F1. Monza: una storia di passione

F1. Monza: una storia di passione
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Paolo Ciccarone
Il GP di Monza si porta con sé un carico di storia raccontato dall'autodromo, Un patrimonio unico che aspetta solo di essere valorizzato | <i>P. Ciccarone, Monza</i>
7 settembre 2013

Monza - Capisci che arriva il GP d’Italia quando anche il macellaio comincia a tenerti da parte il pezzo buono per il cane o il fegatello per il gatto. E capisci che a breve la domanda sarà quella fatidica: “Domenica si corre a Monza, non è che ci sono un paio di biglietti gratis per la gara? “.

E allora, partendo da questo presupposto, che alla vigilia del GP d’Italia tutti si scoprono tifosi di F.1, col biglietto gratis naturalmente, e poi si entra in autodromo e all’improvviso capisci che ci sono oltre 90 anni di storia. Lo capisci dai ruderi della sopraelevata, che doveva scimmiottare le gare americane sugli ovali e che invece è lì pronta per la demolizione senza alcun intervento.

I volti storici

Passi dal gabbiotto di ingresso a porta Vedano e vedi davanti un pezzo di storia dell’autodromo, “Il Galbiati” come lo chiamano da queste parti. Anni passati in un gabbiotto a distribuire biglietti, col caldo e col freddo, al punto che in inverno i pochi affezionati all’autodromo si conoscono tutti per nome e “Il Galbiati” lì pronto, con la sua frase secca, smozzicata, a farti capire che aria tira e come andrà la gara: “Quest’an i va no” quest’anno non vanno bene è la traduzione della frase.

Si entra in autodromo e all’improvviso capisci che ci sono oltre 90 anni di storia. Passi dal gabbiotto di ingresso a porta Vedano e vedi davanti un pezzo di storia dell’autodromo, “Il Galbiati”


Oppure “Par me i vens amò” oppure per me vincono ancora. Il soggetto è sempre lo stesso: la Ferrari, a seconda della sentenza verbale, si capisce cosa potrebbe accadere. Oggi il figlio Daniele Galbiati è il direttore di corsa del Gran Premio, una vita passata fra motori e gas di scarico, generazioni da corsa. Entri, passi via dall’enorme paddock, vai in visita “dalla Mariangela”, la negoziante che vende caschi e tute per i piloti, entri nel piccolo negozio e ti ritrovi davanti la storia dell’automobilismo mondiale.

Cimeli di F1

In un angolo, sul retro, ci sono gli armadietti originali del negozietto. La tradizione era che tutti i piloti che passavano da Monza, come portafortuna, dovevano firmare un pezzo dell’anta. Oggi, dopo oltre 50 anni, Mariangela ha raccolto gli autografi di tutti i piloti del mondiale F.1, prototipi e altre categorie. Da Piquet a Fittipaldi, Senna e Prost, Gilles e Jacques Villeneuve, rarità introvabili.

Dovrebbero finire in un museo dell’automobile ma Mariangela, coadiuvata dalla figlia Claudia, continua fra mille difficoltà a vendere caschi tute e magliette, oltre che portachiavi e adesivi per gli appassionati “Son finiti i bei tempi, oggi non si vende nulla, la F.1 non tira, la gente non ha soldi, ma noi siamo ancora qua e non sappiamo per quanto” dice Mariangela.

Entri, passi via dall’enorme paddock, vai in visita “dalla Mariangela”, la negoziante che vende caschi e tute per i piloti, entri nel piccolo negozio e ti ritrovi davanti la storia dell’automobilismo mondiale


Un ricco americano, oltre 30 anni fa, aveva offerto quasi 500 milioni di lire per avere quegli armadietti con gli autografi. Nulla da fare, erano di Monza e a Monza sono rimasti. Ma lo sanno in pochi, quasi un segreto tramandato di padre in figlio, un peccato perché a Indianapolis, per molto meno, hanno aperto un museo e fanno ricchi incassi coi visitatori.

Un patrimonio sprecato

A Monza sono pure sparite le auto storiche lasciate lì da qualche appassionato. Di qualche esemplare da collezione si son perse le tracce e anche questo è Monza, un patrimonio unico al mondo buttato via, perle gettate ai porci. “Lè semper istess al cambia negot” è sempre lo stesso, non cambia niente.

Era il marchio di fabbrica del Carlo Beretta, custode interno dell’autodromo. Ne ha viste e passate tante, ma ha ancora una passione sfrenata. Lo vedi in un angolo della pista, ascolta passare la macchina e capisce se il pilota è un campione o un brocco, capisce se la macchina ha problemi o meno. Altro che telemetria, elettronica e altro. E’ questione di cuore. E’ in pensione ma al cuore non si
comanda.

I figli lavorano in autodromo, tanto per cambiare, perché qua è una questione genetica, una questione di passione, come tutto il resto. Se in tanti anni l’autodromo regge ancora, non è per i dirigenti che si sono susseguiti, ma per tante piccole storie di passioni. Per dirne una, il solito Beretta, negli anni in cui era vietato fare lavori per la sicurezza della pista, andava di notte col trattore a spostare il terrapieno alla curva parabolica e al mattino, quando arrivava l’ispezione, stranamente la via di fuga era più larga e non si sapeva il perché. Fino ad ora…

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