Inquinamento. È ancora colpa del traffico?

 Inquinamento. È ancora colpa del traffico?
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Matteo Valenti
  • di Matteo Valenti
  • Credits Foto in bianco e nero: Gabriele Micalizzi
Sì. I trasporti, complessivamente, incidono ancora in maniera rilevante sulla qualità dell’aria. Bisogna dirlo chiaramente, senza mezzi termini, scorciatoie o giri di parole. Ma quanto e come incidono i veicoli, soprattutto quelli più moderni? Chi sono gli altri responsabili dello smog? E soprattutto: la qualità dell’aria, negli ultimi anni, è davvero migliorata?
  • Matteo Valenti
  • di Matteo Valenti
8 giugno 2020

IN BREVE

  • I mezzi di trasporto circolanti continuano ad avere importanti responsabilità nella produzione di inquinanti atmosferici.

  • Il traffico gioca un ruolo di primo piano nella diffusione di ossidi di azoto: il 50% degli NOx presenti nell’aria, oggi, è provocato proprio dai veicoli.

  • Più complessa l’analisi delle polveri sottili, che hanno origine da molteplici fattori. Il traffico rimane uno degli attori protagonisti nella produzione di PM10 sia primario sia secondario, ma è in buona compagnia. Attività agricole e combustione residenziale vanno monitorati costantemente.

  •  Negli ultimi vent’anni la qualità dell’aria è migliorata in maniera sensibile. Alcuni pericolosi inquinanti sono praticamente scomparsi (SO2 e CO). Altri, come le polveri sottili, si sono ridotti notevolmente. Il merito è dell’industria, in particolare di quella energetica, ma anche delle innovazioni introdotte nel mondo dei trasporti, a partire dalla marmitta catalitica e dal filtro anti-particolato. 

  • Durante il lockdown l’inquinamento è calato vistosamente proprio grazie alla riduzione del traffico. I picchi di PM10 registrati mentre gran parte dei veicoli erano fermi non assolvono le responsabilità del trasporto su gomma nella produzione di polveri sottili.

  • L’inquinamento generato dal traffico va attribuito sia alle automobili sia ai veicoli commerciali di qualsiasi natura (leggeri, pesanti e autobus). Seppure i valori siano molto variabili a seconda degli ambienti di rilevazione (città, autostrada) non è possibile né assolvere né colpevolizzare una categoria a scapito dell’altra.

  • Moto e scooter giocano un ruolo marginale nella emissione di PM10 e NOx . Ma solo perché, statisticamente, totalizzano un numero di chilometri grandemente inferiore a quello di auto e veicoli commerciali. 

  • I veicoli di ultimissima generazione (Euro 6 D, Euro 6 D-Temp), sia diesel sia benzina, garantiscono livelli di emissioni bassissimi non solo per il PM10 ma anche per gli NOx. 

  • L’unico modo per ridurre vistosamente le responsabilità del trasporto su strada nella produzione di NOx e PM10 è arrivare ad avere un parco circolante composto in maniera massiccia da veicoli Euro 6 di ultima generazione.

  • Si sono raggiunti importanti risultati nella riduzione dello smog, ma c’è ancora tanta strada da fare. L’obiettivo è arrivare a non avere più giornate in cui si superano i limiti di emissione consentiti dalla legge.

Inquinamento: è ancora colpa del traffico?

Sì. I trasporti, complessivamente, incidono ancora in maniera rilevante sulla qualità dell’aria. Bisogna dirlo chiaramente, senza mezzi termini, scorciatoie o giri di parole. Prima di tutto perché scriviamo sulle pagine di un giornale di automobili e non dobbiamo correre il rischio di passare per faziosi o di utilizzare le notizie in maniera strumentale. E poi perché, semplicemente, questo è quello che ci raccontano i dati. Ma quanto e come incidono i veicoli, soprattutto quelli più moderni? Chi sono gli altri responsabili dello smog? E soprattutto: la qualità dell’aria, negli ultimi anni, è davvero migliorata? 

