WRC 2019. Spagna Catalunya. È difficile essere giovani? Fabio Andolfi

WRC 2019. Spagna Catalunya. È difficile essere giovani? Fabio Andolfi
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Piero Batini
  • di Piero Batini
Il rallista italiano, la “gavetta” del Rally e una filiera esemplare. Idee chiare, passione smisurata, il supporto familiare, non solo 'affettivo', e un Progetto istituzionale che può, e dovrebbe, diventare modello di educazione e promozione
  • Piero Batini
  • di Piero Batini
25 ottobre 2019

Salou, Spagna, 25 Ottobre. Fabio Andolfi. Teoricamente il ventiseienne Pilota di Savona è ancora in corsa per il Titolo di Campione del Mondo WRC 2.

Nessuno si fa illusioni, il Rally non è né una lotteria né un grattaevinci, il Campionato è andato sinora bene ma anche un po’ meno bene. Il Progetto segue comunque il suo corso con grande rigore, nessuno sposta la mira. Nel programma non ci sono solo obiettivi di risultato e di gloria. Prima di tutto c’è una routine di lavoro micidiale, che solo un'enorme passione può sostenere. Quella c’è. D’avanzo.

Il contesto globale è un quadro invitante. Se opportunamente perfezionato e coerentemente sviluppato, potrebbe essere un istruttivo Modello Italiano. Gli attori ci sono tutti. Il Pilota, il Mecenate e il Mentore, il Tecnico e lo Sponsor, la Famiglia. Ce la faranno? Sarà, Fabio Andolfi, l’emblema del ritorno italiano alla disciplina che gli italiani hanno saputo interpretare e imporre così bene?

Non è detto, la strada è impostata, ma il viaggio sicuramente lungo e non privo di rischi e di difficoltà. È ora, in ogni caso, di dare fondo alla buona volontà. In questo caso sarà investimento e promozione ad altissimo livello.

 

Figlio d’arte. Figlio di una passione.  Passione travasata ma non in modo così scontato e lineare. Il papà, Fabrizio Sr., ha iniziato a correre con la A112, primi anni ottanta, e successivamente, verso la fine del decennio, ha fatto salire a bordo della Uno Turbo mamma Patrizia. Poi sono arrivati i figli, prima il fratello Fabrizio nel 1989, anche lui del 'mestiere', poi nel ’93 Fabio, il Piccolo Diavolo. Svezzati i ragazzi i genitori hanno ricominciato a correre ormai nel nuovo millennio. Tanto per tenersi aggiornati.

Il papà ha un’officina meccanica, assiste e ripara mezzi pesanti e di movimento terra. L’officina è il terreno adatto per crescere i figli tenendoli sott’occhio e in sicurezza, e d’altra parte è la palestra ideale per mantenere vivo un certo imprinting e coltivare quel tipo di passione. Chissà quale? No. Sbagliato, quella viene dopo.

Fabio non arriva subito alle auto, anche se, lo dice abbassando la voce, inizia presto, molto presto a guidarle. I motori sì, chiavi inglesi, pinze e filo di ferro come gioco e scuola di un estro che inevitabilmente porta all’attività principe del motorismo: la Corsa. Come Fabrizio Jr., tuttavia, la prima forma di risoluzione attiva è la Moto, le prime Gare sono oltre il cancelletto del Motocross. Certamente le due ruote sono più facili, abbordabili, economiche.  E in ogni caso si vede che bisogna dare tempo al tempo…

 

Fabio Andolfi. "Le macchine ci sono sempre piaciute. A mio fratello e a me. Non poteva essere altrimenti. Vivevamo nell’officina di mio padre e i terreni della campagna attorno ci potevano offrire l’opzione della precocità. Noi abbiamo pensato di approfittarne e abbiamo così iniziato a capire come funziona quel sistema. Mi piacevano le macchine, ma mi piaceva molto la moto. Mio papà provava a farci fare di tutto. Suonare la chitarra, il piano, giocare al calcio, hockey, tennis. Anche la scuola, naturalmente, ma la bella scuola è un’altra, ci sembrava.

All’età di 14 anni ho iniziato da lì, con il motocross, e con la moto sono saltato dentro alle corse. La mia prima gara l’ho fatta nel 2012. Mio fratello, stessa storia. Comunque la macchina la guidavo già all’età di sette-otto anni. Leggo dal mio “curriculum”. 'Cappottata la mia prima macchina all’età di undici anni'. Era una A112 Abarth, messa senza troppi complimenti sul tetto nel vigneto di mio zio, a Voghera. Più che spaventato lo zio si dimostrò ben arrabbiato per quelle due o tre viti che avevo travolto e buttato giù. Un buon segno, ho saputo poi.

