Elon Musk ha fatto la pipì e in Tesla ora sono più tranquilli

Referto limpido, ma con limiti evidenti

Il documento arriva dal laboratorio Fastes Labs di Austin: una lunghissima lista di sostanze tutte risultate negative. Musk ha pubblicato il referto integralmente, senza oscurare nulla, accompagnato con il solito e ironico “lol”.

I più attenti fanno notare che il test risale all’11 giugno, ben undici giorni dopo la conferenza stampa con cui Musk aveva già negato ogni abuso, rispondendo con una frecciatina al NYT. Le analisi sono arrivate due settimane dopo la pubblicazione dell’articolo e ben oltre la finestra di rilevazione per un test delle urine: da 2 a 10 giorni al massimo, secondo lo stesso centro analisi.

Un test troppo comodo?

Ed è qui che tornano i dubbi. Se le accuse del NYT riguardano fatti avvenuti durante la lunga campagna elettorale del 2024 (oltre un anno fa) e nel periodo in cui Musk guidava il controverso “Doge”, allora un semplice test delle urine non può essere risolutivo. Per scoprire un eventuale uso cronico di sostanze come ketamina, ecstasy o Adderall, servirebbe un test del capello, capace di individuare tracce anche a mesi di distanza.

La risposta di Musk arriva, anche se fuori tempo massimo. E anche se il miliardario è solito con le sue uscite teatrali, la questione resta delicata. Anche perché, tra le accuse più gravi, c’è quella secondo cui Musk avrebbe sempre avute con sé una scatola con oltre 20 pillole, una scorta di cocktail di stimolanti usati durante eventi e incontri ufficiali.

Una comunicazione che non fa chiarezza

Musk sceglie ancora una volta la via della comunicazione diretta, bypassando giornali e interviste: un post su X e nessun commento ufficiale. Ma per molti osservatori, questa mossa rischia di avere l’effetto contrario: invece di chiarire, alimenta nuove domande. Di chi sono davvero quelle urine? Perché non fare il test del capello?