Stellantis: Carlos Tavares non era Sergio Marchionne

Stellantis: Carlos Tavares non era Sergio Marchionne
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Due ere automobilistiche segnate da grandi cambiamenti e crisi profonde, vissute dai due CEO con metodi e prospettive molto diverse; alla prova dei fatti chi ha servito meglio la causa?
23 luglio 2025

La cronanca oramai ce la lasciamo alle spalle, perché la conosciamo bene: il 1° dicembre del 2024 Carlos Tavares esce da Stellantis: dice di non essere stato licenziato, ma il fatto che oggi gestisca una tranquilla azienda agricola in Portogallo e non il quarto gruppo automobilistico mondiale lascia pochi dubbi: l’ex numero uno di Stellantis è stato accompagnato alla porta. E nel farlo, ha dimostrato una volta per tutte che non è mai stato l’erede di Sergio Marchionne. Non nel metodo, non nella visione e — soprattutto — non nella capacità di tenere insieme mondi opposti con la sola forza del carisma e della strategia.

Due uomini, tre filosofie

Marchionne era un uomo di finanza, certo, ma capace di capire l’auto con un’intelligenza trasversale. Per lui, la missione era chiara: salvare Fiat e poi liberare il gruppo dal peso del settore automotive, spremendone tutto il valore per poi far evolvere l’impero Agnelli verso lidi più remunerativi. Chrysler, Ferrari, CNH: ogni operazione era un tassello in un piano preciso. Nessuna fusione fine a sé stessa, nessun gigantismo per il gusto del volume o dell'estremo risparmio.

Tavares, invece, ha avuto il coraggio di affrontare il caos con entusiasmo. Dopo aver risanato PSA e rilanciato Opel, sembrava l’uomo giusto per affrontare l’unione impossibile tra FCA e Peugeot. Ma il suo approccio era quello dell’uomo di prodotto e di processo: tanti marchi, un’unica piattaforma, sinergie ovunque. Eppure Stellantis si è rivelata una creatura ingestibile, una specie di mostro mitologico con 14 teste che non parlano tra loro. E nonostante gli sforzi, il caos e l'incertezza sono rimaste. E qui entra in gioco John Elkann, che non la pensa come Marchionne ma nemmeno come Tavares.

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Il nodo del potere: Elkann contro tutti

Quando John Elkann, che ha guidato temporaneamente Stellantis dopo l’uscita improvvisa di Tavares, si è trovato a dover gestire un gruppo senza successore pronto, è emersa la vera frattura: la strategia a lungo termine non c’era. Il licenziamento (mascherato da dimissioni) del manager portoghese ha tutto il sapore di una resa dei conti tra la parte francese — incarnata da Henri de Castries — e la parte italiana, tornata oggi in pieno controllo del timone. John Elkann, peraltro, non ha mai avuto impiantato nel DNA il gene del settore auto, ne ha mai detto di volerci restare per sempre. Marchionne lo sapeva bene, e infatti la sua operazione era quella di liberare Exor (la cassaforte della famiglia Agnelli) dal fardello industriale, preferendo concentrarsi su finanza e lusso. Tavares, invece, nell'auto ci credeva. Ma forse ci credeva troppo: un sogno che non poteva funzionare: quello di tenere insieme Jeep e Peugeot, Maserati e Citroën, DS, Dodge, Chrysler, Opel, Fiat, Lancia, Abarth, Alfa Romeo eccetera. I segni delle ferite si vedono dai bilanci del 2024 e quelli del primo semestre 2025, disastrosi È di questi giorni l'indiscrezione riportata da Reuters circa la possibile vendita di Iveco agli indiani di Tata.  

Un’eredità impossibile

Ma torniamo ai nostri due CEO: Marchionne è stato capace di stare al volante del cambiamento con la freddezza di un gestore patrimoniale e la visione di un CEO globale. Tavares ha provato a portare ordine dove c’era il caos e governare il timone nelle traversie dei diktat europei, ma senza mai davvero imprimere una rotta chiara. Lo dimostra anche la crisi con la rete americana di dealer, infuriati per lo tsunami di Jeep e RAM che non riuscivano a vendere, lo scontro con i sindacati (in questo era incappato anche Marchionne) o l’incertezza sui mercati asiatici e sull’elettrico (cui ha fatto seguito da poco anche l'abbandono della ricerca sull'idrogeno). Oggi Stellantis ha un nuovo CEO, Antonio Filosa, perfetto sconosciuto al grande pubblico ma “fedelissimo” della parte italiana. Un nome che segna una discontinuità netta, ma che non cambia i nodi strutturali del gruppo: un gigante sbilanciato sull’America, senza identità europea forte e con troppi brand in cerca di una direzione. Tavares ha preso 59 milioni dal tavolo, ma ha anche lasciato tante domande senza risposta.

E Marchionne? Lui resta l’unico vero costruttore di visioni. Aveva capito che l’auto stava cambiando e che non sarebbe bastato unire le forze per sopravvivere. Serviva tagliare, valorizzare, cedere, rilanciare. Non aggiungere solo nuovi pesi. E forse, da lassù, oggi guarda Stellantis come l’opposto di ciò che avrebbe voluto.

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