Silk Way Rally 2019-4. L’Anello di Ulan Bator. Sam “KTM” Sunderland e il solito Al “Toyota” Attiyah

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Piero Batini
  • di Piero Batini
Prima parte della Tappa Marathon del Silk Way Rally. L’Anello magico della Steppa. Doppietta KTM e monologo Toyota, ormai imprendibile. Ma il “vero” risultato di oggi si vedrà domani, al termine della due Marathon giorni senza Assistenza
  • Piero Batini
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11 luglio 2019

Ulan Bator, Mongolia, 9 Luglio 2019. Via da Ulan Bator. Ritorno a Ulan Bator. È la formula Magica del grande anello di steppa lussureggiante che parte e ritorna nella ex Urga. La Capitale mongola ospita così due Tappe, un doppio bivacco e si fa madrina della frazione per definizione più incerta e delicata del Rally: la Tappa Marathon. L’assistenza, e di conseguenza le eventuali riparazioni, è ammessa solo tra i concorrenti in Gara. Nessun aiuto esterno è ammesso, e l’atmosfera serale che sta in quella terra di nessuno in mezzo tra le due Tappe è sempre un poco tesa, eterea, trasognata. È cruciale aver saputo gestire la prima parte della Marathon risparmiando sul filo del gas i pneumatici, aver evitato incidenti e cadute, e le conseguenze sul “materiale”, non aver osato oltre il “ragionevole” ma nemmeno perso troppo tempo in complicati calcoli o rallentamenti. Ritmo e tenuta, attenzione, massima concentrazione. È la regola aurea della Tappa Marathon.

Poco tempo e attenzione anche verso lo scenario che si fende con la Moto, con l’Auto o il Camion da Corsa. Solo qualche colpo d’occhio sull’orizzonte o di lato per una “fotografia” da registrare nella memoria personale. La steppa della Mongolia è magnifica, verdissima, appena mossa da rilievi dolci, foreste, piccoli laghi salati in secca, canyon. In uno di questi, non lontano dalla pista, c’è un antico monastero, si chiama Baga Gazriin Chuluu, eroso dal tempo ma non cancellato dall’”Amicizia”. Non è stato visto, a suo tempo, ed è rimasto nascosto, e gelosamente custodito, tra quei due muri di roccia e la boscaglia. È uno di quei “semi” di memoria che riportano il Paese alla sua cultura, come gli Ovoo che si incontrano lungo la pista, segnalati dai fazzoletti che richiamano i passanti per un voto, per un pensiero. La Competizione non può permettersi di fermarsi e di fare tre volte il giro dei cumuli di pietre, o di lasciare il proprio segnale. Il Rally passa oltre veloce e i concorrenti si limitano ad abbassare per un attimo la testa in segno di rispetto.

La Gara delle Moto è sempre incerta e avvincente. Il leader della vigilia, Kevin Benavides, ha buttato al vento della steppa una grossa chance. Un problema al freno anteriore. I suoi dicono che è saltato un bullone della pinza anteriore. Brutta storia. E così la “punta” del team Honda, in vantaggio di tre minuti al termine della terza Tappa, paga pegno ed è in ritardo di un vistoso quarto d’ora. Ha vinto di nuovo Sam Sunderland, e KTM completa il successo di metà Marathon con una doppietta e il secondo posto di Luciano Benavides, il fratellino dello sfortunato Kevin che, adesso, ha solo 15 minuti per riparare la sua Moto in Parco Chiuso, prima della partenza della 5a Tappa. La lunga Speciale, ben 470 chilometri, riporta in qualche modo in Gara Adrien Van Beveren, Yamaha, e Andy Short, Husqvarna, rispettivamente 4° e 5° alle spalle del binomio KTM e di Joan Barreda, terzo in Speciale e nella generale. Il pilota attorno a cui ruota l’intera Squadra Honda sta correndo la sua Gara del… secolo. Non si era mai visto, infatti, il velocissimo Pilota catalano rimanere nell’ombra della Corsa aspettando il momento giusto, e magari “letale”, per uscire allo scoperto. L’inedito Barreda è senza dubbio la migliore, nuova “arma” del Team. Allo stesso modo resta interessantissima la Corsa dei due Piloti Hero ufficiali, Oriol Mena e Paulo Gonçalves, che catapultano la piccola realtà agonistica indiana (ma di una grande Fabbrica) nella ristretta cerchia dei grandi della specialità.

Invece per quanto riguarda la Gara delle Auto si può ben dire che il Silk Way 2019 è la marcia trionfale della Toyota di Nasser Al Attiyah e Mathieu Baumel. Evidentemente l’Hilux ufficiale Gazoo Racing, vincitore della Dakar 2019, ultima della serie in Sud America, si rivela perfettamente competitivo e adatto ai terreni della steppa mongola. Fermato l’Hilux di Al-Rajhi, rottura di una cinghia dei servizi, esclusa la pompa dell’acqua, non fermato e… cotto il motore, Al-Attiyah non ha più avversari ma solo “osservatori” a distanza. La doppietta di Ulan Bator, secondo è Eric Van Loon con un pick up gemello, non fa testo, e infatti nella generale provvisoria il Principe del Qatar vola con quasi mezz’ora di vantaggio sul cinese Liu Kun. Terzo, al termine della prima Frazione della Marathon, è ora Jerome Pelichet, di poco superato Han Wei.

Sorprendente Gara dei Camion. L’armata russa dei Kamaz trova sui terreni dell’”Amicizia” una giornata decisamente frustrante. Leader per buona parte della Tappa, Karginov e Shibalow sono rallentati da forature e guasti. Il Rally registra, così, la giornata straordinaria dei “cugini” bielorussi dei Maz, che “piazzano” una tripletta con Viazovich, e Vasilevski e Vishneuski. Il 6440RR di Viazovich mantiene il comando della Generale provvisoria, 18 minuti e mezzo su Shibalov e 26 su Karginov.

Quinta Tappa. Il Rally stupendo vola. La Marathon si conclude con la frazione che porta a Mandalgovi. Niente di che dal punto di vista “urbanistico”, o architettonico, tuttavia la Capitale della Provincia di Dundgovi, 300 chilometri da Ulan Bator, è il Portale del Deserto del Gobi. E abbiamo detto, se non tutto, abbastanza da farvi rizzare i capelli!

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