F1. Alonso, il ritorno: una grande sfida, ma anche una mezza sconfitta

F1. Alonso, il ritorno: una grande sfida, ma anche una mezza sconfitta
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Giovanni Bregant
  • di Giovanni Bregant
Il ritorno in Formula 1 di Fernando Alonso con la Renault nel 2021 è una grande sfida, ma anche una mezza sconfitta: l'asturiano aveva detto che sarebbe tornato nel Circus solo se l'avesse chiamato una scuderia vincente, e così non è. E, visti i precedenti, il vero show il prossimo anno potrebbe consumarsi ai box
  • Giovanni Bregant
  • di Giovanni Bregant
9 luglio 2020

Da qualche ora è ufficiale: a 40 anni Alonso tornerà in F1, dopo un’assenza di due stagioni. I comunicati con le dichiarazioni di reciproca stima li avrete già letti tutti, ma in realtà spiegano poco di un rientro che per lo spagnolo rappresenta insieme una mezza sconfitta e una nuova grande sfida. Una mezza sconfitta perché, diciamolo, a rileggere oggi certe interviste, quando Alonso si diceva felice di non essere più in F1, una F1 a suo dire oggi noiosa per il pubblico e anche per i piloti, tutta da reinventare, lo spagnolo sembra tanto una certa volpe in mezzo alle vigne, o se preferite ricorda le chiacchere da bar con gli amici quando spieghi che sì, ti ha lasciato lei ma “guarda è molto meglio così, ora ho un sacco di tempo per i miei hobby, sono ancora giovane e il mondo è pieno di donne (o macchine da corsa) bellissime”. E in realtà dentro soffri come un cane.

E poi l’elogio forzato delle altre categorie, affrontate con il dichiarato intento di dimostrare di essere il migliore di tutti, perché l’automobilismo non è solo la F1 etc. etc., inseguendo le leggende del passato, eroi capaci di infilarsi in una F1 stretta come una tuta attillata di alluminio e benzina e la settimana dopo fendere il buio di Le Mans con un mostruoso prototipo da oltre 350 km/h. Peccato che come tante cose della vita, anche per quel tipo di esperienze tempi e modi fanno la differenza: un conto sono i rischi, le incertezze (anche in termini di affidabilità) e la concorrenza feroce affrontata all’epoca da gente del calibro di Mario Andretti e Graham Hill, tutt’altra cosa è affrontare quelle sfide oggi da pilota superstar coccolato dal team e - almeno nel caso del WEC - con la certezza di non avere avversari se non i compagni di squadra. Intendiamoci, a Le Mans come a Sebring, Indianapolis e più recentemente alla Dakar (o dove diavolo si corre oggi) Alonso ha mostrato davvero un talento cristallino, ma è sembrato più una guest star che non un “racer” come gli altri. E forse dopo un po’ anche lo spagnolo ha avuto la stessa sensazione.

E allora via un altro tabù: aveva dichiarato che sarebbe tornato in F1 solo con un team vincente, per conquistare quel terzo titolo la cui mancanza probabilmente vive come un’ingiustizia clamorosa. Ma per la pensione è troppo giovane e ancora troppo veloce, le soddisfazioni che poteva e voleva togliersi extra F1 se le è già prese, di fare un anno intero in F. Indy probabilmente non ha mai avuto intenzione (troppi rischi e troppi pochi soldi) e allora, se proprio ci tenete, va bene ritorno…

Qui però arriva il nodo più grande, che non riguarda l’età, perché un certo Nigel Mansell a 41 anni, anche lui fuori dalla F1 dopo 2 stagioni e sicuramente meno in forma dello spagnolo, ad Adelaide seppe tornare in F1 cogliendo subito la pole position e andando a vincere. No, l’età c’entra poco con la velocità: è tutta questione di “fame”. E di quella, siamo sicuri, Alonso ne ha ancora tanta, tantissima. Il problema sarà ovviamente la competitività della macchina, tutta da verificare (e quello che si è visto negli ultimi anni non è esattamente una garanzia di successo).

Ma la Renault in tutto ciò cosa ci guadagna? Sicuramente tanta visibilità (che vuol dire soldi) e probabilmente anche un argomento forte per evitare che il CdA chiudesse baracca e burattini mentre il Gruppo sta affrontando una delle crisi finanziarie più gravi della sua storia. Viene qualche brivido però a pensare all’idea di un Alonso ingaggiato dalla Renault anche e soprattutto come “uomo squadra”, capace di unificare e rafforzare un team dove forse già oggi in troppi hanno voce in capitolo, un po’ come accadeva in Ferrari prima dell’era Todt. Perché ecco, se c’è una cosa per cui Alonso è famoso insieme alla sua velocità, è proprio la capacità di sfasciare i team per i quali ha gareggiato… Chiedere a McLaren (ma anche alla Ferrari) per conferma. Il binomio Alonso-Renault, all’epoca dei suoi titoli mondiali, era perfetto anche grazie alla presenza di un certo Flavio Briatore, uno con il quale a parte Crozza nessuno scherza: con il manager italiano i ruoli erano chiari, lo spagnolo doveva pensare a guidare e basta.

In Renault invece sembrano voler incoraggiare proprio ciò che aveva spinto prematuramente fuori dalla F1 il campione spagnolo. Il prossimo anno tutti gli occhi saranno puntati su Alonso di nuovo al volante in una F1, in pista, ma guardare dentro il suo box potrebbe essere anche più divertente…

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