Uber: oggi il debutto a Wall Street tra luci e ombre

Uber: oggi il debutto a Wall Street tra luci e ombre
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Daniele Pizzo
E’ il più grande collocamento dai tempi di Facebook. Ma gli entusiasmi sono smorzati dalle proteste dei driver e dall’andamento dei mercati finanziari, in questi giorni affossati dalla “trade war” tra USA e Cina
10 maggio 2019

Dopo dieci anni dalla fondazione, Uber diventa un’azienda pubblica. Oggi infatti la ormai ex startup californiana ha debuttato alla Borsa di New York, in quella che è stata definita la più grande IPO dai tempi dell’esordio sui mercati finanziari di Facebook nel 2012.

Il prezzo di collocamento al NYSE dei 180 milioni di titoli è stato fissato in 45 dollari, ovvero nella parte bassa della forchetta compresa tra 44 e 50 dollari indicata dall’azienda. Ciò significa che Uber, per la stessa Uber, vale oggi circa 80 miliardi di dollari, capitalizzazione che la pone tra le prime dieci aziende americane oggi sul mercato. Dall’operazione Uber Technologies ha raccolto 8,1 miliardi di dollari.

Si tratta di una valutazione ben al di sotto dei 120 miliardi ipotizzati in un primo momento, valutazione ridimensionata anche alla luce di quanto accaduto al principale avversario Lyft, altro gigante nordamericano del “ride hailing”: collocate a 72 dollari USA al Nasdaq, oggi le azioni di Lyft quotano intorno ai 55 dollari. In pratica, un flop. 

Il suono della campana di apertura delle contrattazioni che oggi toccherà a Uber far suonare sarà in parte coperta però dalle voci delle proteste dei suoi numerosissimi autisti (circa 3,9 milioni in tutto il mondo), che insieme a quelli di Lyft si sono dati appuntamento a New York ma anche su altre piazze di tutto il globo per chiedere in inquadramento da dipendenti e non da collaboratori a contratti come oggi e salari più alti. 

I “driver” di Uber, ma anche di altri operatori simili della “gig economy” sono infatti stabiliti dall’azienda e si aggirano negli USA sui 10 dollari contro i 25 pubblicizzati da Uber. La pressione degli investitori potrebbe far scendere ancora le remunerazioni. Un bel rompicapo, considerando che il suo modello di business si basa sugli autisti e sulle loro automobili messe a disposizione per il servizio. E’ questo il motivo principale per il quale l’azienda californiana sta lavorando allo sviluppo dell’auto a guida autonoma insieme al suo maggiore investitore, cioè Google. 

Sullo sfondo, alcune criticità di non poco conto: la prima è rappresentata dallo scenario attuale caratterizzato dalla guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina che ha fatto crollare le piazze di tutto il mondo ed in particolare il settore tech, ma anche il fatto non meno secondario che Uber fino ad oggi ha generato solo perdite: 6,8 miliardi solo negli ultimi 4 anni. Non ultima, infine, le difficoltà ad espandersi nel resto del mondo.

Se negli USA Uber, Lyft et similia sono ormai realtà consolidate nell’uso quotidiano, non è così al di fuori degli States. L’ostacolo più grande alla sua espansione sono infatti le varie leggi sull’esercizio dell’attività di autista. In Italia, ad esempio, il Tribunale di Milano nel 2015 ha vietato ai privati di esercitare l’attività di driver per Uber, mantenendo questa possibilità solo per gli NCC ed anche in altri paesi le autorità hanno vietato nella sostanza ad Uber di operare sotto la pressione di altre categorie in vera o presunta concorrenza, in primis quella dei tassisti. 

Ma nel frattempo, tra bilanci in rosso, scandali e defezioni importanti, come il passo indietro nel 2017 del fondatore Travis Kalanick, gli utili continuano a crescere per l'azienda dell'app più popolare del mondo. 

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