Qualcuno mi ha detto che anche Paolo Andreucci ha cominciato mettendo sugli sportelli e sul tetto, anzi sul muretto, una A112. D’inverno, non appena nevicava, mio papà ci caricava sulla macchina e ci portava su delle strade private dove potevamo andare a… scuola. Diciamo che a casa non c’è stato un giorno in cui non si sia parlato di macchine. Destino scritto".

E dove iniziamo a scrivere davvero la storia?

FA. “Nel 2013 ho fatto la mia prima gara, su terra con una Clio R3, Billy Casazza al mio fianco. Un discreto risultato, che mi è valso l’attenzione della Federazione che mi ha spedito a fare uno stage al FIA Institute a Vienna. Un Pilota per nazione, io era la prima volta che andavo all’estero, che prendevo un aereo da solo. Immaginate quante cose nuove, tutte insieme, la somma di emozioni e in che stato ero.

Nel 2014 è nato il Progetto Giovani dell’ACI Team Italia, grazie al quale ho potuto partecipare a sette gare del Campionato Europeo Junior. La prima Gara del Campionato l’ho fatta con un mio amico di Savona, avevamo iniziato insieme. La prima era alle Azzorre, buoni tempi, una buona posizione in classifica, terzi. Ultima prova speciale, allo stop si rompe il cambio! Invece di un risultato bellissimo, tutto a monte e siamo ritirati. Poi ho conosciuto Simone Scattolin. È salito a bordo nella seconda prova, Ypres, e da lì è cominciata una bellissima storia, un grande lavoro. Note, ricognizioni, ambientazione all’estero, sette Rally bellissimi. Una bella stagione, alla fine dell’anno siamo sopravvissuti alla selezione di ACI Team Italia, da 22 a soltanto due promossi e io ero uno dei due.

Da lì è iniziata l’avventura del Mondiale con la Peugeot 208 R2. All’inizio eravamo io e Giuseppe Testa, poi è arrivato Damiano De Tommaso. Due anni di scuola Mondiale R2. Nel 2016 ho provato per la prima volta una R5, la Hyundai. Tour de Corse, era la prima volta che guidavo una 4 ruote motrici. Iperspazio. Si continua, grazie a ACI e Pirelli ancora un anno con la Hyundai nel WRC.

Nel 2018 un cambiamento. Saliamo sulla Skoda R5 e corriamo assistiti e supportati anche dal Team Motorsport Italia, sempre sotto l’ala federale. Cronaca di quest’anno. Alti e bassi. Il bellissimo podio del Tour de Corse, il mio errore in Sardegna con il quale abbiamo buttato la Gara. La scuola continua, e continuo a perseguire l’obiettivo di imparare… a vincere".

 

Quale è stato il tuo obiettivo all’inizio di stagione, e quale il progetto, se c’è già, per la prossima?

FA. “Quest’anno eravamo concentrati sull’obiettivo di stare il più possibile in macchina e ottenere dei risultati buoni soprattutto per la crescita. In Corsica ci siamo riusciti, in Sardegna no, nonostante fossimo andati molto preparati. Migliorare vuol dire anche capire dagli errori. L’obiettivo centrale resta quello di dimostrare di saper migliorare ad ogni esperienza, in questo modo ripagando la fiducia di chi ci supporta e ci segue.

Progetti per l’anno prossimo ancora non ne abbiamo definiti. È il nodo cruciale a questo punto della stagione. Continuare a dare il massimo per fare il meglio possibile, e pensare al futuro, anche con una certa apprensione. Spero di poter continuare con la Federazione, e spero anche di riuscire a trovare le risorse per implementare l’operazione. Il problema è sempre riuscire a fare tanti chilometri quanti ne fanno gli altri, salire attraverso più test al livello del confronto in gara. Tanti chilometri, tanti test, prove di materiali e di configurazione. Queste macchine sono molto performanti ma complicate nella messa a punto, nella personalizzazione. Noi proviamo quasi soltanto in gara, non è sufficiente".

Si può pensare a ottenere un risultato nel Mondiale, il prossimo anno, o i privilegi di certa concorrenza tagliano corto su questa possibilità?