Per scoprirlo abbiamo scelto di affidarci all’Arpa. Quindi a un ente pubblico (regionale) super partes che, negli ultimi decenni, ha condotto studi approfonditi e certificati sul tema degli inquinanti. E li abbiamo analizzati insieme a Guido Lanzani. Fisico, con una specializzazione in epidemiologia e statistica sanitaria, ha conseguito la laurea con una tesi sugli effetti degli inquinanti atmosferici e oggi è responsabile della qualità dell’aria di Arpa Lombardia. Insomma uno “che ne sa” e che, soprattutto, ha le competenze per aiutare a orientarsi in questo variegato mondo dove la chimica si mescola con la vita di tutti i giorni.

Perché proprio adesso?

Prima di iniziare occorre una doverosa premessa: abbiamo deciso di dedicare un dossier di largo respiro al tema dell’inquinamento dell’aria proprio in questo momento perché il lockdown imposto sul territorio nazionale ha offerto un casus più unico che raro per analizzare la situazione. Il traffico, crollato vertiginosamente, insieme allo stop di molte attività produttive hanno fornito, come vedremo, spunti di riflessione interessanti per ragionare sulle diverse responsabilità delle fonti di emissione. Ma che, in ogni caso, non devono portare a conclusioni superficiali e troppo affrettate.

Quali sono i principali inquinanti

In questo articolo prenderemo in analisi i principali responsabili dello smog, pur consapevoli che ne esistono molti altri. Prima di tutto gli ossidi di azoto, quelli che genericamente vengono identificati come NOx. In realtà la maxi-famiglia dei generici NOx è formata più precisamente da molecole di NO (monossido di azoto) e di NO2 (biossido di azoto). La differenza? Generalmente il monossido di azoto è rilasciato direttamente dalle fonti di emissione (per esempio dagli scarichi dei veicoli o delle industrie), mentre l’NO2 si forma in atmosfera a causa di reazioni chimiche successive.

Poi c’è il particolato, che va a formare le cosiddette polveri sottili. Nel nostro caso analizzeremo il PM10, che del particolato rappresenta le particelle con diametro inferiore ai 10 micron e che può avere origine primaria o secondaria. Il PM10 primario è quello che viene rilasciato direttamente dalle fonti di emissione (la marmitta di un’auto, il camino di un condominio o di una centrale elettrica). Quello secondario, invece, si forma in atmosfera a causa di reazioni chimiche a partire da altre sostanze. 

In alcune analisi troveremo anche l’ammoniaca (NH3), una molecola che, rilasciata in atmosfera, si trasforma e porta alla formazione di particolato secondario reagendo con derivati degli ossidi di azoto.

Cosa provocano?

Il Biossido di Azoto (NO2) svolge un ruolo fondamentale nella formazione dello smog fotochimico in quanto è l’intermediario per la produzione di pericolosi inquinanti secondari come l’ozono, l’acido nitrico e l’acido nitroso. Il particolato atmosferico (PM 10 e PM 2,5) ha un rilevante impatto ambientale sul clima, sulla visibilità, sulla contaminazione di acqua e suolo, sugli edifici e sulla salute degli esseri viventi. È importante studiare l’andamento di queste sostanze perché alte concentrazioni di NO2 e particolato possono creare problemi al sistema cardio-respiratorio. L’ammoniaca invece, oltre a inquinare le falde acquifere, è responsabile nella generazione di particolato secondario e gioca un ruolo importante nei processi di acidificazione ed eutrofizzazione. 

Il traffico: quanto pesa sull’inquinamento?

Queste preliminari informazioni sono una “legenda” fondamentale per interpretare i grafici che analizzeremo di qui in avanti. Vere e proprie coordinate per orientarci in una selva di numeri, sigle e istogrammi. 

Per prima cosa cerchiamo di capire, una volta per tutte, in che misura i veicoli vanno a pesare sulla qualità dell’aria. Prendendo in analisi le sorgenti di emissione in Pianura padana, vediamo come non sia possibile dare una risposta univoca, dal momento che tutto dipende dal tipo di inquinante che si prende in analisi di volta in volta.

