Franzetti: «Nel Motorsport Peugeot mira ad aiutare i giovani»

Franzetti: «Nel Motorsport Peugeot mira ad aiutare i giovani»
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Piero Batini
  • di Piero Batini
Rally, Trofei e promozione. E Giovani. Ne parliamo con Eugenio Franzetti, Direttore Relazioni Esterne e Motorsport di Peugeot Italia, con cui sviluppiamo riflessioni suggerite dal momento che vive la disciplina in Italia | <i>P. Batini</i>
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23 ottobre 2013

Rally, Trofei e promozione. E Giovani. Ne parliamo con Eugenio Franzetti, Direttore Relazioni Esterne e Motorsport di Peugeot Italia, con cui sviluppiamo riflessioni suggerite dal momento che vive la disciplina in Italia.

Rally. Promozione, in generale. Trofei. Come consideri il vostro Trofeo? Come potrebbe essere strutturato in futuro?
«In effetti è uno degli argomenti in questo momento più delicati, in ambito motorsport in generale, pista e Rally. Perché è soprattutto in quest’ambito che vedi di più la crisi. Di adesioni, di partecipazione, un mix di fattori sul quale non ho una risposta precisa, ma sul quale stiamo riflettendo molto. Quando parlo di mix di fattori, dico tecnici, economici e anche culturali. Che nel nostro Paese vanno quasi in controtendenza. Secondo me non è stato un buon anno per i trofei, in generale. Hanno tutti un po’ perso i termini di iscrizioni e si sono quindi tutti impoveriti per i premi, e lo spettacolo offerto dai trofei non è certo stato pari a quello di qualche anno fa. Uno direbbe: certo, per forza, c’è la crisi. Però, abbiamo visto, per esempio, che quando uno crea un trofeo piuttosto economico, con una vettura molto semplice, come ha tentato per esempio di fare Citroen con la Ds3 R1, nel quale c’era comunque un monte premi importante per chi vinceva, e una fiche di costi, tutto compreso, molto bassa, bene, questo trofeo, alla fine non ha avuto neanche un iscritto. Come mai? Se si dice che è un problema economico, che le macchine da corsa costano troppo, che costa troppo correre, come mai il trofeo che costa meno in assoluto non ha neanche un iscritto?».

 

A me piange il cuore all’idea di un ragazzo che magari potrebbe continuare a scrivere la storia di un Paolo Andreucci, e invece nella vita va a fare tutt’altra cosa. In altri Paesi, per esempio, le Federazioni hanno aiutato i giovani ad emergere


«E allora ti dici che non è solo un problema di soldi, ma anche culturale. Alla fine ti rendi conto che in Italia le persone preferiscono magari fare due gare in un anno con la Super 2000, e arrivare, che so, tredicesimi, piuttosto che fare con gli stessi soldi un’intera stagione con una macchina certamente meno performante ed emozionante ma che da loro l’opportunità di misurarsi ad armi pari. È un fenomeno molto italiano, uno specchio sociale. Succede che il ceto medio viene a mancare, e la forbice tra i ceti medio-bassi e quelli molto alti si allarga. Il ceto medio è quello che poteva partecipare a questo genere di trofei. Succede, invece, che ci sono persone benestanti per i quali il fattore premi e costi è meno importante, ma lo è l’emozione della corsa. Allora vedi che Maserati, Porsche, o nei Rally le gare con la S2000, hanno una crisi molto relativa. Nonostante non ci siamo premi. E quella fascia di mezzo entra in crisi. Chi può correre si paga la gara, ma a quel punto vuole l’emozione, l’adrenalina. Magari fa tre gare di meno, ma vuole un “macchinone”. E quindi i trofei, che sono pensati per i giovani, per quelli che vogliono iniziare, hanno meno adesioni».

Ci sono sempre meno giovani che riescono ad accedere alle competizioni. La nazione si è impoverita, e quindi diventerà sempre più difficile avere un’Accademy, degli Junior Team, comunque dei ragazzi che possano diventare, nel tendere, i nuovi Andreucci


«Quest’anno noi abbiamo fatto due trofei con la 208 R2. È vero che la nostra macchina è arrivata piuttosto tardi, a Campionati iniziati e programmi definititi, ma devo dire che non abbiamo avuto il ritorno che pensavamo. Se in Italia ci sono sette-otto scocche di R2, solo quattro Piloti si sono iscritti al trofeo. Allora io devo capire perché gli altri tre o quattro non l’hanno fatto. Dobbiamo capire. La 208 è una macchina vera, cambio, freni, motore, il “rumore”. L’aspetto emotivo c’è, ma probabilmente forse non è necessario né giusto chiuderla in un “cortile” solo nostro stabilendo quali sono le gare a cui deve partecipare. Potremmo semplicemente dire che tutti quelli che corrono con una Peugeot all’interno di un circuito partecipano di default al nostro trofeo. A quel punto potremmo dare dei coefficienti alle gare e stilare una classifica finale. Una grande famiglia che non si deve ritrovare gioco forza nella stessa gara, ma che partecipando alle gare in Italia partecipa a una classifica finale. Forse questo è il modo con il quale si potrà impostare il discorso per l’anno prossimo».


