaio, come confermano anche fonti interne raccolte da altri quotidiani europei.

La sensazione è chiara: il dossier è troppo complesso, troppo politicamente sensibile e troppo carico di pressioni contrapposte per arrivare a una decisione in pochi giorni.

Bruxelles in stallo: tra scadenze mancate e pressioni crescenti

Il rinvio dell’“Automotive Package” nasce da una somma di fattori: la Commissione rivendica la necessità di preparare un intervento completo”, capace di coprire tutte le tecnologie utili alla decarbonizzazione. Allo stesso tempo, le cancellerie nazionali non avrebbero ancora inviato tutti i contributi richiesti: un segnale eloquente delle divisioni interne all’Unione.

Nell’agenda ufficiale non compare alcun appuntamento dedicato all’auto fino all’11 dicembre, nonostante la data del 10 fosse stata confermata pubblicamente anche da diversi commissari e dal ministro italiano Adolfo Urso. Volkswagen e Stellantis hanno rinviato proprio in attesa delle decisioni europee i loro piani industriali, a testimonianza del peso economico che il pacchetto ha per il settore.

Secondo Tzitzikostas, il nuovo impianto regolatorio sarà "aperto a tutte le tecnologie", comprese quelle sostenute da Italia e Germania: biocarburanti avanzati, carburanti a basse o zero emissioni e, soprattutto, possibili deroghe per le ibride plug-in oltre il 2035. Ed è significativo che queste dichiarazioni arrivino proprio sulla stampa tedesca, in un momento in cui Berlino sta intensificando il pressing su Bruxelles.

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Costruttori e governi divisi: un’Europa senza linea comune

Anche il fronte industriale appare spaccato. La filiera tedesca, ancora fortemente dipendente dal motore a combustione, spinge per rivedere scadenze e obiettivi, sostenuta apertamente dal cancelliere Friedrich Merz. Dall’altra parte, costruttori come Kia e gruppi che hanno già investito massicciamente sull’elettrico non vogliono riscrivere la roadmap a meno di dieci anni dalla scadenza del 2035: troppo poco tempo per riadattare strategie e investimenti.

Germania e Italia chiedono maggiore flessibilità, mentre Francia e Spagna hanno finora difeso lo stop al termico. Ma anche Parigi sembra riconsiderare la propria posizione: un recente comunicato del ministero dei Trasporti francese parla di apertura a “flessibilità tecnologiche”, purché accompagnate da strumenti industriali e finanziari adeguati. Una formula volutamente ambigua, che molti hanno letto come un possibile ammorbidimento della linea dura.

Nel caos di dichiarazioni, pressioni, lettere ufficiali e prese di posizione, emerge un dato politico evidente: Bruxelles fatica a trovare un compromesso credibile. E la debolezza della presidente Ursula von der Leyen – schiacciata tra governi nazionali, partiti europei e un settore che chiede una correzione di rotta – non aiuta.

La filiera alza la voce: “Così gli obiettivi non sono realistici”

Dal settore arrivano ora segnali sempre più espliciti. La direttrice generale dell’Acea, Sigrid de Vries, non parla di retromarcia sull’elettrico - "la risposta è un semplice ‘no’, l’elettrificazione guiderà la mobilità del futuro" – ma mette in chiaro che gli obiettivi di CO₂ per il 2030 e il 2035 non sono più realistici.

I motivi sono noti: un mercato debole, una rete di ricarica insufficiente, incentivi inadeguati e un contesto geopolitico ed economico in rapido cambiamento. La filiera non chiede quindi di abbandonare la transizione, ma di adottare un approccio più flessibile e pragmatico, che tenga conto delle differenze tra segmenti (auto, furgoni, camion), tra mercati e tra livelli di competitività industriale.

A farsi sentire è anche l’Anfia, attraverso il presidente Roberto Vavassori: oltre 100.000 posti di lavoro persi nel 2024 e altri 400.000 a rischio entro il 2028 sono un segnale che l’Europa, dice, non può ignorare. L’Italia spinge affinché il pacchetto riconosca il ruolo dei carburanti rinnovabili, delle ibride plug-in e delle tecnologie locali, chiedendo una revisione dei target 2025-2027 e del traguardo 2030, già oggi considerato fuori portata.

Per Vavassori, servono inoltre strumenti di tutela del “Made in Europe”, come un contenuto minimo obbligatorio di componentistica locale per i veicoli venduti nell’Unione. E un grande piano decennale per accelerare il ricambio del parco circolante, premiando i veicoli a basse emissioni e la produzione europea.

Una decisione che rischia di slittare al 2026

Secondo quanto riportato dalla stampa francese, lo stallo rischia di trascinarsi ancora. L’ipotesi gennaio è sempre più probabile, ma altri osservatori non escludono un rinvio ancora più lungo. "Forse la risposta arriverà nel 2026", commentano amaramente alcuni addetti ai lavori citati da L’Automobile Magazine.

Non è solo una questione di obiettivi climatici. In gioco ci sono migliaia di posti di lavoro, la competitività industriale europea e una transizione che, per quanto inevitabile, non appare più così lineare come pensato qualche anno fa.

In questo scenario, la Commissione cammina su un crinale difficilissimo: se allenta troppo il Green Deal rischia di perdere credibilità; se non apre a una maggiore flessibilità rischia una crisi industriale e sociale. E ogni giorno che passa rende il compromesso più difficile.

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