Come mostra la tabella sottostante (Figura 1) il trasporto su strada è, ancora oggi, largamente responsabile nella produzione di ossidi di azoto (50%) e, in misura minore, nella diffusione di PM10 primario (20%). La stessa analisi, però, ci permette anche di capire quali siano gli altri fattori responsabili dello smog e quanto vadano a incidere sulla qualità dell’aria. Da un lato abbiamo i riscaldamenti che, oltre alla produzione di NOx (9%), sono grandemente responsabili nella diffusione di particolato (56%), in particolare in relazione alla combustione della legna in stufe e caminetti. Dall’altro l’agricoltura, a cui si deve la quasi totalità delle emissioni di ammoniaca (97%). Un dettaglio importante, quest’ultimo, perché, come vedremo più avanti, l’ammoniaca è uno dei fattori più implicati nella formazione di particolato secondario.

Figura 1
Figura 1

Questa prima tabella (Figura 1) ci spiega principalmente due fenomeni:

1) Se prendiamo in analisi gli ossidi di azoto vediamo, ancora oggi, un ruolo importante giocato dal traffico (50%)

2) Se consideriamo il PM10 primario la situazione si fa molto più variegata e complessa. In questo caso il ruolo del traffico diventa se non marginale di sicuro meno predominante (20%), visto che altri fattori contribuiscono in maniera importante nella generazione di polveri sottili (combustione residenziale 56%, in relazione alla combustione della legna in stufe e caminetti)

Conclusioni importanti evidenziate anche da questi altri due grafici, che risultano particolarmente significativi soprattutto se confrontati tra loro. Nel primo (Figura 2) si analizzano le emissioni di biossido di azoto (NO2). Un inquinante che è presente in maniera diffusa nel territorio regionale della Lombardia (zona grigia) e che aumenta la sua concentrazione nelle aree urbane (zona nera). Poi vediamo dei picchi importanti (in giallo), che corrispondono ai valori registrati da stazioni di rilevamento collocate su arterie viarie particolarmente trafficate.

Figura 2
Figura 2

Se con lo stesso sistema analizziamo, però, i valori di PM10 (Figura 3), vediamo una situazione, in parte, differente. Prima di tutto perché le polveri sottili appaiono diffuse in maniera molto più massiccia in tutto il territorio della regione e non solo in ambito urbano (zona grigia). Questo significa che, anche in campagna e lontano dai centri urbani, la concentrazione di PM10 è comunque già elevata. In più vediamo che alla propagazione del PM10 concorrono in minima parte anche fattori naturali (sabbie e polveri generate dall’ambiente circostante). 

Per quanto riguarda il territorio cittadino, poi, assistiamo a un fenomeno paragonabile a quello dell’NO2, con una maggiore concentrazione diffusa (zona nera) e picchi in corrispondenza di zone particolarmente trafficate (in giallo), sebbene per il PM10 il contributo delle sorgenti locali in città sia relativamente meno rilevante che non nel caso del biossido di azoto.

Figura 3
Figura 3

Entrambi i grafici ci riportano, ancora una volta, alle seguenti conclusioni:

1) Nella produzione di biossido di azoto il trasporto su gomma ha una responsabilità evidente, come testimoniano i picchi gialli molto più accentuati, registrati da centraline di controllo in prossimità di grandi arterie ad alta densità di traffico.

2) Nella produzione di PM10 i veicoli hanno chiare responsabilità - i picchi gialli sono presenti anche in questo caso, seppur meno esasperati - ma non sono i soli a concorrere alla diffusione di queste polveri. Lo dimostra il fatto che i valori di PM10 sono comunque elevati anche lontano dai centri urbani e da fonti di traffico dirette.

PM10: chi lo produce, oltre al traffico?

Ma chi contribuisce, quindi, alla produzione di PM10 oltre al traffico? Rispondere a questo legittimo quesito non è affatto semplice, perché le componenti che portano alla formazione di polveri sottili sono innumerevoli. Lo mostra in maniera evidente il prossimo grafico (Figura 4), che analizza la composizione del PM10 rilevato da una centralina posta al centro della città a Milano. 

