Scandalo VW: controlli a campione utili o soldi buttati?

Scandalo VW: controlli a campione utili o soldi buttati?
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Enrico De Vita
  • di Enrico De Vita
Anche l'Italia ha annunciato test a campione per smascherare i "trucchi" delle Case auto in fase di omologazione. Le prove peraltro avrebbero un costo di 8 milioni di euro per la collettività. Ma sono veramente utili? | <i>E. De Vita</i>
  • Enrico De Vita
  • di Enrico De Vita
5 ottobre 2015

Dopo lo scoppio dello scandalo Volkswagen, che ha ammesso di aver montato centraline “truccate” su undici milioni di veicoli, i principali Stati europei sembrano aver scoperto di punto in bianco che le Case automobilistiche utilizzano trucchi e stratagemmi vari per ottenere esiti ancora più vantaggiosi durante il ciclo di omologazione. Una pratica che il nostro editorialista Enrico De Vita denuncia da anni sulle pagine di Automoto.it ma che i governi hanno continuanato ad ignorare fino all'altro ieri. 

 

Ora, solo dopo che Volkswagen è stata “colpita e affondata”, sembra che tutti vogliano salire sul carro del vincitore, politici in testa, per sfruttare l'onda dello scandalo e finire sulle prime pagine dei giornali. Ecco allora che arrivano i soliti annunci trionfalistici, che promettono di mettere sul banco degli imputati tutte le Case automobilistiche. Anche il nostro Ministro dei Trasporti, Graziano Del Rio, si è lasciato tentare dalla situazione, annunciando “controlli a campione su 1.000 auto anche in Italia”.

 

Dal momento che un test di questo tipo, per stessa ammissione di Del Rio, avrebbe un costo di circa 8 milioni di euro per la collettività, ci siamo chiesti se siano veramente utili e necessari. De Vita ci ha risposto così.

mercato
Fare controlli a campione su 1.000 auto in Italia ci costerebbe 8 milioni di euro

 

È vero che in Europa, a differenza degli Stati Uniti, non si possono fare controlli a campione dopo che un'auto è stata omologata?
«Anche se gli Stati membri hanno la facoltà (più teorica che pratica) di condurre prove per verificare che i veicoli immessi sul loro mercato rispettino le caratteristiche del prototipo omologato, tali controlli non possono estendersi ai veicoli già immessi in strada, cioè venduti. Al massimo, un Paese – quando c’è di mezzo la sicurezza stradale - può effettuare controlli a campione sui veicoli nuovi, oppure contestare la regolarità dei test e dei risultati conseguiti in un altro Paese, ma sono entrambe eventualità remote».

 

In pratica si prende per buono il risultato di omologazione, ottenuto sul prototipo in fase di test?
«Esattamente. In Europa si omologa il prototipo, che naturalmente viene reso super efficiente grazie ad una serie di accorgimenti più o meno furbi (oli più fluidi non reperibili in commercio, alternatore e pompa dell'acqua disattivate, ecc.,). Dopo aver effettuato tutte le prove al banco i costruttori europei emettono un certificato di conformità dove si dichiara, per auto-certificazione, che tutti gli altri esemplari che verranno prodotti ed immessi sul mercato garantiscono prestazioni – consumo e inquinamento - identiche a quello del prototipo iniziale. Ma nessuno obbliga poi i costruttori ad essere sottoposti ad esami a posteriori sulla produzione, che certifichino nella realtà dei fatti i risultati ottenuti a banco. E tantomeno si possono effettuare controlli sulle auto in strada, già vendute».

Quasi tutti i costruttori ricorrono a trucchi, specie se non sono espressamente vietati

 

Com'è possibile che esista un'assurdità simile?
«È stata l’influenza dell'industria automobilistica europea a consentire dai burocrati di Bruxelles un simile trattamento di favore, prima nelle direttive per l’adozione del catalizzatore, alla fine degli anni Ottanta, e nel 2007 con i regolamenti più recenti che hanno favorito – anche troppo generosamente - i combustibili alternativi, il metano e le ibride».
 

