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Prima di avviarlo bisogna scaldare la “testa” con una lampada svedese finché non diventa rovente; solo allora, agendo sul grande volano, il monocilindrico due tempi prende vita con un suono unico. Nonostante l’età, il Superlandini funziona ancora alla perfezione, sebbene a volte possa avviarsi “al contrario”, imprevisto risolvibile con una semplice manovra meccanica.
Guidarlo è un’esperienza ruvida e affascinante: frizione pesantissima, marce essenziali, vibrazioni continue, nessuna cabina. Eppure questo trattore da oltre 40 CV – potentissimo per gli anni Quaranta – ha costruito letteralmente l’Italia, contribuendo a bonifiche e grandi lavori agricoli grazie alla sua robustezza e alla capacità di lavorare giorno e notte, senza sosta.
La storia del Superlandini si intreccia con quella del suo creatore, Giovanni Landini, fabbro emiliano che nel 1884 fonda l’azienda omonima. Dopo aver prodotto macchine enologiche, Landini intuisce che il motore a vapore non è il futuro. Servono motori semplici, indistruttibili e in grado di funzionare con combustibili poveri: i semidiesel a testa calda, già sperimentati all’estero. Nascono così le prime Locomobili, motori stazionari trainati dai buoi e usati per trebbiatrici, segherie, mulini e frantoi. Per l’Italia agricola degli anni ’10 e ’20 rappresentano una rivoluzione.
Il vero salto arriva nel 1928 con il T25-30 HP, il primo trattore Landini: un esemplare rarissimo, ancora oggi certificato ASI. La sua storia testimonia l’impatto epocale di queste macchine: un’azienda romagnola, prima costretta a utilizzare dodici buoi per portare attrezzature su una collina, riesce a farlo in un solo viaggio grazie al nuovo trattore, che alimenta anche la trebbia tramite puleggia. Le Landini dell’epoca sono costruite con soluzioni geniali: ruote piene in fusione, freni a nastro, protezioni in gomma, radiatori a evaporazione e serbatoi con galleggianti in sughero.
Negli anni ’30 e ’40 la gamma cresce: dal potente 40 HP al leggendario Superlandini, affiancato dai più piccoli Velite e Bufalo. Questi trattori, capaci di digerire ogni combustibile e di resistere a sforzi estremi, incarnano l’eccellenza meccanica italiana. Negli anni ’50 arriva la serie L, con pneumatici in gomma e potenze fino a 55 CV, oltre a esperimenti come i semicingoli. L’ultimo capitolo dell’epoca d’oro è la Landinetta, ultimo trattore Landini con monocilindrico a testa calda; da fine anni ’50 la casa adotta motori Perkins pluricilindrici e l’era dei mitici testa calda si chiude.
Oggi il marchio Landini esiste ancora sotto il gruppo Argo Tractors, ma il fascino dei semidiesel a testa calda resta unico. Per chi prova queste macchine, come Matteo Valenti nel suo viaggio tra storia e campi, diventa chiaro perché molti appassionati considerino questi motori l’essenza stessa della meccanica: semplici, instancabili, rumorosi, vivi. Un’eredità che continua a emozionare quasi un secolo dopo.
Si ringrazia l'ASI, Automotoclub Storico Italiano, per la preziosa collaborazione.