In particolare questo studio rileva come in certi momenti dell’anno (non in tutti) gran parte delle polveri sottili siano composte da nitrato d’ammonio (evidenziato in giallo). Una molecola che si forma in seguito a una catena di reazioni innescate da un lato dagli ossidi di azoto e dall’altro dall’ammoniaca (NH3). Ma se gli ossidi di azoto sono causati in parte del traffico (50%, Figura 1) e in parte dalla combustione residenziale e industriale (rispettivamente 15% e 9%, Figura 1), chi emette tutta questa ammoniaca che poi finisce per trasformarsi in PM10 secondario?

La risposta, secondo le rilevazioni dell’Arpa, va ricercata nel settore agricolo, responsabile della produzione della quasi totalità dell’ammoniaca presente in atmosfera (97%, Figure 1 e 4). In particolare, l’ammoniaca viene sprigionata dalle grandi concentrazioni di bestiame tipiche degli allevamenti intensivi (diverse migliaia di capi per capannone) e dai liquami che ne derivano, soprattutto quando non vengono smaltiti applicando le migliori tecniche oggi disponibili.

Figura 4
Figura 4

Questo non assolve le responsabilità del traffico, sia chiaro. Anche perché, come abbiamo visto, il trasporto veicolare incide sia sulla produzione di PM10 primario (Figura 1), sia di quello secondario attraverso il Nitrato di ammonio (Figura 4) che si lega agli ossidi di azoto.  Ma aiuta a comprendere che la formazione delle polveri sottili, oltre a rappresentare un processo molto complesso, va ricercata in una serie di concause

Conclusioni:

1) I fattori che portano alla formazione del PM10 sono molteplici.

2) Il traffico è una delle componenti chiave anche nella formazione di PM10 secondario. Ma non è l’unico responsabile, come evidenzia il particolato formato a causa della diffusione in atmosfera di grandi quantitativi di ammoniaca provocati dalle attività agricole e zootecniche.

Quanto è calato l’inquinamento negli ultimi vent’anni?

La presenza di inquinanti nell’aria è ancora oggi importante, ma questo non significa che la situazione sia rimasta invariata rispetto al passato. Anzi, la ricerca di soluzioni sempre più all’avanguardia, anche nel mondo dei trasporti, ha permesso di migliorare notevolmente la qualità dell’aria. E in alcuni casi di cancellare quasi completamente la presenza di alcuni inquinanti.

Come dimostrano i dati raccolti nel corso degli ultimi trent’anni il biossido di zolfo (SO2), oggi, è un lontano ricordo (Figura 5). Stesso discorso per il temibile monossido di carbonio (CO) che, dal 1996 a oggi, si è ridotto fino a raggiungere percentuali quasi del tutto trascurabili (Figura 5). Risultati resi possibili, in parte, grazie all’introduzione di una serie di innovazioni nel mondo dei veicoli, a partire dalla marmitta catalitica.

Figura 5
Figura 5

Importanti progressi si stanno verificando anche nella battaglia alle polveri sottili. Come dimostrano le rilevazioni dell’Arpa le concentrazioni di PM10 sono in costante calo in Regione Lombardia (Figure 6 e 7). A Milano, per esempio la concentrazione media annua era pari a 55 µg/m3 nel 2005 ed è scesa nel 2019 a 35  µg/m3 con una diminuzione pari al 36%; anche le giornate in cui si sono superati i limiti di PM10 furono 152 nel 2005 e oggi sono scese a 72 nel 2019, con una diminuzione del 53% (per quanto in questo caso ancora superiori al limite di legge di 35, come dimostra la Figura 8) .

