La suola rossa delle Louboutin non si può copiare. E un'auto?

La suola rossa delle Louboutin non si può copiare. E un'auto?
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Accade ogni tanto che le aziende si copino in maniera inconsapevole, ma qualche volta anche in malafede. Ecco alcuni casi, come quella volta in cui la monoposto Ferrari fece imbufalire Ford e Fiat si oppose all'importazione della “Panda cinese” di Great Wall
15 febbraio 2019

La Corte di Giustizia dell'Unione Europea ha sentenziato qualche mese fa: la famosa suola rossa delle scarpe griffate Christian Louboutin non può essere copiata da altri produttori. Il caso era scoppiato dopo che il marchio olandese Van Haren aveva lanciato una versione troppo simile alla famosa “tacco 12” tanto cara alle star, con i giudici dell'Aia che alla fine si sono pronunciati in favore dello stilista francese.

Un tipico caso in cui un dettaglio estetico la cui paternità non è certa al 100% scatena una battaglia legale, di quelle che sono abbastanza frequenti anche nel mondo dell'automobile, dove sono abbastanza ricorrenti i casi di plagio integrale. Circa una decina di anni fa, quando si affacciarono in Europa i primi costruttori cinesi, vi furono una serie di battaglie a colpi di carta bollata. La più famosa che si ricordi in Italia fu quella di Fiat contro Great Wall, che fu sul punto di esportare anche in Italia la Great Wall Peri, un'utilitaria la cui somiglianza con la Panda andava oltre ogni dubbio: per i giudici erano praticamente identiche.

Il Lingotto ottenne nel 2008 dal Tribunale di Torino la diffida per Great Wall di importare e commercializzare sul territorio italiano la Peri. La pena in caso di violazione sarebbe stata una multa da 50.000 euro per ogni esemplare sbarcato nel Bel Paese. Nessun problema invece in Cina, dove Fiat dovette incassare il no dei giudici di casa alla medesima richiesta. Laggiù la Peri non era un clone.

Ferrari, essendo un marchio con un appeal fortissimo, è molto imitata. Ma è anche una delle case più rigorose sull'utilizzo del suo marchio e quindi non è nuova ad azioni del genere: l'ultima in ordine di tempo contro un dentista brasiliano che avrebbe voluto vendere un replica fatta in casa della F40, mentre qualche tempo fa anche un bravo carrozziere trentino appassionato di tuning è stato condannato per uso improprio del marchio: trasformava delle Toyota MR2 in un'imitazione molto ben riuscita della Ferrari 360 Modena. Il problema in questi casi era l'utilizzo non autorizzato del marchio del cavallino rampante sulla carrozzeria, da cui i due artigiani avrebbero tratto un vantaggio di immagine.

Un altro caso coinvolse qualche anno fa sempre il Cavallino, ma nel ruolo di “scopiazzatore”: accadde con la presentazione della monoposto di Formula 1 per il Campionato del Mondo 2011. Ford si imbufalì denunciando la Casa di Maranello per aver utilizzato la sigla F150, troppo simile a quella del pick-up F-150. La denuncia dopo fu ritirata e la lite con la Casa americana composta bonariamente dopo la decisione di modificare la denominazione della monoposto in Ferrari 150º Italia, un nome per celebrare il 150esimo anniversario dell'Unità d'Italia.

La Ferrari 150° Italia del 2011: il suo primo nome fu "F150", ma Ford si oppose perché troppo simile a quello del suo pick-up F-150
La Ferrari 150° Italia del 2011: il suo primo nome fu "F150", ma Ford si oppose perché troppo simile a quello del suo pick-up F-150

Più spesso i costruttori si scornano tra loro e con altre aziende invece per sigle e nomi di modelli o di versioni particolari. Si tratta spesso di controversie internazionali in cui una delle parti si rivolge, come il caso Louboutin-Van Haren, alla Corte di Giustizia dell'Aia dopo non aver ottenuto soddisfazione dai tribunali nazionali. Oppure accade che siano gli stessi giudici nazionali a rinviare il giudizio per competenza al tribunale internazionale. Diversi sono i casi curiosi su cui i giudici internazionali si sono dovuti pronunciare.

Opel nel 2004 procedette contro la Autec, azienda tedesca produttrice di modellini in scala, per aver usato il suo logo in un modellino radiocomandato di Astra V8 Coupé, a suo dire di scarsa qualità. La corte rigettò la richiesta della Casa tedesca, in quanto l'uso del marchio su un altro tipo di prodotto diverso dalle automobili (in questo caso un giocattolo) non sarebbe potuto essere scambiato dal consumatore come una merce prodotta dalla stessa Opel.

Nel caso Volkswagen contro Suzuki, l'oggetto del contendere fu l'utilizzo della sigla “GTI” da parte di Suzuki per la Swift GTi, sigla che Volkswagen utilizza per i suoi modelli più sportivi. Il costruttore di Wolfsbrg eccepiva che l'utilizzo sul modello giapponese avrebbe potuto confodere la Suzuki per una Volkswagen, ma la corte ha alla fine rigettato le richieste dei tedeschi in quanto l'acronimo non si può sottoporre a registrazione.

La sigla "GTI": Volkswagen ne ha rivendicato la paternità nel 2012 contro Suzuki,che utilizzava la stessa sigla per la Swift GTi
La sigla "GTI": Volkswagen ne ha rivendicato la paternità nel 2012 contro Suzuki,che utilizzava la stessa sigla per la Swift GTi

Suzuki a sua volta nel 2006 ha citato in giudizio la Whirlpool per la registrazione del nome Ignis, usato dalla Casa giapponese per un proprio modello, dall'azienda italiana per una linea di elettrodomestici. La disputa si è poi conclusa con un accordo bonario tra le parti.

Nel 2009 Land Rover si è invece opposta alla registrazione da parte di Nissan del brand “Land Glider” che all'epoca indicava una curiosa concept car elettrica capace di inclinarsi in curva come una moto. Il ricorso di Land Rover fu però rigettato in quanto la parola “Land” è troppo comune per essere considerata un tratto distintivo di un brand da non poter essere impiegata da altri.

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