Quello che non ci piace nell’accordo tra governo e Autostrade

Quello che non ci piace nell’accordo tra governo e Autostrade
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Enrico De Vita
  • di Enrico De Vita
Sono ancora tanti i dubbi che circondano un'intesa destinata, si spera, a risolvere una vicenda nata male e proseguita sempre peggio
  • Enrico De Vita
  • di Enrico De Vita
24 luglio 2020

L’accordo Governo-famiglia Benetton è stato salutato come un successo della politica, che risolverebbe - sulla carta - tutti i nodi venuti al pettine dopo il dramma del ponte Morandi e le successive inquietanti rivelazioni sullo stato di manutenzione di tunnel e viadotti. Non è così, i dubbi sono ancora tanti, anche se stranamente i giornali hanno smesso di parlarne, come fosse un problema risolto. Ma per noi è ancora tutto sospeso nel limbo dei proclami. E per non essere disfattisti, cominciamo con l'elencare un aspetto positivo.

La vicenda giudiziaria e le responsabilità

Bene che il Governo abbia evitato di cacciarsi in un contenzioso giudiziario con Atlantia, che avrebbe fatto male a tutti, giustizia compresa. Le colpe di Autostrade e della sua consociata Spea (che doveva curare la manutenzione delle strutture) appaiono gigantesche, ma altrettanto gigantesco è stato l’errore di chi - al Governo e in Parlamento nel 2007 (Governo Prodi) e nel 2009 (Governo Berlusconi) - ha sottoscritto con Autostrade Per l’Italia la convenzione che, in caso di revoca, anche per colpa grave, prevedeva un indennizzo dallo Stato ad ASPI pari agli introiti dell’ultimo anno moltiplicati per il numero di anni revocati. E non è un caso che in occasione dell’ultimo rinnovo (Governo Gentiloni, ministro Delrio) la concessione è stata allungata dalla scadenza naturale del 2038 fino al 2042, in cambio del completamento della Gronda Nord di Genova, che invece è tutt’altro che a buon punto.

Male che, nel recente accordo, non si faccia menzione di una esigenza sociale sentita a tutti i livelli: quella di indicare i nomi di chi - a suo tempo - ha scritto, firmato e approvato la convenzione fra Stato e ASPI. In realtà più che una convenzione quel documento appare oggi come una “circonvenzione di incapace”, ove l’incapace era la nostra parte politica, quella degli anni 2007-2009, che - dopo il crollo del ponte Morandi e alla luce dei fatti successivi - appare davvero come succube di un diktat o completamente inerte di fronte a una condizione-capestro. Quei nomi non sono saltati fuori, né si è detto che verranno indicati. Male, molto male, perché nasconde a noi e alla Giustizia i veri autori del misfatto.

La salvaguardia della forza lavoro

Bene che sia stato salvato il posto di lavoro di chi opera in Autostrade e nelle sue consociate. Nonostante quello che è successo getti una cattiva luce sulla dirigenza, non abbiamo remore a riconoscere che la professionalità delle sue maestranze è superiore a quella delle altre concessionarie autostradali. Ed è probabilmente la più elevata in Italia. Il loro trasferimento in Anas, invocato da più parti, avrebbe aperto una voragine di nuovi problemi. Tuttavia sappiamo di intere unità operative che sono state ridotte o annullate del tutto dopo la privatizzazione del 1999. Citiamo, ad esempio, le attrezzature per l’ispezione e il controllo di ponti e viadotti, le squadre di intervento in caso di neve e molte altre strutture che ora andranno riattivate.

Male che nell’accordo non sia stata revocata la facoltà che il ministero delle Infrastrutture ha concesso ad Autostrade di far eseguire il 40% dei lavori di manutenzione a società consociate del gruppo. Il che getta qualche ombra sulla congruità dei costi di tali lavori. Di ieri e di domani.

Il bene pubblico

Bene, che lo Stato abbia deciso di entrare - attraverso suoi enti finanziari - nell'azionariato di ASPI. Il termine nazionalizzazione fa paura, perché è facile citare esempi di mal governo di ciò che è pubblico. Ma altrettanto facile sarebbe citare casi di aziende statali italiane in vetta alle classifiche mondiali (Eni, Fincantieri, Finmeccanica, Leonardo, Alenia).

In Gran Bretagna, in Germania, nella Svezia, in Norvegia, le autostrade non possono venir date in concessione a una società privata perché si ritiene che siano strutture strategiche, delle quali lo Stato non deve cedere il controllo. In Francia, Spagna e Italia, invece, è prevalsa la decisione politica di considerarle strutture non strategiche. Se la tangenziale di Milano, quella di Bologna, il Grande raccordo Anulare di Roma, fossero - come sono - in mano ad aziende private (nel capitale di Atlantia ci sono fondi cinesi), come la mettiamo in caso di conflitto? Tutte le strade sono strategiche. Le autostrade lo sono di più.

Male. Quanto costerà allo Stato, cioè a noi, entrare nel capitale, fino a ridurre la quota della famiglia Benetton a uno sbandierato 10-12%? Abbiamo visto tutti in borsa il balzo del 27% nella quotazione della società il 16 luglio, il giorno dopo l’accordo. Significa semplicemente che il valore delle azioni possedute dalla famiglia (l’88% del totale) è cresciuto in una notte di oltre 700 milioni di euro, dopo che aveva perso il 23% nella settimana precedente. Ora lo Stato vuole entrare nell’azionariato, ma nell’accordo non c’è scritto a quale costo. Si tratterà di un aumento di capitale, ma chi lo decide e a quali condizioni?

La questione dei pedaggi

Bene che sia apparso anche nell’accordo che i pedaggi erano gonfiati da investimenti non fatti o da interventi non eseguiti a dovere, e che ora ci sarà una “consistente riduzione”.

Male che all’aggettivo consistente non sia stata aggiunta una percentuale. Di quanto verranno ridotti? E soprattutto da quando? Su quali tratte? E le altre concessionarie, che pure hanno le loro manchevolezze in tema di manutenzione e di investimenti, dovranno calare I pedaggi?

Ultima considerazione: quando verranno ridotti I pedaggi di Autostrade per l’Italia probabilmente lo Stato deterrà la maggioranza delle azioni societarie, quindi si taglierà gli introiti in casa... Perché non hanno avuto il coraggio di definire subito, da domani, di quanto devono diminuire tutti I pedaggi?

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