Figura 6
Figura 6

Risultati incoraggianti, insomma, che si spiegano grazie alle innovazioni introdotte in diverse realtà, secondo Lanzani. Prima di tutto nell’industria, che ha saputo ridurre notevolmente il suo impatto ambientale, grazie allo sfruttamento, per esempio, di energie sempre più “pulite”, con le centrali a olio che via via sono state sostituite da quelle  “turbogas” a metano. Ma anche il mondo dei trasporti ha contribuito a fare la sua parte, grazie all’introduzione prima della marmitta catalitica e poi del filtro anti-particolato. Tecnologie che, insieme, hanno permesso, nel tempo, di migliorare l'efficienza complessiva dei veicoli, fino ad avere risultati tangibili sulla qualità dell’aria.

Figura 7
Figura 7

Queste analisi ci portano a due conclusioni principali:

1) Anche grazie alle innovazioni introdotte dal mondo dei trasporti - prime fra tutti la marmitta catalitica e il filtro anti-particolato - la qualità dell’aria è migliorata notevolmente negli anni.

2) Al netto dei miglioramenti c’è ancora molta strada da fare per raggiungere risultati pienamente soddisfacenti. È vero che le giornate con sforamenti si sono quasi dimezzate. Ma, ora, è necessario continuare su questa strada virtuosa per contenere ancora di più le concentrazioni di polveri, in modo tale da ridurre al minimo i giorni in cui si superano i limiti consentiti dalla legge (Figura 8).

Figura 8
Figura 8

L’evoluzione dei mezzi di trasporto

Per quanto riguarda i veicoli, infatti, vediamo come le tecnologie di volta in volta introdotte per migliorare efficienza e rendimento abbiano saputo abbattere la produzione di inquinanti. I preziosi dati dell’Arpa (Figura 9) spiegano come la marmitta catalitica e altri sistemi via via più complessi abbiano saputo abbattere drasticamente le emissioni di NOx dai veicoli a benzina. La tabella mostra anche il grande lavoro fatto sui diesel per la riduzione del PM10, soprattutto grazie all'introduzione del filtro anti-particolato. Ma anche che i motori a gasolio hanno continuato a emettere importanti quantitativi di ossidi di azoto almeno fino all’Euro 5 compreso.

Figura 9
Figura 9

Per vedere importanti cali nelle emissioni di ossidi di azoto, oltre che di particolato, occorre attendere l’ultima evoluzione dei motori a gasolio. Con l’arrivo dell’Euro 6 D-Temp, in particolare,  assistiamo a drastiche riduzioni nella produzione di ossidi di azoto anche dai diesel (Figura 10). Una tendenza avvalorata anche da una recente inchiesta dell’Ingegner Roberto Boni per Quattroruote (numero di aprile 2020) che ha dimostrato, con rilevazioni in condizioni reali, su strada, come un diesel di ultima generazione riesca ad essere addirittura più efficiente di un moderno benzina. 

Figura 10
Figura 10

Cosa è successo con il lockdown?

Un’altra occasione per ragionare sull’impatto ambientale dei veicoli ci è stata servita su un piatto d’argento dal lockdown scattato per arginare l’emergenza Coronavirus. Durante questo periodo le emissioni di ossidi di azoto sono calate vistosamente (come ha certificato, tra gli altri, anche il satellite dell’Esa). I valori massimi, i valori medi e i valori minimi di questi inquinanti si sono abbassati vistosamente durante il lockdown (Figura 11).

Figura 11
Figura 11

Anche il particolato, in generale, ha raggiunto valori prossimi al minimo storico durante la chiusura totale. Se prendiamo in esame l'andamento delle polveri dal 2011 al 2019 (Figura 12, linee gialle) e lo confrontiamo con quello del 2020 (Figura 12, linea nera) osserviamo come il calo, dopo febbraio, sia del tutto evidente. Nel periodo del lockdown, per la verità, si notano anche due picchi per quanto riguarda il PM10. Il primo intorno al 18 marzo, il secondo, ancora più accentuato, dieci giorni dopo. 

