Addio a Shunsaku Tamiya: il re del modellismo che ci ha fatto sognare a quattro ruote (e non solo)

Addio a Shunsaku Tamiya: il re del modellismo che ci ha fatto sognare a quattro ruote (e non solo)
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Chiunque ami le auto, almeno una volta, ha montato un modellino Tamiya. Una passione in scala, nata da una visione che ha attraversato generazioni. Oggi salutiamo Shunsaku Tamiya, l’uomo che ha trasformato sogni e plastiche in vere e proprie emozioni da costruire
23 luglio 2025

Chi ama davvero le auto — quelle vere, ma anche quelle sognate — prima o poi nella vita ha montato un modellino Tamiya. Magari era la supercar che non ci saremmo mai potuti permettere, oppure un fuoristrada da battaglia, o ancora una Mini 4WD lanciata a tutta velocità su piste improvvisate tra i mobili del salotto. In scala, certo. Ma sempre con il cuore a grandezza naturale.

Il 18 luglio si è spento Shunsaku Tamiya, figura leggendaria del modellismo mondiale, capace di trasformare un passatempo in un linguaggio universale fatto di colla, pazienza e immaginazione. Aveva 90 anni. Con lui se ne va non solo il presidente storico della Tamiya, ma anche l’uomo che ha dato forma concreta ai sogni di intere generazioni.

Tutto comincia nel dopoguerra, quando nel 1946 il padre Yoshio fonda a Shizuoka la Tamiya Shoji & Co., un piccolo laboratorio che nel tempo si specializza in modelli navali in legno. Ma è nel 1960, con la corazzata Yamato in plastica, che inizia la rivoluzione. E poi nel 1962, con il celebre carro armato Panther 1/35 motorizzato, Tamiya riscrive le regole del modellismo militare. Shunsaku prende le redini dell’azienda nel 1977, e sotto la sua guida il marchio si trasforma in un colosso internazionale, fedele al motto: First in quality around the world.

Ed era vero: nessun altro produttore offriva quella combinazione di precisione, chiarezza nelle istruzioni, qualità dei materiali e attenzione ai dettagli. Che fosse una Ferrari 312T, una Lancia Delta Integrale, una Subaru Impreza WRX STi o un fuoristrada RC, montare un modello Tamiya significava imparare – giocando – come era fatta una vera auto. Ogni pezzo era una lezione di meccanica. Ogni adesivo, una prova di pazienza. Ogni test su strada, un piccolo brivido.

 

Una delle (poche) coppe vinte ad un campionato locale di Mini 4WD a sinistra, a destra il modellino della Subaru Impreza WRC 2001
Una delle (poche) coppe vinte ad un campionato locale di Mini 4WD a sinistra, a destra il modellino della Subaru Impreza WRC 2001
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Quelle Mini 4WD che ci hanno fatto correre da bambini

Se sei nato negli anni '90 — come il sottoscritto — è probabile che tu abbia conosciuto Tamiya non solo tra gli scaffali dei negozi di modellismo, ma anche in TV, grazie al mitico cartone Let's & Go. Quei bolidi in miniatura, le Mini 4WD, diventavano protagoniste di corse mozzafiato nei pomeriggi d’estate, tra piste di plastica montate in cameretta e sogni di gloria alle prime vere gare, che proprio grazie all’eco del cartone si sono moltiplicate in tutto il mondo.

C’era qualcosa di magico nel vedere la tua auto – la tua vera prima auto, costruita con le mani – volare su una curva parabolica o schizzare via dopo aver lubrificato perfettamente gli ingranaggi. Tamiya non vendeva solo modellini: vendeva esperienze, identità, piccoli sogni meccanici.

Con le Mini 4WD prima, e i modelli radiocomandati poi, Tamiya è entrata nel cuore di intere generazioni. Gli anni Ottanta e Novanta sono stati un’epoca d’oro: gli scaffali dei negozi si riempivano di scatole con il logo rosso e blu, e ogni appassionato aveva almeno un sogno da costruire. O da ricostruire, dopo l’ennesimo salto troppo audace.

Ma più di tutto, ciò che ha reso Shunsaku Tamiya una figura unica è stata la sua visione: il modellismo non come esercizio di tecnica, ma come esperienza umana, educativa e creativa. Per questo la sua scomparsa ha colpito duramente la community globale. Tamiya USA lo ha salutato con due parole: passione e leggenda. Chi l’ha incontrato al Shizuoka Hobby Show ricorda il suo sorriso, la sua gentilezza, l’umiltà con cui parlava di un mondo che lui stesso aveva contribuito a costruire.

Dal 1° luglio il testimone è passato a Nobuo Tamiya, già managing director. Ma ogni scatola che apriremo, ogni modello che assembleremo, porterà ancora l’impronta di Shunsaku. In quelle istruzioni meticolose, in quei disegni dettagliatissimi, in quel profumo di plastica nuova che ancora oggi – a distanza di decenni – ci riporta indietro nel tempo.

Addio, Shunsaku-san. E grazie per averci permesso di toccare – anche solo con le dita incollate e le mani tremanti – il volante delle nostre auto da sogno.

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