Dunque i paventati controlli a campione che costerebbero 8 milioni alle casse dello Stato italiano potrebbero essere inutili?
«Sono totalmente inutili. Come abbiamo visto infatti in Europa sono le stesse leggi dell'Unione a non prevedere test su veicoli già presenti sul mercato. Soprattutto perché è chiaro che i risultati ottenuti da un test a posteriori, su un esemplare “di serie”, saranno lontani anni luce da quelli fatti registrare dal prototipo di pre-serie, sia per quanto riguarda l’inquinamento, sia per i consumi. Cosa che, del resto, tutti gli automobilisti hanno potuto sperimentare sulla propria vettura, almeno per quanto riguarda i consumi dichiarati».

 

In che senso?
«Se si andassero a fare dei test ora sul circolante scoppierebbe la vera bomba atomica. Perché naturalmente verrebbero fuori risultati completamente distanti da quelli di omologazione, e non solo per Volkswagen, ma per tutti i costruttori! Altro che certificato di conformità! E questo perché le condizioni della vettura, quelle atmosferiche, quelle del carburante usato e per mille altri parametri sono differenti dal quelle del prototipo. Basterebbe appellarsi alla usura per dimostrare scientificamente che i risultati saranno diversi. Se ai costruttori è stata conferita la facoltà di certificare che gli esemplari in vendita sono conformi (certificato di conformità) a quello omologato in partenza ora è contraddittorio, rispetto alle stesse leggi europee, andare a fare dei test a posteriori».

 

Quindi non ha senso nemmeno bloccare la vendita?
«È un controsenso bloccare la vendita, visto che non ci sono di mezzo problemi di sicurezza (cosa che la VW ha ribadito nei comunicati). E soprattutto è un  controsenso mettere al banco migliaia di esemplari e spendere un sacco di soldi per scoprire l’acqua calda».

 

Ci sono stati in passato altri casi di furbizie adottate dai costruttori in fase di omologazione?
«Sì, quasi tutti i costruttori ricorrono a trucchi, specie se non sono espressamente vietati. Un ingegnere italiano, esperto del settore,  mi ha raccontato che ha impiegato mesi per scoprire lo stratagemma utilizzato da uno (o più?) costruttore giapponese: uno strano interruttore che si attivava con l'apertura del cofano. In pratica l'interruttore, una volta aperto il cofano faceva scattare una particolare mappatura della centralina. Il motivo? Semplice, i test al banco si effettuano a cofano aperto».

Nel '93 scoprii che la sonda lambda veniva disinnestata al di sopra ai 120 km/h. Che guarda caso è la velocità massima del ciclo di omologazione

 

E poi?
«Penso a quando nel 1993 scoprii che la sonda lambda veniva automaticamente disinnestata al di sopra ai 120 km/h. Che guarda caso è la velocità massima del ciclo di omologazione. Significava che nella realtà dei fatti le auto a benzina sopra ai 120 km/h iniziavano ad inquinare senza tenere più in nessun conto i limiti di omologazione. E ciò semplicemente perché la sonda lambda non garantiva più una carburazione stechiometrica, cioè chimicamente corretta. E c’è una spiegazione: ad alta velocità la miscela deve essere ricca per evitare di surriscaldare le valvole. Ma NOx e HC vanno per i fatti loro».

 

E in Usa le omologazioni avvengono come in Europa?
«In America non esiste il certificato di conformità. Negli Usa ogni nuovo esemplare prima di tutto deve essere approvato e non omologato. Quando riceve il semaforo verde dal punto di vista ambientale però il costruttore firma un documento dove si certifica che tutti i dispositivi montati per contenere consumi ed emissioni verranno mantenuti anche nella vita reale. Ed è proprio questa l'accusa rivolta a Volkswagen, colpevole di aver montato un dispositivo che funzionava appieno solo in fase di test».

 

Significa che negli Usa possono verificarsi controlli anche sulle auto già messe in vendita?
«Sì, certamente. Una volta che il costruttore firma il documento accetta che i suoi veicoli possano essere sottoposti a controlli a campione prima della vendita. Ma certe caratteristiche devono essere conservate su esemplari circolanti con chilometraggi fino a 160.000 km (100.000 miglia). Ovviamente si concede uno scostamento tra i dati di omologazione e quelli rilevati sui mezzi “reali”, perché un'auto a 100.000 km non avrà di certo valori di emissioni e consumi pari a quelli originali. Ma non ci si può di certo allontanare da questi valori di tolleranza».

 

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