Figura 12
Figura 12

A differenza di quanto si è potuto affermare da prime analisi superficiali l’Arpa ha certificato che il primo di questi due picchi è stato causato dalla combinazione di diversi fattori. Nel primo caso una grande stabilità meteorologica è andata a combinarsi con la produzione di particolato secondario originato dall’ammoniaca immessa in atmosfera dalle attività agricole e dagli ossidi di azoto sprigionati sia dal traffico rimanente sia dalle attività industriali, che, pur essendosi ridotte, non si sono mai azzerate completamente, nemmeno nei momenti più duri del lockdown (Figura 11). Il secondo picco, invece, quello più pronunciato, è stato provocato dal trasporto aereo di polveri desertiche provenienti dall’area caucasica e ha quindi origini quasi esclusivamente naturali.

In base a queste rilevazioni, quindi, è possibile affermare che:

1) i valori di inquinanti sono calati generalmente e in maniera sensibile durante il lockdown.

2) la riduzione del traffico ha inciso direttamente sulla riduzione degli inquinanti. E questo vale sia per gli ossidi di azoto sia per il PM10, anche in presenza di quei due picchi nelle emissioni di particolato che, come abbiamo visto, non assolvono del tutto il ruolo del trasporto su gomma nella produzione di emissioni inquinanti.

Come dimostra questa tabella (Figura 13), del resto, è evidente che il rallentamento delle attività abbia contribuito diffusamente alla riduzione delle emissioni. Quindi è vero che anche altri fattori hanno contribuito al miglioramento della qualità dell’aria, come il rallentamento parziale dell’industria e dei processi produttivi. Ma è pur vero che il traffico, riducendosi di tre quarti, è il comparto che ha fatto registrare le riduzioni maggiori, sia in termini di ossidi di azoto, sia in termini di particolato. Viceversa, i valori di emissione sono  rimasti pressoché invariati, invece, nel caso dell’agricoltura, poiché le attività agricole e zootecniche hanno continuato a operare anche in regime di lockdown.

Figura 13
Figura 13

Letti da un altro punto di vista questi dati (Figura 13) confermano, ancora una volta, che sono molteplici i responsabili nella produzione di sostanze inquinanti.

Inquinano di più le auto o i mezzi pesanti?

In tutto il servizio abbiamo parlato espressamente di “veicoli” e non di “automobili”. Questo perché i dati raccolti dall’Arpa in tema di emissioni si riferiscono al volume di traffico generale e non soltanto una categoria di mezzi in particolare. 

Una volta accertate le responsabilità del traffico nella produzione di inquinanti (Figura 1) può essere però interessante scavare un po’ più in profondità. E cercare di capire se alcune categorie di veicoli, come per esempio i mezzi pesanti, abbiano maggiori responsabilità sull’alterazione della qualità dell’aria rispetto alle “classiche” auto.

Anche in questo caso non è possibile fare un discorso generale, ma occorre procedere analizzando i singoli inquinanti. Per farlo utilizzeremo i risultati di una ricerca condotta in Lombardia nel 2017, che evidenzia la distribuzione delle emissioni effettive per ciascuna categoria di veicoli. Si tratta di un lavoro particolarmente accurato, che prende in analisi i chilometri realmente percorsi dai mezzi circolanti e appartenenti alle diverse classi di inquinamento. Ovviamente si tratta di uno spaccato della realtà, visto che la ricerca si limita al caso lombardo. Ma rimane una testimonianza molto significativa, se non altro per i volumi di traffico e le concentrazioni di inquinanti che riguardano questa particolare regione del Pianeta.

Analizzando i dati in Figura 14 scopriamo come le automobili siano responsabili del 46,5% della produzione di NOx provocata dal traffico. Una percentuale che sale al 52,6% considerando i veicoli commerciali pesanti e leggeri (autobus compresi).

Figura 14
Figura 14

Una situazione che, però, si ribalta clamorosamente se si prende in considerazione il PM10 causato dal trasporto su gomma (Figura 15). In questo caso, infatti, le autovetture emettono il 58,3 % del particolato, contro il 37,2% dei mezzi commerciali pesanti e leggeri (autobus compresi).

