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Nella 6 Ore di San Paolo del WEC, la Ferrari, strozzata dal Balance of Performance, non è andata oltre l’ottavo posto con la 499P n.83 di AF Corse. Le altre due gemelle ufficiali, la n.50 e la n.51, sono finite addirittura fuori dalla top ten, ponendo fine a una prima parte di stagione dominante culminata con la tripletta sfiorata nella 24 Ore di Le Mans. Un risultato, questo, che fa storcere il naso ai puristi delle corse, che non capiscono come nel mondiale Endurance sia in uso un sistema per livellare le prestazioni così potenzialmente penalizzante.
Il BoP della classe regina del WEC prevede diversi parametri per equilibrare i valori in campo, tra cui spiccano la zavorra extra e la potenza sopra e sotto i 250 km/h. La Ferrari e la Toyota risultavano come le forze maggiormente penalizzate a Interlagos per la prima variabile, con 1.069 kg di peso contro i 1.030 di peso minimo. L’energia più bassa, invece, era quella di Alpine, la LMDh resa più vulnerabile per via delle prestazioni offerte a Spa, la gara presa in considerazione per il calcolo del BoP. A vincere a Interlagos – anzi, a mettere a segno una doppietta – è stata Cadillac, che ha beneficiato di una diminuzione del peso e di un notevole incremento di potenza.
Che il Balance of Performance possa spostare parecchio i valori in campo lo si capisce perfettamente dal risultato della corsa del WEC in Brasile. Ma pensare di poterne fare a meno, introducendo invece un budget cap come accade in Formula 1, è un’utopia. Il regolamento tecnico che ha segnato l’arrivo nel WEC di una nutrita schiera di costruttori ha una natura tale da richiedere un sistema che vada a livellare le prestazioni. Le auto sono troppo diverse tra loro perché senza uno strumento del genere si possano avere davvero varietà e spettacolo.
Tanto per cominciare, nella classe regina del WEC corrono due tipologie di prototipo completamente diverse, le Hypercar e le LMDh. Senza il BoP, sarebbe molto difficile per le seconde, vetture rigorosamente ibride con diversi componenti standardizzati, competere con le più sofisticate Hypercar. Questo sebbene il regolamento prescriva che entrambe le tipologie abbiano lo stesso peso minimo – 1.030 kg – e la stessa potenza massima, 520 kW. Ma pure all’interno delle stesse Hypercar ci sono differenze notevoli.
Il regolamento del WEC per la classe Hypercar non è eccessivamente prescrittivo, visto che delinea solamente valori massimi di carico e resistenza aerodinamica, ma non il modo in cui la deportanza viene generata. È questo il motivo per cui Peugeot ha potuto osare, portando in pista nel 2022 la sua 9X8 senza ala posteriore. Che poi si sia rivelata una scelta controproducente è un altro discorso. Ma c’è grande varietà anche dal punto di vista del powertrain. Le Hypercar possono essere ibride, ma non necessariamente lo sono. E così, oltre alla libertà in merito alle architetture della parte endotermica, si può vedere in pista un prototipo non ibrido, la Valkyrie derivata dalla versione stradale di Adrian Newey.
Senza il Balance of Performance, si noterebbero differenze prestazionali abissali tra un prototipo come la 499P e la Valkyrie. E se è vero che il motorsport è anche una sfida tecnologica, si darebbe vita a uno spettacolo con sproporzioni molto più grandi nei valori in campo rispetto a quanto visto in Formula 1 nei periodi di dominio più schiacciante da parte di una scuderia. Non è questo l’orizzonte che vorrebbero l’ACO e la FIA. E nemmeno quello desiderato dai costruttori che hanno investito per partecipare in questa categoria.
Prima dell’introduzione del nuovo corso delle Hypercar, il mondiale Endurance stava lentamente morendo, con la sola Toyota a tenere banco nella classe LMP1. Si trattava di prototipi che nel tempo erano diventati sempre più complessi, a fronte di investimenti ingenti. Ma che erano paradossalmente fragilissimi, tanto che bastava lo spegnimento imprevisto della macchina ai box per causarne il ritiro centinaia di giri dopo. Il gioco non valeva la candela, visto che il WEC non ha la stessa potenza mediatica della F1 e che gli esborsi per essere davvero competitivi non erano poi così lontani da quelli per la massima serie.
Il nuovo regolamento pensato dalla FIA e dall’ACO è arrivato nel momento perfetto, quando i costruttori stavano cominciando a capire che l’elettrificazione non avrebbe marciato alla velocità preventivata in precedenza e che la Formula E anche solo come veicolo di marketing non stava funzionando. A fronte di un investimento molto più contenuto rispetto a quello necessario per competere in F1, era possibile mettere in pista prototipi con un chiaro family feeling di un determinato brand, potendo contare sull’esposizione mediatica data soprattutto dalla 24 Ore di Le Mans.
Ferrari, Peugeot, BMW, Cadillac, Porsche e non solo: i costruttori che hanno sposato la causa del WEC sono parecchi, e il numero è destinato ad aumentare in futuro, con l’arrivo di nomi come McLaren e Genesis. Se non ci fosse il Balance of Performance, nulla di tutto questo sarebbe possibile. Certo, si tratta di un meccanismo indubbiamente perfettibile e chiaramente politico, tanto controverso da essere un argomento tabù per regolamento nelle interviste. Ma è il male minore, se ci regala uno schieramento così nutrito come quello attuale del WEC.