FA. “Secondo me ci si può arrivare. Abbiamo dimostrato di non essere così lontani, pur con il nostro livello di preparazione. Credo che con un po’ più di chilometri extra gare posiamo salire decisamente di livello e confrontarci a “armi pari”. Certo questo scalino dipende da una ulteriore spinta economica che ci dobbiamo prefiggere di trovare".

Facciamo dunque una Mappatura della situazione aiutale delle “spinte”. Chi ti aiuta in questo momento? C’è un ordine di importanza?

FA. “Il supporto principale ci viene dalla Federazione, da ACI Team Italia, dal Motorsport Italia, il Team dimostra concretamente di credere in me, da Pirelli, supporto come potete immaginare fondamentale. Dalla mia famiglia arriva un grande aiuto. Sono fortunato a lavorare in una piccola azienda di famiglia che mi lascia organizzare il mio tempo… e se mi serve me ne dà altro. I miei mi supportano anche economicamente, per quanto possono. Molto fortunato, sì, lo sono. Queste sono le quattro fonti fondamentali delle risorse che mi consentono di andare avanti e di crescere, i destinatari dei miei ringraziamenti.

Certe situazioni bisogna viverle da dentro per giudicarle correttamente. Io devo ringraziare Angelo Sticchi Damiani. Ci crede, ha creduto in me e nel Progetto, l’ha incentivato. In ACI sento passione. È un’emozione unica sentire che c’è gente che investe in te con così tanto impegno".

 

Quindi responsabilità, impegno. E anche pressione?

FA. “Sì, anche pressione, una bella pressione. Bisogna essere forti di testa per gestirla e convertirla in un fattore di crescita, positivo. Non è la stessa pressione che si sente in gara, che peraltro richiede altrettanto potere di controllo".

Impegnarsi in un’attività dalle mille sfaccettature così complicate e difficili porta via tanto tempo. Quanto? Come ci si sente?

FA. “Questa attività, per come la sento e per come la vivo, mi porta via praticamente tutto il tempo. Sì, vado ogni tanto a mangiare una pizza con gli amici, ma sostanzialmente non ho altri hobby o divagazioni. Lavoro, mi preparo, fisicamente e mentalmente, cerco di essere in condizioni perfette. Cerco di organizzarmi, di fare tutto meglio che posso, e possibilmente ancora meglio.

È uno Sport, un modo di intenderlo che ti assorbe completamente. Se vuoi farlo bene. Non vado in vacanza dal 2015. Per svago intendo qualche volta la moto da cross, spese inutili nulle e utili poche. Quando nevica, sì andiamo ancora spendere un po’ di soldi in benzina sulle strade chiuse. Tutte le mie risorse fisiche, economiche, di tempo libero finiscono lì. Lì dove? In questa bellissima passione”.

E se tu fossi nato in Finlandia, per esempio, sarebbe stato più facile?

FA. “Torno a credere che le situazioni vanno vissute dall’interno. Non so come sarebbe stato se fossi nato e cresciuto in Finlandia. Magari avrei cominciato prima o meglio, vedo il mio amico Rovanpera, ma chi mi dice che avrei avuto lo stesso tipo di supporto, di calore, di aiuti? Non lo so, posso dire solo questo, che sono soddisfatto di essere italiano e di essere nato e cresciuto in una situazione bellissima, super contento di tutti gli aiuti che ho avuto in questi anni. Se posso dire di desiderare qualcosa di più penserei, come credo tutti, solo a tornare indietro per evitare qualche errore".

 

È una vita dura, soprattutto per un giovane oggi?

FA. “È una vita dura? Scherziamo? Magari sì, impegnativa, ma la durezza vera e propria è altra cosa. Penso sempre che mi piace lavorare, e che mi piacerebbe lavorare facendo quello che mi piace. L’obiettivo di fare delle corse il mio lavoro tende a quella direzione. Impegno, serietà, regole, tempo, energie, sì. La durezza? Quella è surclassata dal piacere che provo a fare quello che posso fare!”.

I tuoi miti?

FA. “Sebastien Loeb. Il Migliore. L’ho conosciuto, mi ha ispirato. Paolo Andreucci. Ha spiegato bene cosa è il valore. In Italia. Avesse avuto l’opportunità di farlo anche all’estero…".

Come sta Scattolin?

FA. “Sta meglio, recupera con una rapidità strabiliante. Operato in Germania, in Italia i medici sono sbalorditi di vederlo già in giro. Con Simone abbiamo fatto di tutto e di più. Aspettiamo che si riprenda completamente per rilanciare i  nostri nuovi progetti".

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