Figura 15
Figura 15

Questi preziosi dati permettono di arrivare alle seguenti conclusioni:

1) È vero che i veicoli commerciali hanno maggiori responsabilità nella produzione di ossidi di azoto e che le auto pesano di più sulle emissioni del PM10. Ma, nel complesso, i dati della Lombardia ci dicono che non è possibile né colpevolizzare né assolvere del tutto alcuna categoria di veicoli. Sia le auto sia i commerciali hanno importanti responsabilità nella produzione di NOx e polveri sottili.

2) I veicoli alimentati a gas (GPL e metano) pesano pochissimo sul bilancio finale. Ma solo perché circolano in misura grandemente inferiore rispetto ai mezzi che sfruttano carburanti tradizionali e non perché sono intrinsecamente più “puliti”.

3) Le motociclette hanno responsabilità marginali sul bilancio totale delle emissioni di NOx e PM10 provocate dal traffico. Anche in questo caso il risultato può essere riconducibile al fatto che i veicoli a due ruote percorrono molti meno chilometri rispetto ad auto e mezzi commerciali. Senza dimenticare che il numero delle moto circolanti è di gran lunga inferiore a quello relativo ad auto, furgoni, camion e autobus.

4) Come rivelano i grafici sottostanti (Figure 16 e 17) almeno la metà delle emissioni di NOx e PM10 si verifica in ambiente urbano. E questo vale sia per le autovetture che per i commerciali, soprattutto leggeri. Un dettaglio che testimonia, ancora una volta, come i veicoli, in generale, abbiano responsabilità evidenti sulla qualità dell’aria delle città.

Figura 16
Figura 16
Figura 17
Figura 17

Cosa abbiamo imparato da questa analisi?

Gli studi pubblicati dall’Arpa nel corso degli anni e durante il periodo di lockdown permettono di effettuare una serie di importanti conclusioni:

1) È vero che i mezzi di trasporto sono migliorati notevolmente. L’ultima evoluzione Euro 6 d-temp ci ha restituito veicoli pienamente capaci di abbattere alla radice le emissioni non più solo di particolato, ma anche di ossidi di azoto. E questo, oggi, vale più che mai anche per i diesel.

2) Quasi il 60% del parco auto circolante italiano è composto da veicoli pre-Euro 5. E soltanto il 24% è rappresentato da Euro 6 (Fonte Unrae, 2019. Figura 18). Discorso analogo per i veicoli commerciali: anche in questo caso le percentuali di mezzi pre-Euro 5 supera il 60%, con gli Euro 6 destinati a giocare un ruolo marginale (15 - 20%). I veicoli su gomma, quindi, continuano ad avere importanti responsabilità sul bilancio della qualità dell’aria, visto che l’assoluta maggior parte di essi non garantiscono i livelli di emissioni raggiunti dall’Euro 6.

Figura 18
Figura 18

3Fino a che l’assoluta maggior parte dei veicoli circolanti non sarà composta da modelli di ultimissima generazione (almeno Euro 6) non sarà possibile ridurre drasticamente le responsabilità del trasporto su strada nella produzione di NOx e PM10.

4) È vero che i veicoli non sono gli unici responsabili dell’inquinamento. Ed è altrettanto vero che hanno già fatto tantissimo per ridurre il proprio impatto ambientale nel corso degli ultimi 20 anni. Ma questi non devono essere alibi per gettare la spugna proprio ora che si è già fatto così tanto. C’è ancora un pezzo di strada importante da percorrere per abbattere gli NOx e PM10 provocati dal traffico (Figure 6 e 7). E il mondo dell’auto può giocare un ruolo importantissimo in questa battaglia.

Mai come in questo momento, quindi, sarebbero auspicabili azioni per favorire il rinnovo del parco circolante. Un meccanismo virtuoso che, se si dovesse realizzare in proporzioni tangibili, avrebbe effetti immediati, oltre che sull’economia, anche sul miglioramento della qualità dell’aria, come abbiamo provato a dimostrare con i dati dell’Arpa.

Foto in bianco e nero: Gabriele Micalizzi

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