Schumacher: i perché del ritiro dopo una storia spinta dalla passione

Schumacher: i perché del ritiro dopo una storia spinta dalla passione
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  • di Maurizio Tanca
Il ritiro di Michael Schumacher dalla F1 a fine stagione porta a chiedersi non tanto perché abbia deciso di smettere per la seconda volta, quanto piuttosto perché nel 2010 abbia deciso di riprovarci ancora | <i>P. Ciccarone, Suzuka</i>
  • di Maurizio Tanca
4 ottobre 2012

Suzuka - Il film ha qualcosa di già visto, cambiano gli anni, le squadre e le circostanze, ma non la sostanza: Michael Schumacher si ritira dalla F.1 e, forse, definitivamente dalle competizioni automobilistiche. Non è tanto il perché abbia deciso di smettere per la seconda volta, quanto il perché abbia deciso di riprovarci ancora.

I risultati degli ultimi tre anni al volante della Mercedes sono stati deludenti e il primo ad ammetterlo è proprio il tedesco: «Non ho raggiunto quello che speravo, ma non c’è dubbio che è stata una esperienza stimolante» ha detto a Suzuka nella conferenza stampa del suo ritiro bis. Ma a metà stagione anche un amico come Felipe Massa, pilota Ferrari, aveva espresso delle perplessità: «Non so se abbia fatto bene a tornare in F.1 visto il suo palmares.» 

Ed eccolo qua il sunto della questione: come può un sette volte campione del mondo, vincitore di 91 GP sui 300 e passa cui ha partecipato, pilota del secolo, mettere a repentaglio reputazione e fama per lo sfizio di affrontare una sfida quasi impossibile, far vincere il mondiale alla Mercedes che lo ha spinto e pagato fin dai tempi della F.3? Semplicemente la passione, unita ad un carattere fragile e alla voglia di correre.

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Michael Schumacher lascia per la seconda Formula 1 dopo più di 300 GP disputati, 91 vittorie e 7 titoli mondiali

Una volta smesso con la F.1 nel 2006, per Schumacher si è aperto un momento difficile della propria vita, alla ricerca di qualcosa che potesse giustificare quella voglia di competere che aveva nell’animo. All’epoca fu “costretto” a ritirarsi perché la Ferrari aveva assunto Raikkonen e per non lasciare a piedi Massa, che aveva alle spalle un management di primo piano (leggi il figlio di Jean Todt, all’epoca gran capo Ferrari) e non avendo altre squadre al vertice che potessero assumerlo (la McLaren era al top con Alonso e Hamilton) la soluzione era il ritiro.

Ma stare fermo tre anni, inventandosi un futuro da motociclista (ha corso pure nella Superbike europea e si è pure fratturato il collo!) ha fatto il paracadutista e l’equitazione, gli sport estremi e quanto altro ancora, era il sintomo di un’anima in pena che cercava una strada. E quando si presentò l’occasione di riprovare una F.1, la Ferrari al Mugello nel 2009 per sostituire l’infortunato Massa, a Schumacher scattò la molla: correre in F.1 era quello che sapeva fare, che voleva fare e che avrebbe voluto fare in eterno, senza dover accettare le leggi della natura e dello sport.

Ma stare fermo tre anni, inventandosi un futuro da motociclista (ha corso pure nella Superbike europea e si è pure fratturato il collo!) ha fatto il paracadutista e l’equitazione, gli sport estremi e quanto altro ancora, era il sintomo di un’anima in pena che cercava una strada


In pista Michael dà l’impressione di un tipo deciso, invece è un timido impacciato che non sa che pesci prendere se uno gli fa un complimento. «In squadra l’impressione è che Schumacher sia un duro, invece il duro e spietato è Barrichello» disse una volta Jean Todt che per Michael ha sempre avuto venerazione. Infatti, alla Ferrari Schumacher faceva squadra, regalava orologi a tutti i meccanici del team e Barrichello solo al capomacchina, prestava soldi a chi era in difficoltà e taceva se qualcuno faceva un errore.

Il brasiliano, invece, ha fatto licenziare e cambiare di posto a molti meccanici, ma tutto questo la gente, all’esterno, non lo sapeva. Uno, Schumacher, era il duro, spietato e antipatico, l’altro, Barrichello, il simpatico calimero cui ne capitano di tutti i colori. Non era proprio così e stare tre anni fermo, con un fisico intatto, preparato e pignolo come pochi altri, era uno spreco che la F.1 non poteva permettersi.

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Negli ultimi tre anni passati in Mercedes Schumacher si è dovuto scontrare con una monoposto poco competitiva, ma si è reso protagonista anche di troppi incidenti incredibili, l'ultimo a Singapore

E allora, appena Mercedes gli propose il contratto, Schumacher non ci ha pensato due volte: «Mi aveva detto che la Ferrari era la sua famiglia, la squadra finale quella cui era legato per sempre, si vede che quello tornato in pista non è Michael ma suo fratello e non mi riferisco a Ralf» disse seccato Luca di Montezemolo, che vedeva in Schumacher l’amico eterno che non tradisce mai.

Al suo ritorno Schumi si è scontrato con una macchina poco competitiva, la mancanza di prove, di avversari giovani e veloci come mai si era visto in F.1, con gomme Bridgestone diverse da quelle conosciute e poi con le Pirelli con le quali non si è mai trovato, con un compagno come Rosberg che per quanto non un fenomeno gli stava davanti sul giro secco. E poi tanti problemi tecnici, rotture a ripetizione e incidenti incredibili, ultimo a Singapore. A maggio poteva firmare il rinnovo con Mercedes, non lo ha fatto, ci ha pensato troppo. La Mercedes ha ingaggiato Hamilton, di posti in squadra non ce ne erano. L’alternativa? Una Sauber o una Renault, o roba di metà classifica.

Ora la speranza è che possa vincere un GP con la Mercedes, sarebbe il modo migliore per scrivere la parola fine ad una carriera che non avrebbe dovuto fermarsi nel 2006 ma continuare ancora due o tre stagioni


Ne valeva la pena per uno che ha vinto 7 mondiali, 91 GP ed è il pilota del secolo? No, non ne vale la pena e lo ha capito proprio Schumacher per primo. Ora la speranza è che possa vincere un GP con la Mercedes, sarebbe il modo migliore per scrivere la parola fine ad una carriera che non avrebbe dovuto fermarsi nel 2006 ma continuare ancora due o tre stagioni.


Non è andata così e i fatti lo dimostrano. Resta fermo un punto:  lo Schumacher sconfitto di adesso, piace più di quello vincente di ieri, perché oggi in pista dimostra solo una cosa, ovvero quanta passione abbia per le corse e la F.1. E su questo, merita il massimo rispetto.

 

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