Prestito FCA: la polemica diventa politica

Prestito FCA: la polemica diventa politica
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Alfonso Rago
  • di Alfonso Rago
Si accende la discussione intorno alla richiesta di prestito da 6,3 miliardi di euro avanzata da FCA: chieste garanzie sull’uso in Italia della sovvenzione
  • Alfonso Rago
  • di Alfonso Rago
19 maggio 2020

Fidarsi è bene, ma visti i precedenti si impone cautela, molta cautela: non accenna a spegnersi la polemica innescata dalla richiesta di FCA di accedere al piano di sovvenzioni per sostenere le aziende messe in ginocchio dalla pandemia, ma anzi la discussione si allarga.

Perché FCA non significa solo autovetture, ma una holding i cui interessi si sono allargati in maniera trasversale, interessando ormai settori di pubblica utilità, come quello dell’informazione; e non c’è dubbio che sono in molti a volersi ora togliere qualche sassolino dalle scarpe, o che vedono in questa l’occasione per poter finalmente dire cosa pensano davero dell’azienda che un tempo faceva auto a Torino, e soprattutto di chi oggi la amministra.

Insomma, volano stracci, anche se mascherati dal bon ton delle dichiarazioni istituzionali e dai comunicati stampa edulcorati dalle espressioni più colorite.

Il primo problema è politico, interno addirittura allo stesso Governo: le dichiarazioni pubbliche del Ministro dell’Economia, che si spende per chiarire i termini possibili dell’accordo, sembrano confermare in maniera indiretta la spaccatura trasversale tra i partiti della coalizione giallorossa: «Abbiamo detto a Fiat che devono usare il prestito per fare  investimenti in Italia - ha affermato Roberto Gualtieri - Si tratta di un prestito e non di un regalo: per questo abbiamo chiesto a FCA impegni aggiuntivi rispetto a quelli esistenti, come la conferma ed il rafforzamento di tutti gli investimenti in Italia e l’assoluto divieto di delocalizzazioni. La garanzia dello Stato è legata a queste condizioni».

Si profila, forse, una correzione all'articolo 2 del provvedimento, che prevede la garanzia pubblica di Sace ai prestiti richieste dalle società: «Abbiamo previsto la possibilità di portare la garanzia all'80% al rispetto di ulteriori specifici impegni e condizioni e questo è quanto il governo intende fare nei confronti di FCA - continua Gualtieri - Ricordo che il soggetto richiedente del prestito garantito è FCA Italy che rientra nei requisiti di legge del decreto liquidità e che ha sede e paga le tasse nel nostro Paese. Occorre ancora chiarire che il nuovo gruppo multinazionale, dopo la fusione con Psa, avrà sede in Olanda, considerata come 'campo neutro' rispetto ai due paesi europei Italia e Francia e agli Stati Uniti. Tuttavia, nei colloqui informali che hanno preceduto la richiesta di finanziamento a Intesa San Paolo, il Governo ha chiarito che sarebbero state necessarie condizioni aggiuntive: la conferma e il potenziamento del piano di investimenti anche nelle nuove condizioni determinate dal coronavirus, l'impegno alla non delocalizzazione della produzione, la conferma dei livelli occupazionali, la puntuale rendicontazione degli investimenti concordati».

Non sappiamo se le parole di Gualtieri riusciranno a ricomporre la frattura nella maggioranza, dove appare preoccupante soprattutto la divisione interna al PD, dove convivono posizioni diverse, come quella di Zingaretti (ed ovviamente dello steso Gualtieri) che sostengono il premier Conte, mentre le voci critiche arrivano da figure di primo piano, ad iniziare dai ministri Giuseppe Provenzano ed Andrea Orlando.
 

Anche “La Repubblica“ si spacca

La questione del possibile prestito a FCA è pretesto per il primo redde rationem all’interno del quotidiano “La Repubblica“, controllata da Exor, la holding proprietaria anche della Casa automobilistica: a fronteggiarsi sono il neo-direttore Maurizio Molinari, imposto con una mossa d’imperio dallo stesso John Elkann al posto di Carlo Verdelli, che godeva del pieno appoggio dei giornalisti, ed il Comitato di Redazione, al quale non è davvero andato giù il “Niet!“ pronunciato dal direttore alla richiesta di pubblicazione di un comunicato del CdR sulla vicenda.

Da un lato quindi la figura imposta dalla proprietà, vista come testa di ponte per una manovra di normalizzazione della redazione verso posizioni più concilianti rispetto ai poteri forti della Finanza; dall’altra, figure storiche del quotidiano fondato da Eugenio Scalfari che non si riconoscono più nella linea editoriale prospettata dalla nuova dirigenza.

Un segnale che conferma che siamo ormai usciti dall'emergenza sanitaria: ritornano le vecchie contese e si affilano i coltelli... insomma, l'Italia com'era ai tempi belli, prima del Coronavirus!
 

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