«Quest’anno i trofei ci hanno dato delle indicazioni molto particolari, in Italia. C’è una crisi economica, e soprattutto quelli che costituivano il grande bacino dei trofei, ovvero i giovani, vengono a mancare. I giovani oggi non hanno i soldi per comprare una automobile “normale”, figuriamoci se li hanno per una macchina da corsa.  A questo punto, chi può correre? I più benestanti. I benestanti vogliono il brivido, l’adrenalina, la macchina di una certa potenza. Ci sono molti più gentlemen drivers, e quindi certi tipi di offerte come quelle dei trofei trovano maggiori difficoltà a reperire le adesioni».

Sarebbe bello se la Federazione riuscisse, almeno nelle tre grandi categorie del motorismo, Formula 3, “ruote coperte” e Rally, ad individuare quei due, tre giovani su cui puntare, e sarebbe bello che li aiutasse con un programma. Un piano carriera, come si fa nelle aziende, quando hai un giovane di valore gli costruisci un piano carriera


È un problema che coinvolge i giovani, dunque.
«È chiaro. Ci sono sempre meno giovani che riescono ad accedere alle competizioni. La nazione si è impoverita, e quindi diventerà sempre più difficile avere un’Accademy, degli Junior Team, comunque dei ragazzi che possano diventare, nel tendere, i nuovi Andreucci».


Ma qualcosa si dovrebbe poter fare, per i giovani. Non voi specificamente, non io o dio, ma qualcuno con un’idea, forse.
«Io penso che sarebbe bello se la Federazione riuscisse, almeno nelle tre grandi categorie del motorismo, Formula 3, “ruote coperte” e Rally, ad individuare quei due, tre giovani su cui puntare, e sarebbe bello che li aiutasse con un programma. Un piano carriera, come si fa nelle aziende, quando hai un giovane di valore gli costruisci un piano carriera. A questi giovani si potrebbero affidare delle seconde macchine, che potrebbero essere delle Peugeot, delle Skoda, delle Citroen, per fare un programma solido. A noi piacerebbe poter contribuire a un programma del genere, e non ti nascondo che ci stiamo comunque pensando, al di la della stagione che vogliamo fare con la nuova 208 R5, con la S2000 che abbiamo in casa e che resta competitiva».

Il ruolo della Federazione può essere quello di lavorare in più direzioni per il bene dei Rally. Sostanzialmente fare in modo che si organizzino gare con i giusti canoni di sicurezza e i giusti criteri di comunicazione, e poi allevare una piccola accademy, assieme ai team ufficiali, per dare un aiuto concreto ai giovani


«Ci piacerebbe poter mettere a disposizione della Federazione questa macchina, per far correre un giovane e “misurarlo” sulla distanza di almeno una stagione, con gare su asfalto e su terra, in un ambito nel quale ci siano tutti i migliori, per vedere come quel giovane si comporta in mezzo agli altri. Una macchina affidabile e competitiva, ma dall’altra parte ci vuole una struttura affidabile, sicura, concreta. I giovani oggi iniziano la stagione con una macchina e con un team, poi nel corso dell’anno passano dall’uno all’altro, senza dare continuità al loro lavoro. Questa precarietà è il vero problema, non fa bene, non permette di emergere. Noi siamo a disposizione, per creare un programma con la Federazione, e con Pirelli, per mettere un volante a disposizione di un giovane».


D’altra arte proprio la Federazione, in una sua emanazione, s’impegna piuttosto nel salvataggio di una gara come il Targa.
«In questo senso penso che abbiamo fatto bene a salvare il Targa, o il Sanremo. Spero che si possano fare entrambe le cose. Il ruolo della Federazione può essere quello di lavorare in più direzioni per il bene dei Rally. Sostanzialmente fare in modo che si organizzino gare con i giusti canoni di sicurezza e i giusti criteri di comunicazione, e poi allevare una piccola accademy, assieme ai team ufficiali, che sono strutture affidabili, per dare un aiuto concreto ai giovani. Io vorrei che questa cosa accadesse prima che i giovani più bravi fossero costretti a smettere perché non hanno macchine, non hanno soldi, e non un programma. Questa non è una selezione naturale».


«Se devono andare avanti solo quelli che se lo possono permettere, che non sono necessariamente i più bravi, è un peccato. A me piange il cuore all’idea di un ragazzo che magari potrebbe continuare a scrivere la storia di un Paolo Andreucci, e invece nella vita va a fare tutt’altra cosa. In altri Paesi, per esempio, le Federazioni hanno aiutato i giovani ad emergere. Penso che la nostra sappia molto bene che questa è una scelta necessaria. Secondo me può anche solo essere questione di parlarsi, di raccontarsi e di mettere a fuoco un problema che è comune».

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