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Nel corso di un’intervista a France Inter, l’ex manager più pagato di Francia ha puntato il dito contro i lavoratori europei — e in particolare francesi — accusandoli di aver “dimenticato la cultura del lavoro” e di vivere in una società “decadente”.
Nel pieno del tour mediatico per la promozione del suo nuovo libro, Tavares ha difeso il proprio operato alla guida del quarto gruppo automobilistico mondiale e ha lanciato un duro monito all’Europa. Secondo lui, il Vecchio Continente rischia di soccombere di fronte all’espansione delle case automobilistiche asiatiche, “che operano con costi ridotti e una disciplina del lavoro completamente diversa”.
“La Cina — ha dichiarato — avrà presto il 10% del mercato automobilistico mondiale. Dobbiamo lavorare di più, ma anche lavorare meglio. Non si può credere di mantenere il proprio stile di vita europeo senza impegnarsi di più, mentre i concorrenti asiatici avanzano”.
Tavares ha poi rivolto un attacco diretto ai lavoratori francesi, affermando che il Paese “ha dimenticato la vera valore del lavoro”. “La Francia — ha detto — è una società decadente, dove nessuno vuole più fare sforzi e tutti si illudono che il governo potrà proteggerli per sempre. Ma quando non si crea più ricchezza, non ci sono più soldi nelle casse pubbliche”.
Un discorso che l’ex dirigente ha spinto fino a tinte fosche: “Se non cambiamo rotta, tutto finirà male: o con la miseria, o con una guerra civile. Chi vuole ancora costruire qualcosa per sé e per la propria famiglia si opporrà a chi non vuole che le cose cambino”.
Parole difficili da digerire, soprattutto considerando che la politica di riduzione dei costi imposta da Tavares durante la sua gestione di Stellantis è alla base della difficile situazione industriale del gruppo. Negli ultimi mesi sono state annunciate sei chiusure di stabilimenti, tra cui Poissy e Sochaux, dove la produzione è stata ferma per settimane a causa della scarsa domanda e della riorganizzazione interna.
Nonostante le critiche, Tavares ha difeso il proprio bilancio e i suoi compensi da record — oltre 20 milioni di euro all’anno più una liquidazione di 35 milioni — sostenendo che “fare il dirigente è un mestiere ad alto rischio” e che “creare valore è quasi impossibile in un sistema soffocato da burocrazia e tecnocrazia”.